Trovare un taxi, specialmente nelle grandi città, potrebbe rivelarsi una vera seccatura. Il numero limitato delle licenze, le carenze nella regolamentazione, i picchi negli orari di punta o le zone con poca copertura sono soltanto alcuni dei fattori che, talvolta, mettono a rischio il diritto del cittadino a ricevere questo servizio di trasporto.
Una nuova sentenza della Corte Costituzionale potrebbe però essere decisiva, per evitare le lunghe attese e le code per i taxi e i servizi di Ncc, come ad es. quello dell’ormai notissimo Uber. Secondo questo giudice, infatti, un eventuale blocco regionale delle licenze compromette la possibilità di viaggiare e, in particolare, il requisito della residenza locale è incostituzionale, danneggiando di fatto chi vuole lavorare e il passeggero che magari ha un’emergenza e deve prendere al più presto un veicolo a noleggio.
Vediamo allora insieme i fatti che hanno portato alla sentenza n. 183 del 21 novembre scorso e perché è così importante la decisione della Corte.
La vicenda, la violazione dei diritti e la decisione del Tar
Alla base della questione decisa dai giudici di piazza del Quirinale, c’è un discusso provvedimento della Regione Umbria. Di fatto quel testo alzava una barriera alla libera concorrenza, impedendo l’esercizio della professione di tassista e di autista professionista – con autorizzazione al noleggio con conducente (Ncc) – nel territorio di questa regione del centro Italia.
Ma che cosa era successo esattamente? La vicenda prende le mosse da una regola regionale che, dagli anni ’90, obbligava a prendere la residenza in uno dei Comuni dell’Umbria, per poter lavorare conducente di taxi o noleggio Ncc. Una sorta di arbitrario prerequisito che, da non pochi cittadini, era stato ritenuto discriminatorio e capace di violare i più fondamentali diritti dei lavoratori.
Ecco perché si è arrivati ad una sentenza del Tar Umbria, che di fatto dava ragione ai contestatori: il requisito della residenza (da tenersi ben distinto dal domicilio) – per esercitare il lavoro di trasporto passeggeri “non di linea” sulle strade della regione – andava contro il principio di ragionevolezza e ostacolava la libera concorrenza.
In altre parole, con la regola poi finita nel mirino della Corte Costituzionale, sarebbero stati ingiustamente favoriti i cittadini umbri, a discapito di chi voleva accedere alla professione di tassista e autista Ncc, pur essendo di residente in un’altra regione. Al contempo la situazione avrebbe causato non pochi disservizi e difficoltà nel trovare una vettura disponibile per il trasporto.
Il Tar Umbria, oltre a dare un giudizio negativo sulla norma, ha scelto di rimettere la questione alla Corte, per arrivare ad una conclusione davvero definitiva su un problema che aveva contribuito ad alimentare un già acceso dibattito, in materia di taxi, qualità, costi del servizio e alternative al servizio tradizionale come Uber.
La Corte Costituzionale boccia il requisito della residenza in Umbria
Facendo sue le conclusioni del Tar Umbria, la Consulta ha dichiarato che non è costituzionalmente legittimo il requisito della residenza in uno dei comuni della regione Umbria, per l’iscrizione nel ruolo dei conducenti per il servizio di taxi e per quello di noleggio di veicoli con conducente (Ncc).
In particolare, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge della Regione Umbria n. 17 del 1994, accogliendo quanto evidenziato dal Tar. La norma contrastava infatti con gli articoli 3 e 117 della Costituzione (quest’ultimo sia nella vecchia versione che in quella nuova post riforma del Titolo V del 2001), ma anche con la legge n. 21 del 1992, ossia la legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea.
Dal punto di vista pratico, la disciplina si scontrava con il principio di libera ed equilibrata concorrenza, perché d’intralcio al libero ingresso di operatori dei trasporti o imprese nel “bacino lavorativo” umbro. E, non a caso, l’art. 117 della Costituzione affida alla legge statale – e non regionale – la tutela della concorrenza.
Non solo. La Corte ha ritenuto il requisito della residenza lesivo anche del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Costituzione. In parole semplici, la localizzazione per residenza è un mezzo sproporzionato rispetto alla finalità a cui si mira, vale a dire quella di assicurare la dovuta preparazione e conoscenza del territorio da parte degli autisti taxi e Ncc.
La Corte Costituzionale ha così ritenuto fondata la questione proposta dal Tar e ha bocciato la norma regionale umbra, dichiarandola contraria al testo della Costituzione.
Un precedente simile nel caso del decreto contro il servizio Ncc
A ben vedere, la recente sentenza n. 183 della Corte Costituzionale è successiva ad un altro importante provvedimento di quest’anno, riguardante il servizio noleggio con conducente. Lo scorso 19 luglio questo giudice aveva infatti bocciato un decreto del Governo datato 2018, con il quale era stato bloccato il rilascio di nuove licenze per gli Ncc, alzando di fatto un’altra barriera all’allargamento del servizio.
In quel caso, la Corte ha dichiarato incostituzionale il testo dell’Esecutivo dell’epoca con parole molto nette, avendo quest’ultimo causato un grave e sproporzionato danno all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività. Già la scorsa estate, la Consulta sottolineava quindi che i servizi di autotrasporto “non in linea” concorrono alla effettiva libertà di circolazione, che è la condizione per l’esercizio di altri diritti del cittadino.
Nel provvedimento si sottolineava anche che non era stata ascoltata la preoccupazione del Garante della concorrenza, secondo cui l’ampliamento dell’offerta risponde all’esigenza di una alta domanda, insoddisfatta specialmente nelle grandi città.
Lo mostrano le immagini di Tg e giornali: nelle maggiori aree urbane, negli aeroporti e presso le uscite delle stazioni ferroviarie, spesso ci sono code e assembramenti legati al traffico e all’incapacità del trasporto pubblico di linea e del servizio taxi (finito recentemente al centro di polemiche sui costi e sul pagamento delle tasse) a coprire interamente i bisogni di mobilità della popolazione. Anche sotto questo aspetto ben si comprende allora l’orientamento della Corte Costituzionale.
Che cosa cambia
Ricapitolando, con la sentenza n. 183 dello scorso novembre, la disposizione regionale umbra che subordinava l’iscrizione al ruolo alla residenza locale, è stata considerata sproporzionata rispetto agli obblighi dei conducenti di taxi e Ncc. La professionalità, l’idoneità e la conoscenza del territorio – da parte degli autisti – non possono essere “definite” dal requisito della residenza, che anzi appare discriminatorio, arbitrario e incostituzionale.
Indipendentemente dalla localizzazione geografica, va salvaguardato sempre e comunque il principio della libera concorrenza, di cui trova tutela sia nelle leggi statali italiane che nelle regole UE, perché garantisce libero accesso al mercato e il pieno esercizio dell’iniziativa economica privata – protetta anch’essa in Costituzione.
L’orientamento della Corte va incontro quindi sia agli operatori, che potranno avere molte più chance di lavorare nei trasporti umbri, sia a favore dei privati cittadini, che potranno più facilmente contare su un servizio tempestivo e puntuale.
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