di Benedetto Di Iacovo*
Il diritto di sciopero, sancito dalla Costituzione, rappresenta un cardine imprescindibile della democrazia e della tutela dei lavoratori, tuttavia, sottolinea come questo strumento debba essere usato con responsabilità e che, in un’epoca in cui la comunicazione e le dinamiche sociali richiedono nuovi metodi, debba necessariamente evolversi per incidere realmente sulle condizioni lavorative e per poterle effettivamente risolvere, senza nascondersi dietro lo sciopero, che corre il rischio di diventare solo uno sfogatoio per i lavoratori, senza i necessari e attesi risultati.
Lo sciopero è un diritto sacrosanto e irrinunciabile, ma oggi, continuare con le modalità del vecchio novecento, non basta più. Bloccare i servizi pubblici (soprattutto in questo periodo di festività), e arrecare disagio a cittadini, lavoratori e famiglie rischia di minare la solidarietà sociale e di non portare risultati concreti agli stessi lavoratori che scioperano. Considerato che uno dei principali problemi dei lavoratori che lottano è quello di far conoscere a istituzioni e Cittadini i loro disagi e le loro rivendicazioni, segnalo che ci sono altre forme per ottenere migliori risultati. In un’era dominata dalla comunicazione globale e digitale, è tempo di pensare a strumenti alternativi per affermare i diritti dei lavoratori e ottenere cambiamenti significativi.
A questo proposito servono una serie di alternative allo sciopero tradizionale, sfruttando proprio le nuove tecnologie e strategie di coinvolgimento diverse, capaci di fare arrivare i segnali laddove servono, senza creare disagi ad altri incolpevoli cittadini. Nell’era della comunicazione globale e dei social, salvo che non si voglia (ad effetto e solo ad effetto) propugnare la lotta di classe e lo sciopero politico contro i governi, a prescindere dai loro colori, praticando l’ormai vetusta “cultura del no”, si possono ipotizzare le azioni che seguono. Campagne di comunicazione massiva, utilizzando i social media, piattaforme digitali e media tradizionali per sensibilizzare l’opinione pubblica e attirare l’attenzione delle istituzioni sulle questioni lavorative, raggiungendo un pubblico ampio senza interrompere i servizi essenziali. Proteste digitali, organizzando azioni simboliche online, come petizioni, campagne di mailing e forum pubblici virtuali, per coinvolgere i lavoratori e creare una pressione mediatica e politica significativa, che è proprio ciò che serve ai lavoratori che vivono un disagio lavorativo. Flash mob e manifestazioni creative, con organizzazione di eventi mirati, organizzati in luoghi strategici e con messaggi chiari, capaci di attirare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica senza arrecare disagi ai cittadini. Dialogo sociale e concertazione pubblica, promuovendo incontri pubblici tra sindacati, istituzioni e aziende per discutere e trovare soluzioni condivise, coinvolgendo anche i cittadini in modo trasparente e partecipativo. Mobilitazione attraverso l’arte e la cultura, attraverso iniziative culturali, come spettacoli, mostre e proiezioni tematiche, possono sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni di lavoro, stimolando una riflessione collettiva senza adottare misure divisive. Monitoraggi e denunce pubbliche, creando osservatori permanenti sulle condizioni di lavoro e diffondere report dettagliati che mettano in evidenza le criticità, costringendo le istituzioni e le aziende a intervenire sotto la pressione dell’opinione pubblica.
Senza con ciò volere mettere da parte definitivamente l’arma sacrosanta e irrinunciabile del diritto allo sciopero, sancito dalla Costituzione, queste modalità permettono di coniugare efficacia dell’azione e rispetto per i cittadini. Non possiamo continuare a riproporre strumenti che, pur legittimi, sono sempre meno compresi dalla società e spesso inefficaci nel produrre risultati concreti. Il futuro del sindacalismo passa dalla capacità di innovare le sue modalità d’azione, adattandosi alle sfide di un mondo sempre più interconnesso e orientato alla comunicazione.”
La rivoluzione digitale incide sulla disciplina dei diritti sindacali e, pure sulle nuove forme di lotta e di conflitto sociale e, segnatamente, dello sciopero. D’altra parte, si tratta di uno strumento che non può non essere influenzato dalle dinamiche economiche e dalle trasformazioni produttive.
