De Magistris e Di Matteo denunciano i ”Poteri occulti” che governano l’Italia

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A Napoli la presentazione dell’ultimo libro dell’ex pm di Catanzaro

I poteri occulti hanno condizionato e condizionano la vita democratica del nostro Paese”.
Ma cosa significa poteri occulti?
Una volta c’erano i grembiulini, i compassi, uno può pensare che c’è un simbolismo, ma attenzione, il potere occulto è qualcosa di molto più sottile e raffinato. È rappresentato da quei legami tra persone che ricoprono ruoli diversi nella vita anche sociale, non solo istituzionale, quindi uomini e donne delle istituzioni della politica, degli apparati dello Stato e della pubblica amministrazione, ma anche del mondo delle professioni, della borghesia, della finanza, dell’economia, del giornalismo, di tanti settori, che uniti da un vincolo di obiettivo, che è quello di asservire le istituzioni per interessi privati, lobbistici, affaristici e in alcuni casi criminali, prendono queste decisioni in luoghi altri, entrano nei luoghi poi dove esercitano le proprie professioni e le ratificano. Quindi la ratifica è il bollino della legalità formale di decisioni che hanno obiettivo soprattutto, guarda caso, lo svuotamento della Costituzione”.
Una Costituzione che per l’80% “non è stata attuata.
È stata questa l’analisi dell’ex sostituto procuratore e poi sindaco di Napoli Luigi de Magistris in merito alla situazione politica e sociale italiana.
Il suo intervento si è tenuto ieri presso la “Libreria Feltrinelli” di Piazza dei Martiri (Napoli) durante la presentazione del suo ultimo libro “Poteri occulti” (ed. Fazi) assieme al sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato al Csm Nino Di Matteo.
L’evento è stato moderato da Leonardo Del Gaudio, giornalista de ‘Il Mattino’.
Il libro di Luigi de Magistrisè importante perché ripercorre tappe fondamentali della nostra storia repubblicana e lo fa in un momento in cui, a mio avviso, nel Paese si sta perdendo la memoria, e un Paese senza memoria rischia di essere un Paese senza futuro consapevole” ha detto Di Matteo.

In questo libro – ha continuato de Magistris – ho cercato in maniera anche snella, senza congetture e complottismi, di provare a verificare se esiste un filo nero, e lo chiamo nero in maniera non casuale, che ha attraversato addirittura dal dopoguerra ad oggi il nostro Paese”.
Il riferimento è alle stragi che si sono susseguite in Italia come Portella della Ginestra, Piazza Fontana, Pizza della questura di Milano, Piazze della Loggia, strage di Bologna, Italicus, strage del rapito 904 e le stragi del ’92 – ’94.
“Quindi noi siamo sicuramente una democrazia formale e apparente” ha ribadito l’ex pm, “ma siamo davvero una democrazia compiuta se noi non sappiamo ancora la verità?”
Nella terra di Sicilia, come ha spiegato Di Matteo, “è accaduto quello che non è accaduto in nessun’altra parte del mondo”, cioè l’uccisione di “decine e decine di magistrati”, l’esecuzione di “stragi che hanno fatto saltare in aria interi palazzi, come è avvenuto per Chinnici, per Borsellino, o interi tratti di autostrada, com’è avvenuto per Giovanni Falcone e Francesca Morvillo; oppure l’assassinio del “presidente della regione siciliana, Piersanti Mattarella, e il rappresentante più alto dell’opposizione politica, Pio La Torre, cosi come “il prefetto di Palermo nella persona del generale Carlo Alberto della Chiesa”. “Ma questo – ha detto – è stato possibile per un motivo. Perché Cosa Nostra, la mafia, non è un fenomeno di ordinaria criminalità o tantomeno di bassa macelleria criminale. È un fenomeno che si è sempre nutrito del rapporto con il potere”.
Il magistrato ha ricordato poi le parole dell’ex capo di Cosa nostra Salvatore Riina, il quale diceva “spesso ai suoi uomini più fidati, agli altri componenti della commissione provinciale e regionale: ‘Se noi non avessimo avuto e non avessimo il rapporto con il potere, il rapporto con la politica, saremmo stati una banda di sciacalli, ci avrebbero schiacciato facilmente in pochi anni e senza nessuno sforzo’.”
Questo significa che “Cosa nostra ha sempre avuto nel suo Dna la capacità oltre che la volontà di intessere, mantenere, implementare i rapporti con il potere, in particolare con il potere politico”.

