I Lep regressivi che Cassese vuole salvare

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La Corte Costituzionale ha assestato un brutto colpo al Comitato Cassese, poiché ha decretato l’illegittimità della procedura di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep). È così venuto meno quel complesso gioco di scatole cinesi messo in piedi dal ministro Calderoli per escludere il parlamento da qualsiasi valutazione di merito sulle prestazioni da garantire a tutti gli italiani.

Il governo ora corre ai ripari con il decreto milleproroghe, che prolunga di un anno l’attività propedeutica all’individuazione dei Lep e ne attribuisce la diretta responsabilità al Dipartimento per gli affari regionali della presidenza del Consiglio dei ministri.

Il decreto fa «salvo il lavoro istruttorio e ricognitivo» sin qui svolto: sembra una sanatoria per la relazione che il presidente Cassese è determinato ad approvare prima della pausa natalizia, nonostante la difficoltà del Comitato a convergere su una data precisa per la riunione finale in presenza (alcuni esperti iniziano a defilarsi).

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La relazione dovrebbe avere un duplice contenuto, ossia estendere la ricognizione dei Lep anche alle materie non oggetto di differenziazione (che sono quindi di competenza esclusiva statale o regionale) e delineare il metodo per il calcolo dei fabbisogni finanziari.

La bozza preliminare discussa nella riunione del 29 novembre si focalizza solo su questo secondo aspetto, riportando le proposte del sottogruppo 12. Che non può esattamente considerarsi imparziale, essendo formato da esperti “territorialmente” orientati: primo fra tutti l’avvocato Giovanardi, che senza alcun velo di pudore si è presentato in udienza per difendere la posizione della Regione Veneto nel giudizio di legittimità costituzionale sulla legge Calderoli.

NELLA BOZZA viene delineato il metodo che la Commissione tecnica sui fabbisogni standard (Ctfs) seguirà, in un passaggio successivo, per formulare possibili Lep e relativi criteri di finanziamento (p. 17).

Il Comitato Cassese ha così ufficialmente attribuito alla Ctfs il compito di proporre le prestazioni da considerare Lep: si tratta di un mandato ben più ampio di quanto previsto dalla legge originaria, secondo la quale la Ctfs si sarebbe dovuta limitare a prospettare le modalità di finanziamento dei Lep e solo per le materie potenzialmente oggetto di autonomia differenziata (articolo 1 comma 794 della legge di bilancio 2023, ora dichiarato incostituzionale).

Il rischio di questa delega in bianco, come già sottolineato dal manifesto, è legato ancora una volta ai conflitti di interesse di alcuni autorevoli esponenti della Ctfs (a partire dalla presidentessa Elena d’Orlando e dall’onnipresente Giovanardi).

Non desta dunque alcuna sorpresa che le proposte contenute nella relazione preludano a una specificazione dei Lep e a una loro quantificazione finanziaria a vantaggio delle regioni più ricche.

Diversi indizi puntano in questa direzione.

In primo luogo nel documento si afferma che sono le risorse disponibili a guidare la definizione dei Lep (e non il viceversa): la torta da spartire fra le regioni è dunque determinata dalla spesa storica.

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La dimensione delle singole fette sarà poi modulata in funzione di criteri che sembrano individuati proprio per produrre il risultato desiderato. Fra questi il documento cita «gli standard di servizio esistenti» o «elementi qualitativi»: come a dire che ai cittadini che finora hanno ricevuto servizi quantitativamente e qualitativamente inferiori si riconosce una fettina più piccola di risorse, negando in tal modo ogni diritto alla parità di trattamento.

Ugualmente manovrabili sono le variabili che descrivono «specificità del contesto territoriale», «peculiarità locali», «aspetti sociodemografici, economici e morfologici correlati con il contenuto Lep».

Lo si intuisce chiaramente dagli esempi relativi alle materie della tutela dei beni culturali e dell’ordinamento della comunicazione.

Nel primo caso il documento propone di valorizzare le risorse da trasferire a ciascuna regione sulla base della propensione dei residenti a leggere libri e quotidiani o a frequentare biblioteche, cinema, concerti, musei; nel secondo caso il riparto delle risorse sarebbe effettuato in funzione della quota di popolazione con competenze digitali, di utenti regolari di Internet, di famiglie che possiedono un computer o che si trovano in una zona servita da connessioni ultra veloci.

Tutte queste variabili presentano una declinazione geografica ben precisa, legata al reddito disponibile, e assicurano maggiori risorse a chi già si trova nelle condizioni migliori.

La bozza raggiunge l’apice della creatività quando classifica gli «standard di qualità del trasporto ferroviario» fra i Lep di tipo regolamentare, per i quali si suggerisce non a caso una distribuzione delle risorse basata sulla sola popolazione residente (e non anche sui divari infrastrutturali, come sarebbe logico); in questo modo si stabilisce che per i trasporti ferroviari ciò che conta è definire in astratto come il servizio andrebbe erogato, senza valutare le caratteristiche delle prestazioni effettivamente ricevute dai cittadini nelle diverse aree del paese.

Tutti questi espedienti tecnici servono a tramutare magicamente un Lep nel suo esatto contrario, ribaltando la prospettiva dell’equità orizzontale dei diritti che dovrebbe ispirarne la formulazione in quella opposta della discriminazione basata sul luogo di residenza.

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In questo modo i «popoli regionali» del Nord potranno, attraverso l’autonomia differenziata, riappropriarsi del fantomatico residuo fiscale.



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