Oggi finisce di fatto lo sciopero degli arbitri regionali di calcio e futsal. Infatti scendono in campo le squadre di calcio a 5, che iniziano a recuperare le gare saltate lo scorso fine settimana dopo che i fischietti hanno detto stop a causa dell’aggressione subita da Edoardo Cavalieri a Corchiano in Terza Categoria, a cui hanno rotto un osso del gomito con un pugno. Un danno diretto e indiretto per il fischietto di Civitavecchia, che nella vita è un fisioterapista e fintanto che non arriverà la guarigione, non potrà lavorare. Per quanto male potesse aver diretto, per quanto ingiuste fossero le sue decisioni, non meritava di essere colpito al gomito e non doveva finire con un braccio ingessato per una frattura.
Fin qui la cronaca, a cui va aggiunto un certo fastidio – scorto sotto forma di fiume carsico – espresso dalle società e dagli addetti ai lavori. Segno evidente che, al contrario di quanto si sostiene, lo sciopero ha colpito nel segno.
«Non serve a nulla perché così non cambierà nulla» è il ritornello che si ascolta, perché secondo questa scuola di pensiero «sabato e domenica il clima sarà lo stesso e avremo fatto slittare una giornata inutilmente». Invece un gesto eclatante serviva eccome, la cui implicazione va ben oltre la domenica di stop. E le circa 800 partite non giocate secondo calendario sono il simbolo di almeno un paio di obiettivi centrati.
Tanto per fugare alcuni dubbi, gli arbitri – come qualunque altra “categoria “sociale – non sono perfetti, non sono esenti da colpe, non sono esempi di irreprensibilità. Sui campi italiani talvolta finisce gente improponibile che si copre dietro la divisa, che provoca, che assurge al ruolo di giustiziere, che magari va a farsi medicare colpi mai ricevuti. Gente ben conosciuta dai vertici arbitrali ma che non viene fatta fuori e che anzi alla bisogna viene usata come strumento di offesa. Una politica pessima che va combattuta dall’interno e che va criticata all’esterno, che tende a tenere lontani due mondi come quello arbitrale e quello delle società la cui necessità più urgente è quella di iniziare a parlarsi con franchezza e trasparenza. Ma da qui a dover rischiare la pelle per dirigere le gare di pallone, anche no.
Si diceva degli obiettivi centrati: uno, quello di far emergere l’ipocrisia di dirigenze e addetti ai lavori che con le giacchette nere sono in conflitto perenne. Conflitto che esplode in casi eclatanti come quello di Corchiano, e che si materializza con le telefonate al presidente della Lnd Lazio (al numero uno uscente Melchiorre Zarelli serviva un call center solo per rispondere alle chiamate di lamentela del lunedì) per dire “ci ha fischiato un fuorigioco assurdo, un rigore contro inesistente, 6 minuti inutili di recupero e ci hanno pareggiato”. Spesso scuse per mascherare errori propri, che forniscono alibi a giocatori che prendono rimborsi fino alla Promozione e qualcuno in Prima ma che per lo più dovrebbero giocare a pallone per divertirsi. Dovrebbero.
Invece ecco che lo slittamento ha infastidito eccome, ricordando
1. che la violenza è sbagliata (dovrebbe essere scontato ma a quanto pare non lo è e quindi va ribadito)
2. che a certe azioni corrispondono reazioni, come in questo caso decise e soprattutto composte.
L’altro obiettivo centrato è che il danno vero gli arbitri lo hanno arrecato alla Lnd Lazio, vero bersaglio della protesta. Lo dimostra il fatto che il nuovo presidente Roberto Avantaggiato ha tentato la carta disperata dello slittamento dell’inizio di 15 minuti per evitare che gli uffici si ingolfassero per dover riprogrammare le famose 800 gare che si disputano settimanalmente ed evitare che la sua immagine in qualche modo venisse danneggiata a livello mediatico dallo stop. Una mediazione fallita di fronte alla fermezza dei 14 responsabili di sezione del Lazio nel confermare lo sciopero. E che se si ripetesse in futuro, subirebbe pure e soprattutto la pressione delle società che non vogliono certo perdere giornate di gara già programmate magari pure decisive.
La “vittoria” se così si può definire è anche un’altra: la pausa forzata è stata usata come strumento di pressione affinché dal Lazio parta una campagna che inasprisca le sanzioni verso chi aggredisce gli arbitri, che non si limiti a qualche giornata ma che si colpisca duramente estromettendo – o radiando, in casi gravi – i giocatori e i dirigenti violenti. Infatti solo squalifiche memorabili fanno in modo che si scoraggino i tentativi di aggressione. Di fronte allo spettro di dover smettere per sempre di giocare gare ufficiali, i bollenti spiriti sono destinati a placarsi o anche leggendo cosa capita a coloro che non sono stati in grado di fermarsi. Nel caso di Corchiano è capitato ma sono più le volte in cui i giocatori escono quasi indenni da queste situazioni.
È una azione con gittata di medio termine quella degli arbitri laziali che può funzionare, ma ad una sola condizione: che nel caso in cui qualche altro fischietto finisse all’ospedale, le giornate di stop ai campionati dovrebbero aumentare diventando due o tre. Solo alzando il tiro il messaggio, oltre che un intervento deciso che le istituzioni calcistiche dovrebbero giocoforza assumere, passerebbe ancor più forte e chiaro.
a.v.
Pubblicato martedì, 10 Dicembre 2024 @ 15:43:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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