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La nuova strategia della tensione

“Oggi c’è la nuova strategia della tensione” che passa “attraverso la conquista del potere” e la neutralizzazione dei “servitori della Repubblica con i proiettili istituzionali e con la carta del potere”. Il Sistema non vuole che qualcuno faccia indagini sul Potere. Ma se ciò accade, le rappresaglie sono spietate. Prima si tenta con la “museruola”, poi con interrogazioni parlamentari insolitamente pressanti e spesse, in seguito ci sono le delegittimazioni, l’isolamento, e infine, se tutto questo non basta, arriva l’artiglieria pesante: procedimenti disciplinari, trasferimenti e processi.
Tutto questo armamentario venne messo contro de Magistris.
Anche il Consiglio Superiore della Magistratura fece la sua parte: “Condanna con la sanzione della censura, trasferimento per incompatibilità ambientale e funzionale”. In altre parole si trattava di “lasciare la Calabria” senza “la possibilità di fare il pm“. Anche qui di novità non ce ne sono: infatti ancor prima vi fu la delegittimazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
C’è poco da aggiungere: i magistrati “anti-corrente” o “anti-sistema” non hanno santi in paradiso. Nonostante tutto “ci sono magistrati che nonostante tutto oggi continuano in maniera ostinata, indipendente, autonoma, professionale e coraggiosa il loro mestiere dovendosi, come il caso di Nino Di Matteo, contestualmente, nel periodo in cui investigava sulla cosiddetta trattativa tra pezzi di Stato e mafia, guardarsi allo stesso tempo dal tritolo, che era arrivato a Palermo su indicazione di Totò Riina per farlo saltare in aria, e dall’allora Presidente della Repubblica del nostro Paese, che esortava il Procuratore Generale della Cassazione a attivare un’iniziativa disciplinare nei confronti di Di Matteo”.

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L’immobilismo della politica

Il dramma di questo Paese – ha detto il sostituto procuratore nazionale antimafia – è che se viene accettato un rapporto tra, per esempio, una parte della mafia e un uomo politico” e “se da quegli accertamenti non scaturisce una sentenza di condanna, quell’uomo politico è ritenuto assolutamente pulito. Ecco, il dramma a mio avviso di questo Paese è questo: rispetto a fatti accertati, se non c’è la possibilità di dimostrare la responsabilità penale, in Italia non scatta mai un meccanismo che faccia valere responsabilità di tipo politico o di tipo disciplinare, per altri versi, o di tipo deontologico. La politica ha, diciamo, lasciato esclusivamente sulle spalle dei magistrati comunque nel campo dell’accertamento giudiziario, quello che avrebbe dovuto e necessariamente considerare”.
Di Matteo è così tornato a parlare della questione morale: essa non “può prescindere da quella che è l’attività di liberazione da questi poteri”.
Il magistrato ha poi esortato i cittadini, nei limiti dei rispettivi ruoli, non solo di “sognare di difendere la Costituzione, non soltanto di difenderla, ma di promuoverla. Perché se è vero come è vero che ci sono tanti articoli disattesi della Costituzione, forse la vera rivoluzione, sarebbe quello, il vero cambiamento, non di cambiare la Costituzione, ma di applicarla”.
“Forse la vera chiave”
dovrebbe essere “una politica attenta ai valori costituzionali, quella di interpretare e applicare in chiave evolutiva il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione il quale recita che ‘è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.’

