i maggiori esportatori e importatori e la crisi del grano russo-ucraina

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Forse non tutti sanno che alcuni dei conflitti e delle crisi internazionali che interessano il nostro tempo hanno proprio il proprio punto focale nel possesso delle riserve di cereali. Questi, tra cui grano, mais, riso, orzo, avena, dall’epoca dell’agricoltura di sussistenza fino a oggi hanno sempre occupato una posizione fondamentale nella dieta degli esseri umani. Anche nella moderna economia industriale si sono ritagliati un posto di primaria importanza, considerando in aggiunta l’alimentazione del bestiame e la produzione di prodotti di svariate tipologie. Proprio a causa del loro ruolo cruciale, non stupisce che siano stati al centro di lotte e contese in varie parti nel mondo.

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Il mercato dei cereali nel mondo

Prima di passare all’analisi di come i cereali hanno impattato sulla storia umana, facciamo una rapida panoramica sui principali cereali (grano, mais e riso) per capire quali siano i loro principali Paesi produttori, esportatori e importatori a partire dai dati pubblicati su FAOSTAT ed espressi in tonnellate di prodotto (riferiti all’anno 2022). Cominciamo dal grano:

Interessante notare come la Cina sia tanto il primo produttore mondiale quanto il primo importatore, il che significa che non riesce a soddisfare il proprio fabbisogno interno da sola. USA e Australia hanno invece una produzione improntata anche molto alle esportazioni. Passiamo al mais:

Anche in questo caso abbiamo la Cina che non riesce a soddisfare il proprio fabbisogno interno, mentre altri Paesi (USA, Brasile e Argentina, ad esempio) riescono a esportare una buona quantità della produzione. Rilevante (vedremo nell’ultimo paragrafo il come e il perché) è il ruolo dell’Ucraina nella top5 degli esportatori mondiali. Infine arriviamo al riso:

In questo caso abbiamo un dominio asiatico nella produzione, con l’India che riesce addirittura a esportare una piccola quota di quanto coltivato.

L’importanza della coltivazione dei cereali per lo sviluppo delle grandi civiltà

Veniamo quindi a una breve sintesi storica dell’importanza dei cereali per l’umanità e partiamo col dire che non è chiaro l’esatto momento nel quale avvenne la domesticazione delle specie di cereali (anche perché tale processo interessò diverse comunità umane per varie specie di cereali sparse per il mondo). Il consenso prevalente è che tale processo sia avvenuto attorno a 10.000 anni fa, nel corso della cosiddetta “rivoluzione neolitica”. Fu in quel periodo che le comunità di individui organizzate in maniera gerarchica sarebbero passate da una situazione nella quale la loro dieta era basata essenzialmente sulla carne a una basata sui prodotti agricoli.

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In questo contesto, le differenti specie di cereali svolsero un ruolo fondamentale nello sviluppo delle grandi civiltà antiche. La produzione di cereali permise, infatti, agli antichi di avere a disposizione un surplus agricolo che costituì la prima base dello sviluppo della civiltà materiale. Restringendo il campo d’analisi solo alle specie più famose, non è difficile comprendere che il grano svolse un ruolo fondamentale nella fioritura delle civiltà mesopotamiche e di quella degli antichi Egizi. In Estremo Oriente invece fu il riso il principale artefice dell’ascesa dell’Impero Cinese e dell’Impero Khmer, solo per citarne alcuni. Il mais, infine, giocò un ruolo insostituibile nello sviluppo delle civiltà amerindie (Aztechi, Maya, Inca, ecc…)

L’agricoltura industriale per sostenere la crescita demografica

Passando all’attualità, si può dire che l’agricoltura sia ormai diventata a tutti gli effetti un’attività di tipo industriale. Le innovazioni introdotte dalla cosiddetta “Rivoluzione Verde” hanno permesso di accrescere notevolmente la produzione di cereali a livello globale in parallelo all’incredibile crescita demografica della popolazione umana. Infatti, andando a consultare i dati della FAO, vediamo che se la produzione globale di cereali era di oltre 936 milioni di tonnellate nel 1961, nel 2019 essa era balzata a quasi 3 miliardi di tonnellate.

Questa crescita ha avuto un influsso non solamente sulla sicurezza alimentare della popolazione umana (per fortuna in lenta ma continua crescita), ma ha permesso di incrementare anche le attività di allevamento (con delle problematiche di natura ambientale) perché il surplus in eccedenza della produzione di cereali ha potuto essere dirottato all’alimentazione degli animali. Non tutti sanno infatti che una notevole percentuale della produzione mondiale di mais, ad esempio, non viene destinata al consumo umano, ma finisce nel mangime dei bovini.

Gli effetti della Guerra russo-ucraina sul mercato del grano

Purtroppo, esattamente come avvenuto per i metalli preziosi, gli idrocarburi e l’acqua, ora anche i cereali rischiano di diventare un nuovo punto focale della competizione geopolitica internazionale. Già al termine del 2021, a causa degli effetti negativi che il cambiamento climatico sta avendo sulla fascia compresa tra il Tropico del Cancro e quello del Capricorno, vi erano oltre 100 milioni di africani che vivevano in situazione di estremo disagio e insicurezza alimentare. La loro situazione è divenuta addirittura catastrofica dopo lo scoppio della Guerra russo-ucraina e l’inizio della crisi alimentare mondiale che essa ha provocato.

La situazione è particolarmente delicata, poi, ad esempio, nel Corno d’Africa laddove la cronica instabilità degli Stati dell’area, le siccità ricorrenti e la scarsa meccanizzazione dell’agricoltura, oltre all’aumento dei prezzi generato dalla Guerra russo-ucraina e all’aumento medio dell’inflazione a livello mondiale, rischia di provocare un disastro umanitario (nella sola Somalia circa la metà della popolazione è a rischio carestia).

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Non bisogna pensare però che la Guerra russo-ucraina abbia creato problemi unicamente ai paesi subsahariani. Andando a consultare i dati antecedenti al conflitto si scopre infatti che, al 2021, erano circa una cinquantina i Paesi che dipendevano da Russia ed Ucraina per un 30% delle loro importazioni di grano, con Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran che importavano più del 60% del loro fabbisogno dai due Paesi poi scesi in guerra (all’epoca Russia ed Ucraina producevano circa il 15% del fabbisogno mondiale di “grano tenero”).

Leggermente diversa invece è la questione del cosiddetto “grano duro” (per capirci, quello utilizzato dagli italiani per produrre la pasta) dato che, alla vigilia della già citata guerra, quasi un quarto dell’output mondiale veniva fornito dai paesi dell’UE. Eppure ad intervenire in questo caso è stata la siccità che ha avuto l’effetto di danneggiare i grandi produttori nordamericani (Stati Uniti e Canada) i quali hanno visto tra il 2020 ed il 2021 le loro quote di mercato contrarsi dal 24,2% al 10,5%, favorendo in tal modo l’ascesa dei produttori nordafricani (Marocco, Algeria e Tunisia), passati dal 13,4% al 16,7% in un momento però nel quale Marocco ed Algeria sono impegnati in una corsa agli armamenti che non fa sperare nulla di buono per la stabilità dell’area del Maghreb.





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