Pneic 2024: siamo in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione? / Notizie / Home

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito personale

Delibera veloce

 


Se vogliamo raggiungere la neutralità climatica e garantire una transizione energetica giusta e rapida, è indispensabile che i Paesi dell’Unione europea elaborino e rispettino dei Piani nazionali integrati per energia e clima (quello che in Italia è chiamato Pniec) e accelerino l’attuazione delle politiche necessarie, perché gli allarmi di scienziati, studiosi e soprattutto le drammatiche  conseguenze su scala globale ed europea dei fenomeni estremi dovuti ai cambiamenti climatici ci fanno capire che ormai ulteriori ritardi non sono (o meglio non sarebbero) più ammessi. Ma in Italia a che punto siamo? Nelle scorse settimane alcune ong tra le quali Greenpeace, Kyoto Club, LegambienteTransport&Environment e Wwf si sono date appuntamento alla Camera dei Deputati per portare all’attenzione del Parlamento tutte le criticità del Pneic 2024, che dopo l’aggiornamento di quest’estate da parte del governo Meloni, per le associazioni ambientaliste “si rivela una volta di più poco ambizioso e incoerente con gli obiettivi dell’Unione europea”. Ma è davvero così critica la situazione? Ne abbiamo parlato con Arturo Lorenzoni professore di Economia dell’Energia all’Università di Padova

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Professore in queste settimane abbiamo sentito più volte parlare del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima o Pniec. Cos’è?

AR: Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima è il piano richiesto dal Regolamento (UE) 2018/1999 per programmare le azioni nazionali di attuazione della strategia europea nota come Green Deal. Una strategia organica, pensata da un lato per gestire l’emergenza climatica, dall’altro per sostenere l’economia dell’Unione e spingere la capacità di innovazione e leadership industriale delle imprese. Il documento indica le azioni che l’Italia intende attuare per raggiungere la neutralità carbonica al 2050, con un passaggio intermedio al 2030 che prevede forti investimenti nelle fonti energetiche rinnovabili e la spina all’efficienza energetica. Un documento di quasi 300 pagine che disegna uno scenario quantitativo sfidante, ma capace di indicare con chiarezza quali siano gli investimenti necessari per ridurre le emissioni di gas climalteranti agendo sulla produzione di energia elettrica, termica e sui trasporti.

Nel 2022 la quota delle rinnovabili nel consumo finale di energia In Italia era di 2 punti percentuali inferiore alle aspettative (19,1% rispetto al 21%). È vero che nonostante questo ritardo molti parametri coerenti con le potenzialità di decarbonizzazione sono stati abbassati rispetto al Pniec elaborato nel 2023 e alla rotta tracciate da quello del 2019?

AR: La progressione del processo di decarbonizzazione è lenta, vincolata da molti interessi in palese conflitto con gli obiettivi di progressivo abbandono dei combustibili fossili. Nella produzione di energia termica e nei trasporti soprattutto, la sostituzione dei combustibili fossili è in forte ritardo, con una diffusione delle pompe di calore per la climatizzazione degli edifici che si è quasi arrestata con il venire meno degli incentivi del 110% e una quota di rinnovabili nella produzione di energia termica accettabile solo grazie ad una stima generosa dell’uso della biomassa. Così pure nella mobilità l’Italia è ultima in Europa per la quoti di auto elettriche vendute, con appena il 4%, contro una media europea superiore al 15%. Pure nel settore elettrico, dove le proposte di investimento sono tantissime, con richieste di allaccio alla rete per una potenza totale tripla a quella indicata dal PNIEC, i ritardi sono enormi, per la difficoltà a gestire i processi autorizzativi e le pratiche per la connessione alla rete. Per cui nel 2023 sono stati allacciati alla rete solo 5,7 GW di nuova potenza rinnovabile, contro i 10 GW necessari a tenere il passo. A guardare ai prossimi anni, insomma, non c’è da essere molto ottimisti, perché gli investimenti che sono chiaramente invocati dal PNIEC per raggiungere il 30% di consumi finali da fonti rinnovabili sono in forte ritardo.

Quindi veramente il nostro Pniec continua a sostenere con sussidi i combustibili fossili, a promuovere gas e nucleare e a ignorare le opportunità di un potenziamento delle rinnovabili?

