«Abbiamo perso tutti». Gino Cecchettin non sembra sollevato per l’ergastolo preso dall’assassino di sua figlia Giulia, il 22enne Filippo Turetta. «È stata fatta giustizia e rispetto la sentenza, ma la violenza di genere non si combatte con le pene, bensì con la cultura. Dovremmo fare di più come esseri umani- dice ancora Cecchettin. – Come essere umano mi sento sconfitto».
Ci sono volute appena cinque udienze davanti alla Corte d’assise di Venezia per arrivare al verdetto: la difesa non ha presentato testimoni né consulenze e questo ha velocizzato molto i tempi. Non è stato un processo difficile, anche se di sicuro è stato un processo grave. Il pm Andrea Petroni, nella sua requisitoria, ha messo in evidenza in maniera molto lineare l’aspetto più pesante, e cioè l’apparente normalità di Turetta, la sua vita comune. Il suo essere, quindi, un “figlio sano del patriarcato”.
«ERA DI BUONA FAMIGLIA – queste le parole di Petroni -, andava nelle scuole che frequentano i nostri figli, aveva buoni voti, si stava per laureare in una facoltà complessa, aveva la macchina. Non è una di quelle persone in debito con lo Stato. Aveva tutte le possibilità e gli strumenti culturali per scegliere». E ha scelto di uccidere Giulia Cecchettin, nel novembre dell’anno scorso, in quello che è stato il suo «ultimo atto di controllo».
La sentenza emessa dopo sei ore di camera di consiglio dalla corte (due togati e sei popolari) presieduta da Stefano Manduzio alla fine ha accolto gran parte delle tesi della procura: ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dal sequestro di persona e dall’occultamento di cadavere. Le altre due aggravanti sono cadute: non ci furono crudeltà né stalking. È stata inoltre disposta una provvisionale per le parti civili: 500mila euro per il padre della vittima (che aveva chiesto oltre un milione di euro d’indennizzo), di 100mila euro per i fratelli e di 30mila euro ciascuno per lo zio paterno e la nonna.
È stata fatta giustizia e la rispetto, ma dovremmo fare di più come esseri umani. Come essere umano mi sento sconfittoGino Cecchettin
TURETTA, in felpa blu scuro, ha ascoltato i tre minuti di lettura della sentenza di fianco al suo avvocato, senza mai alzare il volto dal banco. In attesa del deposito delle motivazioni – da qui a 90 giorni -, la storia processuale del caso ci dice che per quanto riguarda la crudeltà – da intendere in senso strettamente giuridico – mancava il quid pluris, cioè l’essere andati «oltre» il rapporto causale che porta alla morte: i patimenti della vittima sono insomma da addebitare esclusivamente all’atto omicidiario di Turetta. Per quanto riguarda lo stalking, invece, sembrerebbero essere state accolte le tesi della difesa di Turetta, che trovavano una propria ragion d’essere nella ricostruzione del giorno in cui Giulia Cecchettin è stata uccisa. Quando, nel pomeriggio dell’11 novembre del 2023, Giulia Cecchettin esce dalla sua casa di Vigonovo e incontra Filippo Turetta, sale con lui in macchina e insieme vanno al centro commerciale per comprare il vestito da indossare alla sua laurea, cinque giorni più tardi. Dopo aver girato qualche negozio e aver cenato in un fast food, ormai sulla via di casa, Turetta aggredisce Cecchettin in un parcheggio e la carica in macchina. L’omicidio avverrà in una zona industriale poco distante e poi il corpo della vittima verrà abbandonato nei pressi del lago di Bracis, in Friuli. Da lì il tentativo di fuga dell’assassino, che verrà trovato in Germania e subito riconsegnato alle autorità italiane.
GIOVANNI CARUSO, l’avvocato di Turetta, ha commentato la sentenza citando le parole del presidente della Corte d’appello di Venezia all’apertura dell’anno giudiziario: «Una sentenza penale sarà tanto più autorevole, quanto più segua a una difesa adeguata. Questo è stato il mio ruolo e per questo sono soddisfatto. Non è una partita, non è una competizione, la soddisfazione è di aver portato la mia goccia di contributo alla celebrazione di un processo faticoso da ogni punto di vista». Caruso ha poi definito «prevedibile» l’ergastolo e ha detto che aspetterà di leggere le motivazioni prima di decidere se presentare ricorso in Appello.
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