Nel panorama dell’arte contemporanea vi sono artisti come Marco Tirelli – in mostra alla Galleria Nicola Pedana di Caserta – che non cercano di rappresentare la realtà fisica in modo descrittivo ma indagano il mistero assorto delle cose, andando a rappresentare, nell’essenzialità delle forme, allusioni spaziali e luminose, sempre in bilico tra apparizione e dissolvimento, che affiorano improvvisamente dal nero cupo della tela. Un apparire di forme volumetriche opportunamente purificate e cariche di umori che si addensano a un limite tra un presente che diviene anche infinito. Una visione inquieta e insostanziale tra ordine e visionarietà che si colloca tra il dato fisico e mentale, tra riconoscibilità e apparizione inoggettiva in divenire. Una visionarietà sorprendente che affiora da una luce beffarda che definisce le forme volumetriche in un apparire del tutto meta/fisico.
Tra forma, luce, ombra e tempo sospeso emerge per incanto il sortilegio del mistero e dei sogni nascosti. Nel greco antico vi è un concetto e una categoria del verbo chiamato “aoristo”, che non è né il presente né il passato ma indica un momento che trascende il tempo, senza limiti, senza fine, di chi non si accontenta dell’orizzonte consueto ma cerca piuttosto l’attesa e la sospensione dell’infinito.
Secondo la curatrice della mostra Chiara Pirozzi, «Nel gioco della figurazione e dello sfumato, l’artista propone modelli appartenenti alla geometria piana e solida, elementi essenziali che trattengono in sé infinite forme possibili. Le opere si definiscono come “affacci” in cui il dentro ammette il fuori e l’immaginario si potenzia grazie all’osservazione, ben oltre la rappresentazione e l’apparenza». Si direbbe un attraversare gli spazi nella sospensione insostanziale del tempo, raccogliendo per forme ed estratti il mistero della realtà e delle cose con forme essenziali ricomposte per divenire un’altra realtà ancora più coinvolgente. Una realtà che improvvisamente si desta dal buio inquieto della notte e nel silenzio magico e assorto della penombra rinasce, per apparire come inquieta essenza del vivere.
L’artista, nato da una costola di Toti Scialoja all’Accademia di Belle Arti di Roma e dalle ricerche che si sperimentavano negli anni Ottanta nella Capitale con il gruppo di San Lorenzo, ha sempre proceduto coerentemente nella ricerca con un lucido incedere visionario. Lo stesso Marco Tirelli ci confessa: «Nei miei quadri cerco delle forme, degli oggetti che possano, il più possibile riverberare e portare oltre se stessi, mostrandoci il loro essere eco, traccia di qualcosa d’altro. Ogni forma per me è carica del mondo che si porta dietro, forma che io cerco di ridurre all’essenza, perché è così che si può aprire al massimo di senso». Un procedere decisamente intellettuale che lo lega profondamente, ieri come oggi, all’architettura, alla fotografia e persino al cinema, proprio in funzione di una presa sfuggente dell’immagine che appare sullo schermo-pittura. Pertanto, le sue opere non sono da considerarsi fotografie e neanche cinema ma accolgono la luce e il movimento che, nella indefinibile transitorietà e transitività, questi rappresentano.
Per Marco Tirelli, l’arte tra realtà e percezione è soprattutto affioramento e volo verso l’oscuro infinito. Una mise en scène frammentata e opportunamente ricomposta per essere compresa, in un incantato equilibrio di una narrazione mentale in cui poter condensare una realtà “altra”. Una realtà rinnovata nel tempo che l’artista, “nel nero di luce”, sottrae alla precarietà dello sguardo per essere, tra passato e futuro, indagata in una sorta di mistero in bilico tra incertezza e concretezza immaginativa di un precario e visibile muto, che nell’abisso più cupo ritrova il silenzio del mondo, l’immaterialità, la sospensione ma anche la visionarietà poetica del nostro inconsistente esistere, segnato tristemente, oggi, dall’apparenza e dalla omologazione globale.
La mostra di Marco Tirelli alla Galleria Nicola Pedana di Caserta sarà visitabile fino al 12 dicembre 2024.
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