AR: Si, il necessario processo di dismissione degli investimenti fossili, indispensabile per dare attuazione ai target concordati in sede europea, non è di fatto partito, per le fortissime resistenze. Il raggiungimento del target del 30% di energia rinnovabile al 2030 richiede una discontinuità rispetto al modello attuale, che non si vede nei fatti. Anzi, l’ultimo PNIEC è tornato a dare peso alla dimensione della “transizione sostenibile”, un concetto che ammicca allo status quo per non turbare gli equilibri di mercato esistenti, con un ruolo dominante del gas e del petrolio. È sorprendente che nel 2021-22 l’Italia abbia pagato quasi 100 miliardi di euro, il 5,2% del PIL nazionale, di contributi in varie forme per contenere i folli prezzi del gas, con contributi alle imprese, riduzione dell’IVA sul gas e azzeramento degli oneri sull’energia elettrica. Una cifra mastodontica, che sarebbe stata sufficiente per attuare l’intera transizione alle fonti rinnovabili, bruciata invece per pagare il gas. Certo, si era creata un’emergenza, ma di fatto si è scelta la via più facile di sussidiare l’energia fossile, invece di sostenere imprese e cittadini nel processo di sostituzione di gas e prodotti petroliferi. Una scelta, non una fatalità. E così pure ora si invoca una presunta “neutralità tecnologica” per non scegliere le tecnologie che si sono mostrate più economiche, oltre che più sostenibili sul piano ambientale e tenere vivo il supporto a filiere tecnologiche basate sui combustibili fossili, quasi che il vincolo climatico non fosse stringente. I contributi alle auto accessibili dalle auto a motore termico sono un esempio eclatante, come i bonus sulle caldaie a gas. Incentivi che vanno in direzione opposta alla decarbonizzazione. Con un parallelo sportivo, continuiamo a dare contributi agli atleti per comprarsi sostanze dopanti, fingendo soltanto di voler combattere il doping. Perché le fonti fossili sono un doping: grandissime prestazioni, ma danni enormi alla salute, che si palesano dopo. E nonostante ora noi si sappia che fanno male, continuiamo imperterriti ad utilizzarli. Solo che purtroppo, a differenza del doping che fa male a chi lo pratica, le fonti fossili creano danno a tutti, soprattutto a chi non le utilizza.

Un discorso a parte merita il nucleare, a cui sta guardando in modo infatuato il presente governo. Una tecnologia che nella forma che conosciamo sta creando danni economici in ogni paese europeo dove si è voluto investire e nella forma innovativa degli SMR (Small Modular Reactor) non è commercialmente disponibile. E non lo sarà per i prossimi 15 anni almeno, quando il tema della transizione dovrà essere già definito. Non è realistico dunque pensare al nucleare per la transizione (o svolta, come io preferisco chiamarla) che dobbiamo attuare ora. Se una tecnologia economica, affidabile e sicura sarà messa a punto, sarà giusto considerarla, ma oggi non disponiamo di opzioni che soddisfino nemmeno una di queste caratteristiche. Certamente, lasciar intendere che vi sia una tecnologia che è in arrivo e che può risolvere ogni problema, ha l’effetto di rallentare l’adozione delle fonti rinnovabili (“tanto tra poco abbiamo il nucleare che ci darà tutta l’energia che ci serve”), deresponsabilizzando le amministrazioni locali dal facilitare i nuovi investimenti proposti e finanziati oggi, non tra 15 anni.

Esiste secondo Lei una strategia energetica e una pianificazione chiara che possa caratterizzare questo Pneic?

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

AR: No, il PNIEC è un compromesso scialbo che non affronta la sfida della transizione con intraprendenza e determinazione. Accetta di necessità la crescita delle rinnovabili, ma non mette in campo le misure adeguate per vincere la partita. Non crea la corresponsabilità delle regioni, che sono gli attori principali della partita degli investimenti, non mostra come la transizione possa portare benefici nel medio termine alle tasche dei cittadini, non va oltre un mero esercizio di quantificazione dei nuovi impianti necessari per raggiungere i target che l’Europa ci ha assegnato. L’attuazione è lasciata ai gestori delle reti, che sono i veri protagonisti del processo di trasformazione dell’industria energetica. Ma chiaramente uno stravolgimento del business non può venire da chi su quel business vive. Manca la regia del cambiamento e la visione di un sistema energetico capace di recepire le innovazioni tecnologiche che rendono la decarbonizzazione possibile: il coinvolgimento dei consumatori come autoproduttori e partecipi della gestione del sistema con una domanda flessibile grazie alle tecnologie di controllo oggi economiche ed affidabili, il protagonismo delle amministrazioni locali, il nuovo ruolo delle reti. Tutti aspetti cruciai che attendono una regia amministrativa adeguata.

Secondo molte ong il nostro Pneic “Non rispetta le normative europee anche perché non ha contemplato le norme partecipative e consultive previste dalla normativa europea”. Possibile?

