Il Cpr di Torino pronto a riaprire. Il bando per la gestione alla coop Sanitalia

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È sempre più vicina la riapertura del Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Torino: la cooperativa Sanitalia service si è aggiudicata il bando per la gestione della struttura.

Il centro situato tra corso Brunelleschi e via Santa Maria Mazzarello è uno dei 10 in Italia dove vengono rinchiusi «gli stranieri giunti in modo irregolare in Italia che non fanno richiesta di protezione internazionale o non ne hanno i requisiti», come indica il Ministero.

Della nuova stagione del Cpr torinese se n’era già parlato nelle scorse settimane, quando era stata pubblicato l’elenco dei soggetti ammessi alla gara d’appalto e sul sito della prefettura iniziavano ad esserci gli accordi per la tinteggiatura dei locali, la videosorveglianza, il decespugliamento e la sistemazione del carraio di ingresso.

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Solo ieri, 3 dicembre, è stata resa nota la cooperativa che ha vinto il bando per la gestione complessiva, grazie a un’offerta di 8,4 milioni, ovvero 500 mila euro in meno rispetto alla base d’asta. Si tratta di un’aggiudicazione provvisoria, dato che il codice degli appalti prevede che gli altri partecipanti possano presentare ricorso entro 30 giorni. Una volta che Sanitalia avrà perfezionato il tutto, si stipulerà il contratto e lo si notificherà alla Corte dei conti.

Al bando era stata ammessa anche la cooperativa Ekene, che gestisce il Cpr di Macomer, già al centro di un recente report dell’associazione Naga in cui si segnalano isolamenti punitivi e maltrattamenti.

Contro la nuova stagione della struttura si sono espressi, tra gli altri, Antigone, l’Asgi e il Consiglio Comunale di Torino. A inizio novembre si è tenuto nel capoluogo piemontese un corteo di centinaia di persone che hanno contestato la riapertura.

Il Cpr piemontese è chiuso dal 2023 dopo una serie di proteste e due suicidi, che portarono a una rivolta dei migranti e all’incendio di due sezioni. La chiusura è diventata quindi necessaria per i lavori di ristrutturazione. L’indignazione degli ospiti era originata da una condizione di detenzione «inadeguata» e «degradante», per usare le parole de Il libro nero del Cpr di Torino redatto dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

Al centro delle polemiche erano finito soprattutto l’«ospedaletto», una sezione destinata teoricamente all’isolamento sanitario ma di fatto alla «ragioni di sicurezza/mantenimento dell’ordine», come notato dal Garante nazionale dei detenuti. Nel 2008 nel centro torinese è stato ritrovato il cadavere di un 38enne, morto per non aver ricevuto le cure adeguate dopo essere rimasto ferito. Nel luglio 2019 è deceduto Faisal Hossein, rinchiuso per giorni nella sezione di isolamento. Nello stesso luogo, nel maggio 2021, si è tolto la vita Moussa Balde.

Il caso di Balde è stato portato di fronte alla giudice dell’udienza preliminare, che ha deciso che a febbraio 2025 saranno processati la direttrice delegata della società che gestiva il Cpr e il responsabile medico della struttura. «Il reato ipotizzato è omicidio colposo – spiega Gianluca Vitale, avvocato della famiglia – Verte sulla responsabilità per non aver previsto nessun protocollo di prevenzione del suicidio e non aver gestito correttamente la situazione di Moussa».

Oltre che i due rinvii a giudizio, c’è stato un altro filone processuale che riguardava l’improprio utilizzo dell’ospedaletto da parte dei poliziotti. Le accuse a carico di quattro agenti sono state archiviate, ma nella sentenza si dice anche che la permanenza «in ospedaletto ha costituito una modalità di trattamento non prevista dalla legge», in riferimento all’isolamento non solo sanitario ma anche punitivo.

La gip ha anche fatto riferimento alla vaghezza del regolamento sui Cpr e al fatto che a Torino non esistevano «altre strutture idonee a raggiungere concretamente obiettivi di tutela» essendo il centro detentivo «carente di una stanza separata per l’osservazione sanitaria». Questi problemi rimangono nel «nuovo» complesso, in cui non si sono costruiti altri spazi, ma solo aggiustati quelle già esistenti.

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«L’ospedaletto c’è ancora – conferma Alice Ravinale, consigliera della Regione Piemonte per Avs – A giugno, durante la nostra visita, ci avevano detto che probabilmente non sarebbe stato riaperto ma nessuno lo ha messo nero su bianco. Gli interventi consistevano nell’imbiancare e rinnovare gli infissi: nulla di strutturale».

Uno spazio per l’isolamento sanitario, tuttavia, ci deve essere in un Cpr, lo dice la “Direttiva recante criteri per l’organizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri”. Sull’utilizzo futuro delle diverse aree, comunque, resta molta incertezza. Questione aperta anche per le celle di sicurezza al piano terra e nei sotterranei: non è chiaro se e come saranno occupate. Anche di queste Antigone e Asgi avevano chiesto la chiusura. Altra questione è la videosorveglianza: nel «vecchio» Cpr le videocamere non coprivano tutti i luoghi e i video erano spesso indisponibili, specie nei casi di denunce per maltrattamento.

«Situazioni come quella di Moussa – riflette Vitale – possono succedere ancora e sono già successe in altre parti d’Italia, penso al caso di Ousmane Sylla nel Cpr di Roma. Strutturalmente il centro torinese continua a essere lo stesso posto di prima. I Cpr sono luoghi incompatibili con un miglioramento della persona e finiscono per degradare chi ci finisce dentro».



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