Altro che risparmi, il ritorno del nucleare in Italia renderebbe l’elettricità più cara

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La coalizione 100% Rinnovabili network, nata quest’estate dalle principali associazioni ambientaliste italiane – Fondazione sviluppo sostenibile, Greenpeace, Kyoto club, Legambiente e Wwf – insieme a oltre 100 promotori che spaziano dai sindacati alle principali Università italiane, da istituti di ricerca come il Cnr alle ong, ha pubblicato oggi un rapporto sui costi dell’eventuale ritorno del nucleare in Italia (in coda all’articolo report ed elenco promotori).

«Il nucleare renderebbe più cara l’energia elettrica – spiega la coalizione – Un costo ben maggiore rispetto a quello delle fonti rinnovabili. E i reattori “piccoli” (Small modular reactor, Smr) sono ancora più costosi».

I dati di partenza sono i costi livellati dell’elettricità (Lcoe) forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) attraverso il World energy outlook 2024: per il nucleare in Ue sono stimati nel 2023 a 170 $/MWh, contro 50 $/MWh per il fotovoltaico quella generata dal solare fotovoltaico pari a (3,4 volte di meno del nucleare), 60 $/MWh per l’eolico onshore di (2,8 volte di meno) e 70 $/MWh per l’eolico offshore. Un ampio divario, che resterebbe tale anche nel 2030 e 2050.

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Si tratta però di un quadro incompleto, sia per il nucleare sia per le rinnovabili. Ai dati Iea sull’energia dall’atomo mancano i costi di smantellamento centrali e gestione rifiuti radioattivi ad alta intensità (che decadono in molte migliaia di anni) e media intensità (che decadono in alcune centinaia di anni): la stima più recente (2019) fornita dalla Commissione Ue parla di 422-566 miliardi di euro, mentre per il solo Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi – l’unica infrastruttura nucleare che sarebbe realmente utile al Paese, attesa non prima del 2039 secondo il ministro Pichetto – si stima la necessità di 8 mld di euro.

I dati Lcoe sulle rinnovabili non comprendono invece i costi di sistema (in primis per reti e accumuli), ma in questo caso la Iea rimedia attraverso la stima di uno specifico indicatore che li comprende (Valcoe), dal quale emerge che in Ue gli investimenti in energie rinnovabili resteranno molto più convenienti rispetto a quelli sul nucleare, sia al 2030 sia al 2050: nel primo caso, ad esempio, si parla di 65 dollari per MWh nel caso di fotovoltaico ed eolico offshore, contro i 120 stimati per il nucleare.

«I maggiori costi degli accumuli, che comunque si ridurranno con la loro crescita e la loro maggiore diffusione che accompagnerà la crescita delle rinnovabili – spiega nel merito la coalizione – non saranno tali da rendere conveniente il nucleare, dato il notevole minor costo di generazione del fotovoltaico e dell’eolico».

Che rispondere dunque ai sostenitori italiani dell’atomo che citano spesso il nucleare francese come esempio di successo economico? «Nulla di più falso – dichiara la coalizione – Edf, la società francese che gestisce le centrali nucleari, fortemente indebitata, nel 2023 è stata interamente nazionalizzata dal governo francese, con una spesa di oltre 9 miliardi a carico dei contribuenti». Gli ingenti costi del nucleare, quando non emergono in bolletta, vengono assorbiti dalla fiscalità generale, senza che investimenti in innovazione abbiano saputo rendere l’atomo più conveniente (l’Lcoe è anzi aumentato negli anni, al contrario di quanto sta accadendo con le rinnovabili).

Va ancora peggio con gli Smart modular reactor (Smr), ovvero i reattori modulari più piccoli proposti per l’Italia – che ancora non sono stati costruiti in nessun Paese occidentale – la cui elettricità costa ancora di più di quella prodotta dai grandi reattori.  

«Un possibile ritorno al nucleare in Italia è dunque qualcosa di insensato e che, inoltre, non tiene conto di due pronunciamenti referendari – commenta il 100% Rinnovabili network – Invece di accelerare, in modo adeguato, lo sviluppo delle rinnovabili per arrivare alla piena decarbonizzazione della produzione di elettricità, il nuovo Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) prevede uno scenario di ritorno al nucleare a fissione, con la costruzione di Small modular reactor (Smr), di Advanced modular reactor (Amr) e di micro-reattori. Il ritorno al nucleare, ancora di più per un Paese come l’Italia che ne è uscito da molti anni, avrebbe un costo molto alto».

La vera alternativa a un’economia fondata sui combustibili fossili come quella italiana – dove la dipendenza dal metano ci è costata 74 miliardi di euro di extra-costi in bolletta solo nell’ultimo quadriennio, raffrontata con la situazione di Spagna e Portogallo che invece hanno puntato sulle rinnovabili – è dunque nelle fonti pulite, che anche Bce, Bei e Iea chiedono di sviluppare velocemente.

Elettricità futura, l’associazione confindustriale che rappresenta il 70% della filiera elettrica nazionale, ha da tempo proposto un Piano elettrico al 2030 da 320 miliardi di euro in investimenti, in grado di soddisfare il 75% della domanda elettrica con fonti rinnovabili (mentre il Pniec italiano si ferma al 63%): servirebbero circa +12 GW l’anno, mentre anche quest’anno l’Italia si fermerà attorno a +7 GW, allargando il gap verso gli obiettivi 2030.

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«Così come farà la maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea, Germania compresa, anche l’Italia – concludono dalla coalizione – potrà soddisfare il proprio fabbisogno di elettricità, anche raddoppiato al 2050, non solo all’80%, ma al 100% con fonti rinnovabili di energia: idroelettrico, geotermico, da biomassa e, soprattutto, eolico e fotovoltaico. La discontinuità dell’eolico e del fotovoltaico può essere superata, come stanno facendo e programmando molti Paesi, combinando opportunamente eolico e fotovoltaico e ricorrendo a tecnologie disponibili di accumulo: batteria, accumuli idraulici, accumuli termici e ad aria compressa, in una prospettiva ormai vicina, anche producendo idrogeno verde. L’integrazione rinnovabili–nucleare per superare la discontinuità di solare ed eolico sarebbe comunque poco funzionale e costosa perché porterebbe a sottoutilizzare gli impianti fotovoltaici e eolici usando il nucleare come produzione stabile di base. Oppure – caso improbabile visto che gli impianti nucleari sono poco flessibili, con tempi di spegnimento e accensione lunghi – a non usare a pieno gli impianti nucleari».



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