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Il Veneto ha cementificato quasi il 12% del suo territorio tanto da porlo al vertice del Belpaese in termini di nuovo suolo consumato. In questo frangente il Bassanese si presenta come uno dei comprensori più affamati di aree vergini. A dirlo è il rapporto 2024, proprio in tema di consumo di suolo elaborato in queste ore dall’Ispra: anche se il contesto preso in esame è quello dell’anno prima ovviamente. Tuttavia a fotografare la situazione poco incoraggiante dell’hinterland della città del ponte, che prende a piene mani proprio da quello studio, è l’associazione ecologista Aria, che due giorni fa ha diramato una nota molto puntuta al riguardo. Una nota cui ieri 6 dicembre è seguito un video pubblicato da Ispra Veneto che sta già facendo discutere sui social network.
LA PREMESSA
Ma che cos’è l’Ispra? L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale è un ente nazionale istituito per legge nel 2008. Come indica il suo nome ha tra i suoi compiti principali quello della ricerca in campo ambientale che poi (non sempre molto ascoltato), mette a disposizione delle articolazioni centrali e periferiche dello Stato. Gli scienziati dell’Ispra ogni anno danno vita a studi e bollettini di varia natura. Fra questi quello sul consumo di suolo, che include anche un articolato confronto tra le regioni, è puntualmente uno dei più commentati perché rende in maniera plastica l’orientamento delle stesse regioni sotto il profilo della tutela o della mancata tutela di una risorsa che, de facto, non è rigenerabile una volta compromessa.
BEN 891 ETTARI IN PIÙ RISPETTO AL 2022: COME 1250 CAMPI DI CALCIO
A Gettare uno sguardo impietoso sulla situazione attuale e pregressa è il canale YouTube di Ispra Veneto. Sul quale ieri è stato pubblicato un video che non fa sconti. Che si apre con queste parole: «Il Veneto è stato nel 2023 la prima regione italiana per aumento di consumo di suolo con 891 ettari in più rispetto al 2022». Si tratta di una superficie enorme, quasi 9 kilometri quadrati, più o meno l’equivalente di 1250 campi di calcio. A pesare come un macigno ci sono, tra le altre, la realizzazione e il completamento rispettivamente del Tav – Alta velocità Verona, Vicenza, Padova e quello della Superstrada pedemontana veneta – Spv. Proprio queste due grandi opere incidono non poco anche sull’aumento di un’alta voce ossia quella del «consumo netto» che si «attesta sui 609 ettari in virtù del completamento di lavori per infrastrutture e la conseguente chiusura di cantieri».
Il resto del dossier, che peraltro abbraccia l’intero Paese, si dipana in un percorso di 377 pagine fitte fitte di dati, ricognizioni e considerazioni: il tutto elaborato durante un anno di lavoro. Come si legge a pagina 57 del rapporto, in termini più generali, se si considerano i Comuni con più di 100mila abitanti, Vicenza non è messa bene. Il capoluogo berico infatti figura al 18esimo posto nazionale: terzo nel Veneto dietro sola a Padova e Venezia. Addirittura la città palladiana è più avanti di Verona. Ancora diversa è la situazione nella Marca cui Trevisotoday.it il 4 dicembre ha dedicato un servizio ad hoc.
«Il suolo – si legge nella nota diffusa da Manuela Mocellin, presidente dell’associazione bassanese ecologista Aria – è costantemente sotto attacco». Oltre al consumo di suolo, sempre secondo Mocellin fra i principali fattori del suo degrado troviamo, «la contaminazione da inquinanti… la perdita di sostanza organica progressiva, la desertificazione, la compattazione, la frammentazione e la eccessiva impermeabilizzazione, dovuta a un continuo consumo dei terreni verdi e agricoli ancora disponibili».
Appresso c’è una frecciata che richiama lo psicodramma vissuto diversi mesi fa a Bassano, quando il fronte ambientalista a si è messo di traverso, con successo peraltro, per bloccare un maxi hub logistico previsto nelle campagne del quartiere San Lazzaro: una maxi lottizzazione che avrebbe ulteriormente appesantito il computo oggi redatto dall’istituto. «Nel documento dell’Ispra – scrive Aria – viene indagata la situazione relativa proprio in quei due anni in cui la nostra associazione si è resa protagonista dell’azione di difesa di un’ampia area della città di Bassano del Grappa sottoposta a più riprese da parte di alcune imprese locali alla richiesta di costruzione in deroga di un nuovo hub logistico, che avrebbe incrementato di ulteriori trenta ettari il bilancio Veneto».
