Parto da me per essere più chiaro. Sono andato in pensione nel marzo del 2022: la mia pensione di allora era più alta di oggi, in valore assoluto. Non sto parlando di perdita del potere d’acquisto per l’inflazione, parlo proprio di una cifra inferiore. Come è stato possibile? È stato possibile perché nel frattempo sono aumentate le addizionali Irpef comunale e regionale. Quelle che i comuni e le regioni sono costretti ad aumentare dopo ogni legge di bilancio dello Stato, quando il Governo taglia i finanziamenti agli enti locali dicendo di non aver aumentato le tasse, lasciando agli stessi enti locali il lavoro sporco di aumentare le imposizioni o diminuire i servizi ai cittadini.
Parlo della mia pensione che oggi è inferiore a quella che percepivo all’inizio, anche se il lordo è leggermente aumentato, perché il prelievo fiscale adesso è più alto di allora.
Ma questo è niente, rispetto al fatto che da allora ad oggi c’è stata un’inflazione del 17% che ha ridotto della stessa percentuale il potere d’acquisto di stipendio e pensioni. Qualcuno potrebbe dire a questo punto: ma non c’è un sistema di perequazione annuo delle pensioni che fa recuperare il potere d’acquisto? Si c’è, infatti l’anno scorso la percentuale di perequazione era fissata al 5,7% (un terzo dell’inflazione reale), peraltro, defalcata man mano che la pensione sale sopra il livello medio minimo: un primo scaglione al 90%, un secondo scaglione al 70% ed un terzo al 50%. Meno di quanto sia aumentato il prelievo dell’addizionale regionale e comunale, ed è per questo che l’importo è inferiore a quello di partenza.
La perequazione di quest’anno è fissata allo 0,8% di massima e 0,4 di minima (sempre un terzo dell’inflazione reale pur diminuita). Quindi la perequazione non solo non recupera il potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione, ma non recupera nemmeno il prelievo in più e fra l’altro, dopo che la legge di bilancio in discussione avrà tagliato 5 miliardi agli enti locali sarà molto probabile che saranno costretti in corso d’anno ad aumentare ancora l’addizionale.
Quindi una pensione di circa 3 mila euro lordi – che diventano circa 2 mila netti perché un terzo viene tagliato dall’Irpef – che gli amici di Tavares o di Musk, chiamerebbero “pensione d’oro”, ha una tassa in più che deriva da una perequazione differenziata, dimezzata, certamente anticostituzionale. Questa è una tassa aggiuntiva sui pensionati medi.
La spesa più alta e le pensioni più basse d’Europa
Il paradosso delle pensioni italiane è che abbiamo gli importi delle pensioni più bassi d’Europa e la spesa pensionistica più alta d’Europa, non solo per il fatto che sull’Inps grava la voce assistenza che dovrebbe essere a carico della fiscalità generale e non solo dei pensionati, ma soprattutto perché sui singoli importi pensionistici si paga mediamente un 30% di tasse, mentre nel resto dell’Europa la tassazione delle pensioni è mediamente meno di un terzo. Questo vuol dire che in Italia lo Stato si riprende quasi un terzo della spesa pensionistica.
Quindi, da dove vengono le briciole che Meloni mette sulle pensioni minime? Vengono dagli altri pensionati che prendono leggermente più del minimo. In sostanza Meloni fa l’elemosina con i soldi degli altri.
Lo stesso vale per i lavoratori dipendenti a favore dei quali la premier si vanta di aver messo una posta di dieci miliardi per ridurre il cuneo fiscale, ma anche in questo caso i soldi vengono dalla fiscalità generale, che, come viene puntualmente certificato ogni anno, per oltre l’80% viene pagata dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. Ed è sempre da loro che sono arrivati 17 miliardi in più di gettito fiscale.
È quindi evidente, anche in questo caso, che si tratta di una solidarietà tutta interna al mondo del lavoro dipendente, fra chi ha poco e chi un po’ di più, con un incasso netto da parte dello Stato, a beneficio di altre categorie di evasori fiscali conclamati.
Del resto anche sui salari c’è un altro paradosso italiano: abbiamo i salari più bassi d’Europa ed il costo del lavoro più alto, il che vuole dire che il costo del lavoro non è determinato dai salari, che ormai viaggiano intorno al 15% dei costi totali sul prodotto finito, ma da altri costi: energia, promozione e pubblicità, distribuzione, ingegneria e brevettazione, management (Tavares costa come 4 mila lavoratori). Eppure si pretende di intervenire con tagli ai salari mentre gli altri alti costi non si discutono, si dà per scontato che siano incomprimibili.
