Corrado Lanzone, dalla Ferrari ai robotaxi in California: “Voglio creare qualcosa di straordinario”

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Ha lasciato la Ferrari e la Formula 1 di Maranello, dove per 20 anni è stato direttore di produzione, per costruire da zero robot taxi in California. Dai circuiti automobilistici a 300 km/h è passato a creare un veicolo rivoluzionario, che si muove senza pilota a 70 all’ora tra le strade di Las Vegas e San Francisco.

Corrado Lanzone, 60 anni, è Vice President of Manufacturing Operations a Zoox, startup californiana fondata nel 2014 da due visionari, Jesse Levinson e Tim Kentley-Klay, e acquisita da Amazon nel 2020. Lanzone guida un team che è responsabile dell’intero processo produttivo del robot.

Negli ultimi dieci anni, partiti da un progetto su un foglio bianco, hanno costruito tutto il necessario per trasformare un prototipo in un veicolo di serie, dotato di straordinarie tecnologie di guida autonoma: dai materiali alla logistica, dalla produzione alle tecnologie necessarie.

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«È un mezzo estremamente sofisticato e bello. A vetrate, simmetrico, bidirezionale. Non ha volanti né pedali. Dispone di telecamere, sensori, lidar e radar su tutti e quattro gli angoli. È innovazione allo stato puro. È progettato attorno al passeggero, non al conducente: ogni passeggero ha lo stesso livello di sicurezza, grazie a un innovativo airbag a forma di ferro di cavallo che, in caso di incidente, avvolge ogni passeggero e lo mantiene sicuro al suo posto. Inoltre, il veicolo non si muove se tutti non hanno allacciato la cintura…».

Siamo all’inizio di una nuova era di trasformazione della mobilità. Le nuove generazioni non sono più legate all’idea di possedere un’auto. Vogliono muoversi ed essere liberi di farlo.

«Ciò che perseguiamo non è solo un’idea romantica e sostenibile, che consente di spostarsi in totale sicurezza da un punto A a un punto B. La nostra visione nasce in un contesto tecnologico straordinario che combina velocità, la legge di Moore, computer sempre più potenti e compatti, sensori avanzati, algoritmi di machine learning, modelli predittivi, calcolo parallelo e la capacità di hardware e software di garantire una guida sicura in tempo reale».

Sicurezza è la parola chiave di questa intervista. E forse anche della vita di Lanzone.

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Genovese, con una laurea in Ingegneria Civile e strutturale all’università di Genova, inizia la sua carriera all’Istituto Italiano della Saldatura, dove impara tutto. «Ho conosciuto tutte le tecnologie sui metalli, sui materiali ceramici e adesivi. Ho imparato da settori diversi e ho acquisito esperienza tecnica di base». Nel 1994 entra in contatto con la Ferrari per un’attività di consulenza per la Testarossa e la F360 Modena, la prima vettura in alluminio uscita da Maranello.

Qualche anno dopo il team di manifacturing ha chiesto a Corrado: verresti a lavorare con noi? «Ho iniziato – come si dice in Usa- dal shop floor, dalla fabbrica. Ma era una fabbrica di altissima qualità, con tecnici altamente specializzati e ho assunto responsabilità sempre maggiori. È stato un viaggio incredibile durato vent’anni e passato in un attimo, in cui ho vissuto emozioni straordinarie».

Durante gli anni in cui Lanzone è a Maranello, la Ferrari vince tanti titoli. Ma a un certo punto, un’inquietudine si fa strada in lui. «Ero nella mia comfort zone. Il lavoro stava diventando ripetitivo. Mi sentivo in una “prigione d’oro”. Lasciare un’azienda come Ferrari, che è un’eccellenza assoluta e che avevo nel cuore, è stato difficile. Come potevo trovare una cosa più interessante della Formula 1? Ho cercato qualcosa di diverso. Ho trovato questa piccola startup a San Francisco, che faceva un prodotto hardware. Sono venuto a vederlo e sono rimasto affascinato dall’idea geniale e dallo sviluppo tecnologico planetario. Ho fatto una due diligence tecnica e ho capito che era una scommessa che valeva la pena giocare…»

Così con la moglie, nata in Vermont ma di famiglia italiana e conosciuta a Maranello, e due figli di 5 e 6 anni, Lanzone si trasferisce a San Francisco. «Ci siamo detti, vabbè durerà un anno».

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Era il 2017. Zoox era una piccola startup con poche centinaia di persone. È stata acquisita da Amazon nel 2020. «Abbiamo capitali ma preferiamo procedere con passi graduali e sicuri invece di accelerare, anche se la richiesta è fortissima e noi stessi siamo motivati a portare questo veicolo sul mercato al più presto». Zoox fornirà un servizio di mobility as a service. Oggi, nel 2024, in azienda ci sono più di 2.500 dipendenti.

«Waymo di Google e pochi altri pochi players sono nostri fellow travelers, compagni di viaggio, ma il nostro approccio è diverso rispetto a loro. La nostra tecnologia è in gran parte nuova. Nuovi i sistemi frenanti, i motori, le batterie e altri aspetti caratteristici che sono già disponibili nel mondo automotive. Il nostro sforzo è quello di integrazione di sistemi diversi, e ciò è possibile solo attraverso l’unione di tante persone con background ed esperienze diverse».

Di carattere umile, se gli chiedi cosa insegna la sua storia alle nuove generazioni, ti risponde. «Posso raccontarti il mio vissuto, che è sempre stato caratterizzato da un forte impegno. Ho una grande passione per la tecnologia e sono sempre stato mission driven. C’è poi un altro aspetto che ho incontrato lungo la strada e che ho fatto mio: è il concetto di squadra. Sono convinto che together everyone achieves more, insieme si può fare qualcosa di più grande rispetto a quello che può essere ottenuto da un singolo individuo. Serve rispetto, comprensione e mutuo sostegno».

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«Tutta la mia famiglia di origine è ancora in Italia, che è un Paese incredibile. Ricco di bellezza, cultura, architettura, storia e forse anche un po’ di caoticità che lo rende unico. Spesso però manca una logica lungimirante di opportunità e fiducia. Quando sono in Italia, tutti mi dicono: che bello, tu vivi in California. Quando sono in California, tutti mi dicono: wow, sei italiano. Qui però non c’è scetticismo. C’è coraggio, energia, accettazione del fallimento. E una grande apertura verso gli altri.

Quando vedo i miei figli giocare a calcio a Foster City con bambini asiatici, di colore, latini, europei, biondi, scuri, che si abbracciano, gioiscono e si impegnano insieme, riconosco il sogno dell’umanità che si realizza. Un sogno in cui le differenze d’origine scompaiono in unico abbraccio e in uno sforzo condiviso per il bene del Pianeta e dell’umanità».



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