A corredo della nota diffusa da Mocellin c’è un breve specchietto che sintetizza i dati per il consumo di suolo nel Bassanese. La città del Ponte sfiora il 25%. La cugina Marostica si ferma a quota 13,4. Poi c’è una batteria di Comuni come Cartigliano, Mussolente, Nove, Pianezze e Romano d’Ezzelino che superano di poco il 20%. Rosà si attesta al 26%. Rossano Veneto raggiunge, ancora più in alto il 31,6% mentre Cassola, con un 39,38%, si conferma «locus terribilis» del comprensorio: anche in virtù di una storia amministrativa «che ha pochi eguali in senso negativo» si lamentano da anni da anni i comitati ecologisti. Pochi kilometri ad Ovest, sempre rimandando lungo il percorso della Spv, Thiene, fuori zona, registra un 38,56%. Le percentuali, già alte, scontano tra l’altro il fatto che nel conteggio ricadono anche le zone collinari e montane.
TARA ATAVICA
Ma perché il Veneto, come la Lombardia del resto, sconta un consumo di suolo così alto? Una delle ragioni storiche è la presenza di un consistente tessuto industriale. Chiuso con gli anni ’70 il capitolo delle grandi fabbriche (che avevano il pregio di rendere più densa e meno dispersiva l’impronta della produzione sul territorio) il Veneto ha abbracciato il modello della piccola industria, spesso a basso valore aggiunto, gettando le basi per una condizione come quella attuale fatta di una marmellata più o meno cosparsa sulle sette province. Il fenomeno è stato ribattezzato dagli urbanisti anglosassoni col termine dispregiativo di «urban sprawl»: riferito a chi è malamente o volgamrente spaparanzato su una qualche superficie.
IL MECCANISMO «MAFIOGENO» E IL CEMENTO COME «VIZIO OSCURO» DEL TERRITORIO
Allo stesso modo le imprese hanno esternalizzato la logistica, che in ossequio della nozione di gestione aziendale snella, è finita de facto o nei centri ad hoc o peggio nei camion che intasano le strade. «Si tratta di un modello inefficiente, malato, ambientalmente insostenibile e mafiogeno» sostiene da anni un altro coordinamento ecologista, il Covepa: che almeno dal 2010 contesta l’attuale tracciato della Spv. L’altro meccanismo che ha riempito il Veneto di «scatolame edilizio pseudoarchitettonico fatto di bifamiliari e villini a schiera mortiferi riguarda le aree dormitorio costruite sulla falsariga del modello americano attorno ai centri urbani dagli anni ’80 in poi. È una colpa che i veneti non hanno ancora cominciato ad espiare» aggiunge ai taccuini di Vicenzatoday.it l’architetto Massimo Folesa nella sua veste di vicepresidente del Covepa. «Il cemento – conclude l’architetto – è il vizio oscuro del Veneto: ora lo conferma l’Ispra per la ennesima volta. Ringraziamo ancora una volta la nostra classe dirigente visto che Pedemontana e Tav regalano al Veneto la maglia nera per il consumo di suolo».
LA LETTURA DELL’ASSESSORE CORAZZARI
E comunque a confermare in qualche modo una lettura in cui sia stata l’economia (legale o meno) e non la politica a generare nei decenni il contesto che oggi il Veneto è costretto a fronteggiare è proprio l’assessore leghista all’urbanistica Cristiano Corazzari. Il quale, sulla edizione vicentina di oggi del Corveneto in pagina 3, ammette: «questa terra è plasmata dalla sua economia». Sempre sul Corsera Corazzari fa sapere che la legge contro il consumo di suolo votata dalla maggioranza di centrodestra nel 2017 dovrebbe dovrebbe dispiegare il grosso dei suoi effetti solo a partire «dal 2050». E ancora, il titolare del referato all’urbanistica aggiunge che sette anni fa la decisione di non imprimere uno stop alle costruzioni fu una scelta corale della stessa maggioranza.
LEGGI IL RAPPORTO ISPRA 2024 SUL CONSUMO DI SUOLO
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