Auto elettrica: l’Unione europea mette l’Italia all’angolo

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Il governo Meloni prova a influenzare le decisioni dell’Unione europea in fatto di auto elettrica, di transizione, di multe alle Case, ma l’Ue mette l’Italia all’angolo. Assegnando all’Italia pochi posti di potere e con scarso peso specifico. Difficile che l’Europa segua le indicazioni del nostro Paese sulla transizione elettrica.

Le mosse Ue che riguardano l’Italia

Uno. L’ex ministro del governo Meloni, Raffaele Fitto, conserverà le deleghe alle politiche di Coesione e alle Riforme. Perderà la guida della direzione generale per le Riforme: settore cruciale. Una bella differenza rispetto alla portoghese Elsa Ferreira che l’ha preceduto in quel ruolo: ricopriva entrambe le posizioni. La struttura finirà sotto il controllo di Ursula von der Leyen.

Due. Ieri, con la guerra intestina nella corsa alle seggiole d’oro della Commissione Ue, si parlava di Fitto come vicepresidente esecutivo. Oggi, con la Commissione bis che s’è formata (traballante), ciao ciao Fitto. La piramide è fatta da questi membri: il tedesco von der Leyen, lo spagnolo Teresa Ribera, il finlandese Henne Virkkunen, il francese Stéphane Séjourné, l’estone Kaja Kallas, il romeno Roxana Minzatu. Alla base, ultimo, l’italiano. La Commissione Ue è quell’amico che – in grave difficoltà – ti chiede aiuto supplicandoti, ma che poi – una volta rimessosi in piedi – nemmeno ti saluta più.

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Tre. Vediamo i gabinetti: Germania e Francia hanno un numero di funzionari gigantesco, l’Italia pochissimi. Un solo capo di gabinetto italiano su 27: Vincenzo Matano, capo della squadra di Fitto. Più due vice capi di gabinetto. Zero nella squadra del vice presidente Ribera, zero in quello di Séjourné. Per un paragone, Berlino ha quattro capi di gabinetto e cinque vice, mentre Parigi ha un capo e sette vice.

Lobby all’attacco

Pertanto, l’Italia battaglierà quasi da sola, di certo senza big (Germania, Francia e Spagna) per rendere meno traumatico il percorso verso l’auto elettrica. È contro le multe di 15 miliardi di euro alle Case troppo inquinanti, assieme a sette Paesi, anch’essi con scarso potere. Innocente il governo Meloni, che ha ereditato questa situazione: la nostra nazione nell’Ue non contava e non conta niente. Subisce le decisioni di Berlino e Parigi. Irrealistica la soluzione, ossia salutare tutti in stile Gran Bretagna, anche perché continuano ad arrivare prestiti Ue al Belpaese (più l’ok alla riduzione del debito), tali da garantirci di tirare a campare. In cambio, solo per fare un esempio, giriamo ingenti risorse all’Ucraina affinché prosegua alla meno peggio la guerra contro la Russia. Da cui non prendiamo più il gas, con catastrofiche ripercussioni sul costo dell’energia nei nostri confini.

Suicidio europeo dell’Italia coi dazi

Per seguire la linea Ue, l’Italia ha anche detto sì ai dazi anti auto elettriche cinesi. Lo ha fatto nel mentre che chiedeva alle Case cinesi di venire a costruire vetture qui da noi. Pechino ci ha saluto. Normale. Invece il Dragone andrà a creare lavoro in Ungheria (dove il costo dell’energia è normale, in quanto Budapest prosegue a ricevere il gas moscovita) e Spagna, che ha detto no ai dazi. La famigerata azienda del Celeste Impero che avrebbe dovuto sostituire Stellantis ce la siamo giocata per stare dietro ai desiderata della Commissione Ue.

Abbiamo mezzo carro armato scassato nel Risiko Ue

L’Italia è dotata di mezzo carro armato scassato nel Risiko del potere Ue: i posti chiave dentro Palazzo Berlaymont vanno ad altri. In questo modo, saranno quelli forti a Bruxelles a determinare le linee guida automotive.

Uno. Se confermare o togliere le multe Ue di 15 miliardi alle Case.

Due. Se confermare i dazi anti Cina.

Tre. Se piazzare i dazi sulle auto termiche ibride plug-in: problema che prima o poi esploderà, in quanto il Paese della Grande Muraglia – con estrema intelligenza – aggira le barriere elettriche.

Quattro. Come e quanto investire in colonnine di ricarica veloce in tutta Europa.

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L’Italia non ha il potere contrattuale per opporsi al volere di chi comanda nell’Ue. Al massimo, talvolta, per questioni minori, può negoziare il proprio assenso, con margini esigui. 

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