«Se penso a Lazio e Napoli mi vengono in mente una serie di ricordi. Uno più intenso dell’altro. Ma soprattutto, la cosa che non potrò mai dimenticare sono i primi passi che ho percorso in entrambe le avventure. La prima volta che da bambino ho messo piede a Tor di Quinto per il provino: avevo tredici anni e mi sembrava un sogno. Poi, quando a 28 anni sono andato nella sede del Napoli a Piazza del Plebiscito per firmare il contratto con gli azzurri e c’erano tantissime persone che mi aspettavano». Bruno Giordano riavvolge il nastro della sua vita laziale e napoletana. Due esperienze diverse: nella prima ha indossato e difeso i colori che ha amato sin da bambino, in momenti particolarmente difficili; nella seconda si è tolto la soddisfazione di vincere uno scudetto e di giocare al fianco del “più grande giocatore della storia del calcio”».
Giocare al fianco di Diego Maradona è stata la classica esperienza che segna una carriera?
«Diego era unico: e la cosa bella è che ti sapeva mettere nelle condizioni di stare al suo fianco e giocare con una naturalezza e una semplicità incredibile».
Lei, che aveva vinto la classifica dei marcatori, si sacrificò e si mise a disposizione di Maradona…
«Ma questa cosa è normale nel mondo del calcio. Nella Lazio io e Vincenzo D’Amico eravamo probabilmente i giocatori che avevano più qualità e c’erano molti compagni che si mettevano a nostra disposizione. Che lavoravano anche per noi. E io a Napoli, ho fatto la stessa cosa con Maradona. Ma ne è valsa la pena…».
Andiamo lontani dalla verità se diciamo che la Lazio è stata l’inizio della sua avventura calcistica e il Napoli ne ha rappresentato la consacrazione?
«Non la metterei in questi termini. Anche alla Lazio mi sono sentito consacrato come calciatore. Ho vinto due classifiche dei marcatori, una in A e una in B, ho fatto tanti gol togliendomi tante soddisfazioni. Purtroppo mi è mancata la vittoria».
Erano anni difficili…
«Se riavvolgo il film della mia vita laziale, purtroppo, non sono riuscito ad alzare al cielo un trofeo, se non quello della classifica dei bomber. Erano anni complicati: ma mi manca non aver vinto neanche una Coppa Italia a Roma, con la maglia della Lazio. I primi anni, con la squadra reduce dalla gestione Maestrelli, le cose andavano anche bene. Poi sono arrivati i problemi: le disgrazie, le morti, i momenti negativi. Purtroppo alla Lazio il più delle volte la salvezza era una sorta di mezzo scudetto».
A livello personale però le cose sono andate diversamente…
“Sì. Penso di essermi riuscito a togliere diverse soddisfazioni a livello personale. E la mia esperienza alla Lazio è stata fantastica: purtroppo sarebbe stato bello coronarla con un successo. Ho vinto un titolo Primavera, un campionato De Martino, ma il successo con la prima squadra mi manca. Magari da calciatore ci facevo meno caso. Oggi, che guardo al passato e alla mia carriera, ci penso spesso: sarebbe stato fantastico vincere con la maglia biancoceleste».
È questo il suo rimpianto più grande?
«Sì. Ripensandoci bene, se non fosse accaduta una cosa, forse potevamo pensare di vincere ancora…».
A cosa si riferisce?
«Alla partenza di Chinaglia. Se fosse rimasto Giorgio, forse avremmo potuto continuare a vincere. Io e lui abbiamo giocato poco insieme. Mentre sono riuscito a fare coppia con Maradona, io e Chinaglia ci siamo solo sfiorati. Un mezzo campionato, prima che lui lasciasse Roma e l’Italia. Forse, se fosse rimasto un po’ di più, le cose sarebbero cambiate. Con l’ossatura della squadra di Maestrelli e con noi giovani si sarebbe creato un mix che avrebbe permesso alla Lazio di andare avanti per tanti anni. Pensi ai reduci dello scudetto insieme a me, Manfredonia, Di Chiara, Agostinelli. Sarebbe stata una squadra straordinaria. Purtroppo non è andata così».
Il momento più bello passato nella Capitale?
«Sono stati sedici anni meravigliosi. Per me indossare la maglia biancoceleste è stato il massimo. Andare al campo di allenamento, giocare per la Lazio era una cosa fantastica».
Il passaggio dalla Lazio al Napoli?
«La società viveva una situazione finanziaria difficile. Purtroppo doveva cedermi. Si era fatta avanti l’Inter, c’era stata la possibilità Juve. Si parlò anche della Roma. Io giocai il mio ultimo derby che avevo tutti contro: i romanisti che inorridivano all’idea che andassi da loro e i laziali che mi insultavano. Feci gol ed esultai in modo rabbioso. Quando seppi del Napoli, non ci pensai su due volte. Sono riuscito alla fine a fare un piccolo regalo alla Lazio. L’operazione doveva chiudersi intorno ai quattro miliardi. Io sono riuscito a convincere Allodi, che era un gran signore, ad arrivare almeno fino a cinque. Per aiutare le casse della Lazio».
Come è stato invece vincere a Napoli?
«Qualcosa che a distanza di 37 anni ricordo con tutto il cuore: un’emozione indelebile, che resterà per sempre nella mente di noi calciatori e dei tifosi. Anche nei giorni scorsi, andando a Napoli, mi sembrava di rivivere quei momenti: è stata la prima vittoria nella storia del Napoli, una sorta di rivalsa del popolo napoletano nei confronti di tutti. Un riscatto sportivo e sociale di tutti i napoletani».
Il gol più bello segnato con la maglia del Napoli?
«Alla Juventus in trasferta nell’anno dello scudetto: un gol in mezza rovesciata, su angolo di Maradona».
E con la Lazio?
«Sempre alla Juve, il giorno in cui ne feci due».
Quale dei due? Quello al volo o quello con il doppio pallonetto?
«Quello con il pallonetto: volevo fare quella giocata e mi è riuscita. C’è un po’ tutta l’essenza del mio calcio, secondo me».
A proposito, ma il detto che Giordano i gol o li faceva belli o non li segnava, corrisponde a verità, o si tratta di una forzatura?
«È vero, e infatti nella mia carriera mi mancano almeno una ventina di gol: la giocata sporca, il gol di rapina. Io ho sempre pensato che il gol bello valesse di più».
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