Ritorna il tema della configurazione del diritto di sciopero, con la costruzione della posizione di equilibrio tra diritto individuale e fatto collettivo sotto il profilo del concreto esercizio, nel quadro più generale del conflitto sociale, ritenuto a ben ragione indicatore di democrazia e di pluralismo, quest’ultimo quale modello di relazioni sociali fondato sul riconoscimento della dialettica degli interessi tra gli attori, alla base del concetto di autonomia collettiva.
E in questa prospettiva è necessario richiamare avanzate concezioni dottrinarie, secondo cui si sta verificando una transizione dallo sciopero al potere di coalizione, inteso come asse del conflitto sociale.
In conseguenza della fine del fordismo e del prevalere dell’Economia 4.0, in cui è cresciuto il peso della funzione di servizio rispetto a quella di produzione e degli interessi diffusi rispetto alle solidarietà collettive, con la “terziarizzazione del conflitto”, appare attuale il dibattito su nuove forme di astensione collettiva dal lavoro, sempre rispettose del complesso equilibrio tra il diritto di sciopero e gli altri diritti di rango costituzionale, attesa la peculiarità dello sciopero nei pubblici servizi.
D’altronde, è recepita quale opinione maggioritaria in dottrina la nozione elastica di sciopero, in relazione alla evoluzione storica del nostro sistema sindacale, senza vincoli con la risalente pronuncia della Suprema Corte nel 1980.
In questa prospettiva lo “sciopero virtuale” ovvero “di cittadinanza” è coerente con la regolazione dello sciopero nei pubblici servizi, anche (e forse soprattutto) in ragione di una diversa percezione, di un generale mutamento del ruolo dello sciopero nelle stesse relazioni sindacali italiane, rispetto a quello, sovente quasi palingenetico, che la nostra cultura sindacale e giuridica (pur sempre di matrice pluralistico-conflittuale) gli ha attribuito: basti pensare all’incidenza che, nell’era dei social, può assumere l’opinione pubblica nel condizionare gli esiti del conflitto.
Tale forma di sciopero comporta la sottoscrizione tra le parti di accordi che prevedano la rinuncia dei lavoratori aderenti all’astensione alla retribuzione e l’obbligo per il datore di corrispondere una somma, commisurata alle retribuzioni, a un apposito fondo con finalità benefiche o di interesse sociale.
In concreto lo “sciopero virtuale”, sul quale si deve citare anche un’iniziativa parlamentare nella XVI legislatura nel settore dei trasporti pubblici si basa su di un accordo preventivo tra sindacati e imprese del settore, per garantire la continuità del servizio durante gli scioperi, rinunciando i lavoratori alle loro retribuzioni corrispettive e impegnandosi l’azienda a pagare il doppio o il triplo dei relativi importi, a un fondo cogestito per opere di utilità sociale, con una parte di esso posto a disposizione di ciascuna delle parti contendenti per la realizzazione delle rispettive campagne di informazione dell’opinione pubblica, circa i motivi del conflitto.
Questa tipologia di sciopero ha il vantaggio di garantire la previsione dell’art. 40 Cost. in materia di “contemperamento”, che la legge n. 146/1990 persegue attraverso la garanzia ai lavoratori dell’esercizio del diritto di sciopero, assicurando parimenti l’erogazione delle prestazioni minime indispensabili a tutelare i diritti costituzionali delle persone. Il contemperamento si sostanzia, pertanto, nella garanzia di prestazioni indispensabili, nonché negli obblighi legali necessari per organizzare le prestazioni indispensabili, dalle procedure di raffreddamento al preavviso, che indicano la prospettiva dell’amministrazione consensuale del conflitto, in luogo di una regolazione limitativa del diritto di sciopero.
L’obiettivo deve essere quello di trasformare ogni protesta in una proposta, ogni azione in un risultato concreto, non in sfogatoi che si riducono all’ascolto di oratorie comiziali, spesso solo con frasi ad effetto, demagogiche e populistiche.
I lavoratori meritano un sindacato che sappia far valere i loro diritti senza penalizzare la collettività, ma costruendo una solidarietà ampia e duratura attraverso strumenti moderni, partecipativi e incisivi.
* Segretario generale CONFIAL, Confederazione Autonoma Lavoratori Italiani
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link