L’elemosina con i soldi degli altri e premi agli evasori
Nulla si fa per aggredire l’evasione fiscale, nulla si fa per fare pagare i ricchi che diventano sempre più ricchi e diventa addirittura uno scandalo parlare di tassare i grandi patrimoni, al contrario si offrono concordati e condoni. L’evasione fiscale, nel nostro paese è un dato strutturale del sistema economico, funzionale ad un quinto del nostro Pil derivato dall’ economia informale o, per meglio dire, in nero.
Sappiamo per certo che l’unico strumento in grado di azzerare l’evasione è il sostituto d’imposta, cioè il sistema di prelievo fiscale alla fonte e sappiamo altrettanto certamente che il sistema di pagamento elettronico ed una forte limitazione del contante, potrebbero consentire di stornare automaticamente le percentuali dovute per l’Iva, l’Irpef e quant’altro, compresa anche la beneficenza, in modo tale che le ritenute, vengano tutte effettuate alla fonte di ogni transazione economica, e quindi il consumatore, che diventa egli stesso sostituto d’imposta, non consegna al venditore una cifra lorda, ma netta, al netto di tutte le ritenute che in tempo reale vengono stornate a chi ne ha diritto.
Quando avanzo questa proposta di solito seguono risate e tanti “ciao core”, come si dice a Roma. Sembra una grande utopia. Ma allora se il sostituto d’ imposta diventa discriminante, proponiamo un referendum per abolire la norma sul sostituto d’imposta in modo che anch’io lavoratore o pensionato, avró lo stipendio o la pensione al lordo, poi pago l’affitto di casa, l’asilo, la macchina, la sanità, la scuola e poi pago le tasse.
Si accusa la CGIL di occuparsi poco e niente dei più deboli e precari ed occuparsi soltanto dei garantiti, in realtà se c’è una responsabilità del sindacato rispetto a questa situazione è che ci si è occupati in modo insufficiente ed inefficace degli uni e degli altri e che oggi i cosiddetti garantiti non lo sono affatto e tutti hanno subito una mortificazione del lavoro e del reddito ed un assoggettamento sempre più forte alla catena di comando interna ed esterna al posto di lavoro. Quindi, anche in questa fase storica, la rivolta sociale, la protesta, ma anche la proposta, non potranno venire soltanto dai segmenti più deboli e disperati, per ciò stesso meno lucidi, ma per essere vincente dovrà venire dall’ insieme del mondo del lavoro a partire proprio da quei lavoratori e lavoratrici che oggi rappresentano il ceto medio, ma in realtà sono i penultimi nella scala sociale, senza speranza di miglioramento, anzi con una prospettiva quasi certa di scivolamento in basso.
Il governo contro i lavoratori
Non è esatto dire che il governo è contro i poveri, il governo è contro i lavoratori tutti, è contro gli scioperi, è contro un assetto sociale basato sul lavoro, è contro i sindacati a prescindere. Infatti, attacca la CGIL accusandola contemporaneamente di essere troppo moderata o troppo radicale, di fare troppi scioperi o troppo pochi, di essere troppo oppositiva e troppo consociativa. Che la CGIL sia il nemico numero uno è evidente da due versanti: il primo sono i provvedimenti del governo che penalizzano il mondo del lavoro dipendente e premiano le categorie di lavoro finto autonomo delle partite Iva, ignorano il sindacato ed attaccano il diritto di sciopero; il secondo è dato dal fatto che la CGIL e nessuno altro sia stata oggetto di un gravissimo assalto squadristico della storia recente.
Rispetto alla ipotesi di rivolta sociale, il governo ci crede molto di più di quanto ci creda Landini, infatti sta già per varare una legge che trasforma la protesta sociale in reato e i lavoratori, i giovani, gli studenti, gli ambientalisti, le donne, gli immigrati in rivoltosi.
In quanto a Landini, occorre che la Cgil ritorni in fretta a fare il mestiere del sindacato, cioè elaborare con il consenso di tutti i lavoratori una piattaforma rivendicativa: più salario, più qualità e sicurezza sul lavoro, più welfare, più occupazione e più tutele sul mercato del lavoro. Poi bisognerà aprire un conflitto, una vertenza contro governo e padronato e portarla fino in fondo. Altrimenti la rivolta, se ci sarà, sarà contro il sindacato.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link