Il sistema pensionistico italiano, da decenni al centro di dibattiti e riforme, si trova in una situazione delicata, caratterizzata da sfide strutturali e implicazioni socioeconomiche complesse. Date le motivazioni che hanno contribuito alla caduta del governo Francese, è utile ribadire che incrementare le pensioni è una scelta che, pur rispondendo a esigenze sociali, comporta conseguenze significative per i lavoratori attuali, già penalizzati da un alto carico fiscale e contributivo.
Il sistema previdenziale italiano, storicamente generoso e basato su un modello retributivo, ha visto un progressivo passaggio al sistema contributivo a partire dalla riforma Dini del 1995. Tuttavia, questa lenta transizione, unita alla riforma Fornero del 2011, non è servita a risolvere completamente i problemi strutturali:
- Spesa pensionistica elevata e iniquità : L’Italia ha una delle spese pensionistiche più alte d’Europa, con una quota sproporzionata rispetto al totale della spesa sociale. Questo squilibrio penalizza altri settori del welfare, come sanità e istruzione, creando un sistema che privilegia le pensioni rispetto ad altri strumenti di sostegno sociale.
- Distorsioni intergenerazionali: Le generazioni più anziane, che beneficiano in parte del sistema retributivo, ricevono trattamenti nettamente superiori rispetto ai giovani, che vedranno tassi di sostituzione (rapporto tra ultima retribuzione e pensione) dimezzati rispetto al passato. Questo trasferimento di costi aumenta il carico sulle generazioni attive, contribuendo al debito pubblico e aggravando la pressione fiscale.
- Frammentazione e disuguaglianze: Il sistema è altamente frammentato, con regimi diversi per categorie occupazionali. I lavoratori autonomi e atipici, spesso privi di accesso alla previdenza complementare, sono particolarmente svantaggiati rispetto ai dipendenti pubblici e ai lavoratori delle grandi imprese.
- L’invecchiamento della popolazione: Con un tasso di natalità tra i più bassi in Europa e un’aspettativa di vita in aumento, l’Italia affronta un rapporto squilibrato tra lavoratori attivi e pensionati, con conseguenze dirette sulla sostenibilità del sistema a ripartizione.
Essendo, quindi, il sistema italiano finanziato attraverso la metodologia pay-as-you-go, i contributi previdenziali dei lavoratori attivi vengono utilizzati per pagare le pensioni correnti. Ad ogni aumento delle pensioni corrisponde inevitabilmente una compressione degli stipendi reali dei lavoratori. L’aumento dei contributi previdenziali si traduce in un potere d’acquisto minore per chi è ancora in attività , una condizione che frena la competitività economica del Paese e aumenta la pressione fiscale. C’è inoltre da dire che il bilancio INPS è ormai da anni finanziato in parte dalla fiscalità generale, dato che i soli contributi previdenziali non bastano.
La Francia, che si trova oggi a un bivio simile, rischia di seguire il destino italiano. Parigi ha visto scendere in piazza nei mesi scorsi milioni di persone contro l’innalzamento dell’età pensionabile proposto dal governo. Questo tema è diventato un nodo politico così intricato da contribuire alla caduta dell’esecutivo. Le riforme pensionistiche in Francia sono state percepite come un attacco diretto al welfare sociale, ma i numeri macroeconomici mettono in luce una realtà preoccupante. La spesa pubblica francese è tra le più alte in Europa, con un debito che supera il 110% del PIL e una struttura demografica che si avvia verso un progressivo invecchiamento.
Non intervenire rischia di trasformare la Francia in una nuova Italia, con un sistema previdenziale incapace di adattarsi alle mutate condizioni economiche e demografiche. In Italia, il ritardo nel riformare il sistema ha creato generazioni di lavoratori atipici e autonomi che vedranno pensioni inadeguate, accrescendo le disuguaglianze sociali e lasciando alle future generazioni il peso di un debito pubblico in continua crescita. Un confronto diretto tra i due Paesi mostra come entrambe le nazioni condividano il dilemma tra protezione sociale e sostenibilità finanziaria. La Francia, nonostante la resistenza a riforme strutturali, potrebbe trarre una lezione importante dall’esperienza italiana. L’assenza di interventi tempestivi e radicali rischia infatti di produrre uno scenario in cui le pensioni continuano a consumare una quota sproporzionata delle risorse pubbliche, comprimendo gli investimenti in settori cruciali come istruzione e sanità .
In Italia, gli effetti di riforme incomplete o tardive si stanno già manifestando: un sistema che penalizza i giovani e un mercato del lavoro bloccato. In Francia, invece, la resistenza alle riforme è vista come una difesa del welfare, ma rischia di diventare il preludio a un collasso del sistema previdenziale. Entrambi i Paesi si trovano davanti a una sfida epocale: ridisegnare il proprio modello di protezione sociale in un contesto di risorse limitate, demografia sfavorevole e crescenti tensioni sociali.
La sfida per i governi, presenti e futuri, sarà quella di trovare un equilibrio tra equità sociale e sostenibilità economica, evitando di sacrificare le aspirazioni delle nuove generazioni sull’altare delle promesse passate.
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