AR: Possibile, certo. Non ho seguito il procedimento amministrativo nel dettaglio, ma i momenti di confronto sono sempre più rari e sgraditi a chi si ritiene amministratore efficiente.

L’associazione A Sud e il Wwf hanno deciso di muoversi nell’ambito di una iniziativa lanciata da Can Europe (Climate Action Network Europe, una rete di Ong europee impegnate nella battaglia per la decarbonizzazione) e hanno presentato formalmente alla Commissione Ue una denuncia contro il Pniec italiano. L’obiettivo della campagna portata avanti a livello europeo (My country is breaking EU law — Demand accountability now!) è quello di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su Piani nazionali deboli, contenenti misure che non rendono possibile o addirittura impediscono il raggiungimento degli obiettivi climatici entro il 2030. Le pare una via possibile per rivedere gli obiettivi nazionali?

AR: La pressione portata dai gruppi ambientalisti è di capitale importanza. Le maggioranze che governano hanno più timore degli attacchi mediatici che non di quelli delle minoranze, spesso ridotte al silenzio da votazioni assicurate dalla richiesta di fiducia da parte dell’esecutivo. La Commissione ha sempre valutato con rigore i Piani nazionali e credo lo farà anche ora. In presenza di una denuncia contro il Piano italiano l’attenzione sarà ancora più alta, per cui, indipendentemente dall’esito del procedimento avviato dalle ONG, l’azione di advocacy sarà efficace.

A carico dell’Italia, tra l’altro, la Commissione Ue ha avviato poche settimane fa una procedura d’infrazione perché non ha rispettato gli impegni previsti dalla direttiva Red III sulle rinnovabili. E ora Bruxelles viene sollecitata ad accendere un faro anche sul nostro Piano per l’energia e il clima. Ma le lacune del Pniec italiano oltre a minacciare il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Italia e dell’Unione europea, minacciano in qualche modo anche il benessere, il portafogli e il futuro dei cittadini italiani?

AR: Si, sta passando l’idea che le regole europee siano flessibili, non obblighi da recepire. L’Italia a metà novembre 2024 aveva 69 procedure di infrazione aperte, di cui 50 per violazione del diritto dell’Unione e 19 per mancato recepimento di direttive. L’Italia occupa l’ottavo posto tra i paesi Ue per numero di procedure di infrazione pendenti. E tra i temi in cui l’Italia è più inadempiente nel recepire le norme Ue c’è l’ambiente. Ritardare il recepimento delle direttive è contro l’interesse di cittadini e imprese. Poiché si procrastina la protezione dell’ambiente, si genera ritardo nell’adozione delle tecnologie, si mantengono attività disallineate rispetto agli obiettivi concordati a Bruxelles. Nel caso delle fonti rinnovabili di energia, ad esempio, sarebbe interesse dei consumatori disporre di energia fotovoltaica che verrebbe a costare loro almeno il 30% meno di quello che pagano acquistandola. Eppure, nonostante le norme che arrivano dall’Europa in campo ambientale abbiano tutte un riscontro scientifico solido, vedo che trova consensi l’idea sostenuta dalle forze politiche sovraniste, dell’Europa matrigna, che impone sacrifici e regole burocratiche creando disvalore per le persone. Forse la comunità scientifica deve trovare nuovi modi di comunicare, perché le politiche possano essere più coerenti con i risultati del suo lavoro.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Di fatto la mancanza di un piano d’uscita dalle fonti fossili, di piani di mitigazione e adattamento si traduce anche in una crescente vulnerabilità sociale e climatica?

AR: Si, sicuramente, sembra che segnali come le alluvioni o la frana del ghiacciaio della Marmolada, siano fatalità e come tali ingestibili. I dati dei modelli climatici mostrano anche a breve fenomeni di un’intensità spaventosa, a motivo del riscaldamento del mare soprattutto, che nei primi anni del riscaldamento del pianeta ha lavorato da ammortizzatore del fenomeno. Eppure oggi, complici altre minacce spaventose e prossime come la guerra e il terrorismo, si tende a non voler vedere la minaccia. La mia impressione è che ci si trovi come un individuo preso dal panico da paura, che rimane immobile e amplifica gli effetti di ciò che lo spaventa. Così la nostra società, ha preso coscienza di una minaccia talmente grande che preferisce allontanare il pensiero, contribuendo di fatto ad esporsi ad un rischio maggiore.

Professore, come sempre grazie mille del suo tempo e della sua disponibilità!





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Prestito personale

Delibera veloce

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link