Pil fermo, boom di cassa integrazione: ecco la Toscana del «lavoro povero»

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di Luca Gasperoni

Il dossier Ires: gli stipendi crescono meno dell’inflazione e aumentano soltanto i contratti stagionali

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Pil regionale fermo, crescita dell’inflazione, calo della produzione industriale e quasi un raddoppio (48%) rispetto all’anno scorso delle ore di cassa integrazione concesse alle aziende sul territorio portano a uno stipendio medio toscano nel privato attualmente intorno ai 1.300 euro netti mensili (1,1 milioni di persone), con oltre 200 mila lavoratori addirittura sotto la quota dei mille euro. Mentre all’orizzonte incombe, una volta approvata la legge di bilancio, il taglio di 1,5 miliardi di euro sulla sanità e di 85 milioni di euro di risorse degli enti locali fino al 2030.

Al termine di un trentennio che ha registrato la progressiva trasformazione da regione a vocazione manifatturiera a una orientata principalmente sui servizi la Toscana si risveglia più povera e precaria. A tratteggiare lo scenario è il focus sull’economia regionale elaborato dall’Istituto ricerche economiche e sociali (Ires) della Cgil Toscana.




















































«Siamo molto preoccupati. La crisi della Toscana è caratterizzata da alcuni fattori: problemi salariali visto che gli stipendi stanno perdendo potere d’acquisto in maniera imponente, caratteristiche del lavoro che è diventato precario e stagionale, e soprattutto cambiamenti nel settore trainante, la manifattura, che sta pagando un prezzo esagerato. Non esiste ormai provincia che non sia segnata da una grave crisi industriale», sottolinea il segretario regionale della Cgil, Rossano Rossi. 

Il Pil regionale dopo un biennio di ripresa segna infatti appena +0,7%, gli investimenti restano al palo, la produzione industriale arretra e l’export regge nonostante le prospettive tutt’altro che incoraggianti per il futuro.

Il risultato è una lunga serie di vertenze sul territorio regionale e il boom della Cig tra gennaio e settembre rispetto allo stesso periodo del 2023: si passa da 15,8 milioni di ore (8,3 milioni di ordinaria, 7,5 di straordinaria) a 23,5 milioni (15,4 ordinaria, 8,1 straordinaria). Le province dove la crescita delle ore lavorate rispetto al 2023 è stata più bassa sono Livorno (0,2%), Prato e Massa-Carrara (0,4%) Lucca e Pisa (0,5%). 

Le più alte Firenze e Arezzo (1,5%), seguite da Grosseto, Pistoia e Siena (1,1%). 

«Dati preoccupanti, c’è un’esplosione della Cig rispetto al 2023 che non era neanche un ottimo anno», chiarisce il presidente di Ires Toscana, Maurizio Brotini, lanciando un allarme: «È a rischio la tenuta e la storia della Toscana come regione manifatturiera e industriale: si sta trasformando in una regione della rendita (in cima turismo e ristorazione) e del lavoro povero-precario».

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Lo conferma la fotografia della distribuzione dei lavoratori: oggi il 71,5% delle ore lavorate in Toscana è nel settore dei servizi, il 18,3% nel settore industriale, il 6,5% nelle costruzioni e il 3,7% nell’agricoltura. In parallelo peggiora la qualità del lavoro: le assunzioni calano del 4%, le cessazioni aumentano del 3% e tra le tipologie contrattuali crescenti a farla da padrone sono i contratti stagionali (+5%). E se i salari, seppur di poco, crescono, vengono mangiati dall’inflazione: nel privato crescono del +1,2% rispetto all’1,3 di inflazione, nel pubblico +2,6%.

Gli investimenti crescono, soprattutto grazie ai fondi del Pnrr ma in maniera minore rispetto al resto d’Italia perché mancano quelli privati. «Non ci possiamo limitare a chiedere l’aumento, comunque fondamentale, delle ore di Cig ma bisogna rimettere in moto politiche attive del lavoro che aiutino le imprese a ripartire ed essere concorrenziali nel contesto internazionale. Chiediamo un intervento pubblico, se le aziende vengono aiutate a rimettersi in pista poi ripartono. Una volta c’era l’Iri, in Toscana c’è Fidi, va rifatto qualcosa del genere», propone Rossi. 

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5 dicembre 2024

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