Calcestruzzo sostenibile: differenze operative con quello ‘tradizionale’ e soluzioni per aumentarne l’efficacia | Articoli

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In questa intervista, l’esperto Matteo Felitti evidenzia che i cementi a basso tenore di clinker presentano problematiche come basse resistenze iniziali, incompatibilità con additivi tradizionali e formazione anomala di aria. Le soluzioni adottate includono l’uso di additivi compatibili e acceleranti, insieme a una formazione tecnica adeguata per una transizione sostenibile.

Le differenze tra i calcestruzzi ‘tradizionali’ e quelli a basso contenuto di clinker sono sia di tipo reologico sia meccanico

Negli ultimi anni, le prove di laboratorio condotte dalle più importanti università del mondo e le sperimentazioni dei produttori di cemento hanno evidenziato che i calcestruzzi realizzati con cementi a basso tenore di clinker possono offrire prestazioni complementari o addirittura migliori rispetto ai calcestruzzi tradizionali. Tuttavia, nei cantieri emergono problematiche sempre più varie e spesso impreviste. Con questa intervista vogliamo approfondire, insieme ai tecnologi del calcestruzzo, quali sono queste problematiche, le loro possibili cause, le soluzioni adottate e come si può affrontare in futuro il passaggio verso materiali più sostenibili.

In questa occasione, a rispondere alle domande di Andrea Dari è l’Ing. Matteo Felitti, Tecnologo del calcestruzzo.

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Andrea Dari:
Quali sono le principali differenze operative che avete riscontrato tra l’utilizzo di calcestruzzi realizzati con cementi a basso tenore di clinker rispetto a quelli tradizionali, sia durante il getto che nella fase di maturazione?

Matteo Felitti:

Le principali differenze operative, riscontrate personalmente nelle centrali di betonaggio e nei cantieri, riguardano sia gli aspetti reologici (lavorabilità, segregazione, robustezza ecc.), sia gli aspetti meccanici (resistenze a compressione).

 

Andrea Dari:
Quali problematiche specifiche avete riscontrato nei cantieri nell’utilizzo di questi calcestruzzi? Riguardano più la lavorabilità, la durabilità o altri aspetti tecnici?

Le problematiche più evidenti riscontrate sono le seguenti:

  • Basse resistenze meccaniche alle brevi stagionature (Figura 1);
  • Generale “incompatibilità” chimica con gli additivi superfluidificanti “tradizionali” (Figure 2 e 3);
  • Suscettibilità alla segregazione (Figure 2 e 3);
  • Anomala formazione di aria (Figure 4 e 5).

 

Figura 1 – Tipica curva relativa alle resistenze medie a compressione di calcestruzzi confezionati con un CEM II A/LL 42.5 R (curva arancione) e un CEM III A 42.5 N (curva nera). Si nota una migliore prestazione alle brevi stagionature della miscela con cemento Portland ed un recupero alle lunghe stagionature della miscela con il cemento alla loppa d’altoforno. Calcestruzzi progettati in curva di Bolomey, partendo dalle seguenti prescrizioni: C25/30; XC1; S4; D25. (Crediti: M. Felitti)

 

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Figura 2 – “Segnali” di segregazione al cono di Abrams. (Crediti: M. Felitti)

 

Figura 3 – Dettaglio segregazione della miscela. (Crediti: M. Felitti)

 

Figura 4 – Formazione di aria anomala allo scarico in cariola. (Crediti: M. Felitti)
Figura 5 – Dettaglio formazione anomala di aria. (Crediti: M. Felitti)

 

Andrea Dari:
Secondo la vostra esperienza, quali potrebbero essere le cause principali di queste problematiche? Si tratta di limiti tecnologici, carenze nella formazione del personale o di inadeguate normative di riferimento?

Matteo Felitti:

Le cause principali, a mio avviso, sono prevalentemente di tipo tecnologico. Come precedentemente detto, si tratta, nella maggior parte dei casi, di “incompatibilità” chimica tra i “nuovi” cementi e i superfluidificanti “tradizionali”.

Andrea Dari:
Potete condividere alcune delle soluzioni o delle strategie che avete adottato per superare tali problematiche? Ci sono state innovazioni che hanno dimostrato di essere particolarmente efficaci?

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Matteo Felitti:

Le soluzioni adottate riguardano:

  • l’introduzione di additivi acceleranti di presa/indurimento – soprattutto nel periodo invernale – per incrementare le resistenze a compressione alle brevi stagionature;
  • l’individuazione – attraverso prove di laboratorio – di additivi superfluidificanti compatibili chimicamente con i “nuovi” cementi.

Andrea Dari:
Guardando al futuro, quali passi ritenete necessari per garantire una transizione più agevole verso cementi più sostenibili, mantenendo prestazioni elevate?

Matteo Felitti:
Risolvendo opportunamente le criticità di cui sopra, credo sia possibile garantire una transizione agevole utilizzando cementi ed aggregati a basso impatto ambientale.

In merito alle prestazioni meccaniche rimane da risolvere la questione dell’eventuale sostituzione del CEM I 52.5 R, il quale, attualmente, risulta indispensabile per i calcestruzzi prefabbricati. Infatti, allo scassero e al taglio pista, sono generalmente prescritte resistenze a compressione a circa 20 ore, rispettivamente pari a 30 MPa per gli Rck40 e 40MPa per gli Rck55. Pertanto, è difficile immaginare una sua sostituzione con cementi a basso contenuto di clinker a meno di importanti modifiche e soprattutto aggiunte al mix design di base da parte del Tecnologo del Calcestruzzo, figura professionale sempre più necessaria (Figura 6, 7 e 8).

La sostenibilità avrà un “peso” importante nei prossimi decenni e influenzerà decisamente le scelte progettuali nel campo dei calcestruzzi. Ovviamente la formazione del personale giocherà un ruolo importante in tutto il processo produttivo.

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Figura 6 – Dettaglio trave in Rck55 con trefoli da 6/10” i quali, a circa 20 ore dal getto, vengono dapprima rilasciati e poi tagliati per imprimere – per aderenza – la presollecitazione. Ogni cavo porta circa 19 tonnellate! (Crediti: M. Felitti)
Figura 7 – Dettaglio rottura a compressione di un provino in calcestruzzo prefabbricato Rck55, contenente CEM I 52.5 R. (Crediti: M. Felitti)

 

Figura 8 – Dettaglio resistenza a compressione a 28 gg dal getto pari a circa 80 MPa. (Crediti: M. Felitti)

 



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