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Nino Di Matteo

Ma le recenti riforme della giustizia anziché rimuovere, aggiungono degli ostacoli. Le riforme Nordio e Cartabia invero “disegnano ancora una volta una giustizia a due velocità, magari efficiente, rigorosa, certe volte anche troppo rigorosa nei confronti degli ultimi e una giustizia, invece, con le armi spuntate nei confronti dei colletti bianchi. Quando assistiamo all’abrogazione dell’abuso d’ufficio, allo stravolgimento del reato di traffico di influenza, alla limitazione delle intercettazioni per i reati contro la pubblica amministrazione, quando assistiamo al divieto di pubblicare intercettazioni, ci rendiamo conto che si sta avvenendo a creare, ancora più di quanto già sia nel nostro Paese evidente, uno scudo di protezione per i potenti, che passa anche attraverso il bavaglio all’informazione”.
De Magistris ha poi ricordato che la politica italiana sta seguendo platealmente il solco del “piano di rinascita democratica di Licio Gelli, scoperto da due coraggiosi magistrati all’inizio degli anni Ottanta, Giuliano Turone e Gerardo Colombo“.
Tra i punti salienti vi era la realizzazione di una “Repubblica presidenziale, premierato forte, eliminare la centralità del Parlamento, controllo dei mezzi di comunicazione pubblici e privati, eliminare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, ridurre la capacità di contrasto delle organizzazioni sindacali, uno stato di eccezione che diventa permanente, criminalizzazione del dissenso”.
Un programma che va contro alla volontà del popolo veramente libero: Di Matteo ha testimoniato che “c’è una grande sete di giustizia che passa attraverso una volontà della parte sana e preponderante del popolo italiano di avere una magistratura libera”.
In seguito l’autore, raccontando la propria esperienza, descrive la complicità tra politici, imprenditori, professionisti e pezzi delle istituzioni facendo emergere episodi di ostilità ricevuta da magistrati impegnati in indagini su tali sistemi, spesso ostacolati da colleghi o vertici conniventi. Ha evidenziato inoltre come la corruzione coinvolga trasversalmente figure di ogni schieramento politico e si intrecci con interessi privati e mafiosi. Nonostante gli sforzi di alcuni magistrati, il sistema si dimostra profondamente radicato, favorendo la continuità di queste dinamiche e punendo chi tenta di contrastarle.

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I punti oscuri della nostra storia

Il contatto tra alcuni esponenti delle istituzioni e Cosa nostra per porre fine alle stragi; il livello di complessità degli attentati, come quello di Capaci, che richiese competenze tecniche avanzate; il mancato tentativo di ripetere l’attentato all’Olimpico di Roma e la sua possibile correlazione con l’arresto dei fratelli Graviano quattro giorni dopo; l’intento iniziale di uccidere Falcone a Roma e la decisione di Riina di spostare l’attentato a Palermo per renderlo più clamoroso e via elencando.
Sono solo alcuni dei punti interrogativi sui quali non si è fatto ancora piena luce. “Io penso – ha detto Di Matteo – che non ci sia una volontà politica di approfondire certi temi. La commissione parlamentare antimafia in carica non sta indagando sulla strategia stragista, sulle sette stragi. Ne ha isolata una sola, quella di Via d’Amelio e soltanto su una pista che inizialmente è risultata la meno accreditata. Ma io mi chiedo: ma come si fa? Su sette stragi, a concentrarsi soltanto su una, ignorando ed evitando di approfondire quello che è successo prima e quello che è successo dopo. Eppure questi temi, mi rendo conto, che sono ormai trascurati”. 
Ora la ricerca della verità “è affidata a pochi isolati magistrati” mentre la “commissione parlamentare antimafia avrebbe gli strumenti per approfondire questa inchiesta e non li vuole attivare”.
L’ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato, “che io continuo a considerare un collega” ha “presentato una lista di oltre cinquanta pagine di approfondimenti che la commissione avrebbe potuto fare su tutta la stagione stragista. Oggi in commissione parlamentare antimafia quegli approfondimenti non si stanno facendo”.

Foto © Alessandro Dura/ACFB

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