Il processo di digitalizzazione, con l’utilizzo diffusissimo delle nuove tecnologie, ha modificato profondamente il lavoro, rendendolo eseguibile in ogni spazio e luogo. Questo ha determinato, da una parte, una minore necessità di accesso nei luoghi di lavoro con l’estensione dello smart working e, dall’altra, maggiore flessibilità nello svolgimento delle attività e la possibilità di conciliare con più efficacia i tempi tra vita e lavoro. Fino a qui tutto bene, il punto è che queste nuove modalità hanno prodotto una eccessiva dilatazione dei tempi di lavoro con un’intensificazione dei ritmi di lavoro.
Un sondaggio effettuato nei mesi scorsi da Robert Walters, la società britannica di recruitment più importante al mondo, ha dato forma a un fenomeno sempre più diffuso anche tra i lavoratori italiani: il controllo dell’email di lavoro ancora durante le ferie. I dati raccolti da un campione di 2.000 professionisti mettono in evidenza che il 42% degli intervistati ammette di controllare regolarmente la propria posta elettronica lavorativa, mentre il 37% lo fa occasionalmente. Si tratta di un dato significativo che indica come sia sempre più complesso separare la sfera professionale da quella lavorativa con inevitabili conseguenze negative sulla salute e sul benessere dei lavoratori che spesso non riescono a rigenerarsi durante i periodi di riposo o le ferie.
Questa dannosa commistione tra sfera lavorativa e privata ci interroga sulle misure da adottare per fronteggiare questo nuovo cambiamento. Da qui la necessità di parlare di diritto alla disconnessione che altro non è che il diritto dei lavoratori all’irreperibilità, a non essere fatti oggetto di richieste fuori dall’orario di lavoro o durante le ferie, per garantire loro il rispetto dei tempi di riposo, la tutela del benessere e della sfera personale. Siamo abituati a definire questi momenti con la formula: “staccare la spina”. Ecco, il riconoscimento di un reale diritto alla disconnessione, a staccare la spina appunto, è diventata un’esigenza che unisce tutte le generazioni e molte tipologie di lavoratori che sono sempre più oggetto di una condizione di precarietà esistenziale e lavorativa che sta cambiando la struttura stessa delle nostre società e riducendo gli spazio di serenità di molte persone.
La smaterializzazione del luogo e del tempo, con le implicazioni qui accennate, impone di normare il diritto alla disconnessione che consentirebbe ai lavoratori di riprendere il pieno controllo del proprio tempo libero, prevenendo i rischi derivanti dal tecnostress, cioè da un utilizzo lavorativo scorretto e “patologico” delle nuove tecnologie, che porta a sovraccaricare i flussi di informazione generando ansia, insonnia o sindrome da burnout, che può sfociare in disturbi dissociativi, aggressività e svariate problematiche fisiche, nonché condurre all’abbassamento della produttività. Nel nostro Paese questo diritto è regolato dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017, più nota come “Jobs Act”. Tuttavia, questa legge non menziona esplicitamente la disconnessione come un diritto autonomo, ma promuove una serie di disposizioni generiche che molto spesso rimanga di fatto inattuata o regolamentata dai singoli datori. Per di più, nel nostro ordinamento, la possibilità di una disconnessione viene riconosciuta ai soli lavoratori agili, non essendo riconosciuta alcuna forma di tutela per quei lavoratori comunque sottoposti ad un rischio di iper-connessione, a prescindere dalla modalità lavorativa.
Senza una reale necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa si consentono gli eccessi nell’utilizzo del potere di controllo da parte del datore di lavoro e si annullano alcune tra le più antiche conquiste raggiunte nel lavoro tradizionale per migliorare la vita delle persone e la produttività del Paese.
La disconnessione non può continuare a essere percepita come un’eccezione, ma deve essere riconosciuta come un diritto da tutelare. L’equilibrio tra vita privata e lavoro deve essere sempre sostenibile, oltre che sicuro, dignitoso e correttamente retribuito. In tal senso, sarebbe anche utile introdurre dei processi formativi orientati ad una migliore gestione e organizzazione dei tempi di lavoro che potrebbe fornire un valido supporto ai lavoratori nella gestione dei rischi che possono derivare da un lavoro svolto da remoto. Considerati i rischi derivanti dal lavoro agile, le cui modalità di espletamento della prestazione lavorativa si discostano da luogo e orario fisso di lavoro, la disconnessione non deve essere considerata secondaria rispetto ad altre esigenze. Solo così si preserva l’integrità psico-fisica e la dignità morale dei lavoratori. Credo sia una battaglia di civiltà che varrebbe la pena combattere.
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