I controlli di vigili del fuoco e Arpav. «Ma serve personale»
L’esplosione nel deposito Eni di Calenzano nel Fiorentino che lunedì ha provocato cinque morti e numerosi feriti ha acceso i riflettori sugli impianti a rischio industriale rilevante. In Italia sono 975 quelli inseriti nella direttiva Seveso e 87 si trovano in Veneto: 22 a Venezia, 20 a Vicenza, 15 a Verona, 12 a Padova, 8 a Treviso, 8 a Rovigo e due a Belluno. Non tutti sono allo stesso livello di rischio: 41 sono di soglia superiore e 45 di soglia inferiore, a seconda del materiale e della quantità detenuta. Per esempio un deposito di gpl può contenere fino a 50mila tonnellate se di soglia inferiore e fino a 200mila se di soglia superiore.
Il quadro in regione
«Dieci stabilimenti di soglia superiore sono come quelli di Calenzano, cioè depositi di stoccaggio di combustibili anche per riscaldamento e vendita al dettaglio e depositi di stoccaggio e distribuzione all’ingrosso e al dettaglio — spiega Fabio Ferranti, dirigente dell’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) —. Sono privati, alcuni con la compartecipazione di Eni. Quattro si trovano a Venezia, due a Padova, due a Rovigo e due a Belluno. Nel Veneto non sono emerse particolari criticità, il livello di rischio è nella media perché la presenza degli impianti di soglia superiore non è eccessiva e poi si tratta di una regione virtuosa in quanto a controlli. L’Arpav è una delle eccellenze d’Italia ma ha bisogno di personale per questa attività, che è anche ambientale».
Il piano dei controlli
Gli impianti di soglia inferiore vengono controllati dalla Regione mentre quelli di soglia superiore sono soggetti a supervisione e vigilanza da parte di un Comitato tecnico composto dal direttore regionale dei vigili del fuoco, da tre comandanti provinciali più uno competente per territorio, da tecnici di Arpav,Inail e dell’Usl territoriale, da rappresentanti di Regione, Comuni, Province e Ordini degli Ingegneri. Quando un soggetto apre un impianto o lo sottopone a modifiche rilevanti deve presentare al Comitato un rapporto di sicurezza completo di analisi di fattibilità e possibili scenari di incidenti, con le relative misure gestionali e impiantistiche atte a evitarli. Il Comitato sottopone il piano a un’analisi del rischio e se lo valida il gestore può costruire l’impianto o modificarlo e poi presentare il rapporto di sicurezza definitivo per dimostrare come lo stabilimento sia stato costruito o modificato. Quindi il Comitato compie dei sopralluoghi per appurare se ciò che è stato scritto corrisponda a verità. Qualora emergano carenze nella sicurezza può prescrivere ciò che serve per aumentarla ma se sono gravi può vietare o sospendere l’attività.
L’esperienza sul campo
«In trent’anni abbiamo emesso una decina di diffide e due sospensioni dell’attività, a impianti poi chiusi — rivela Cristiano Cusin, vicecomandante regionale dei vigili del fuoco —. Però esprimiamo spesso prescrizioni aggiuntive per il continuo miglioramento della sicurezza negli stabilimenti. La maggioranza dei proprietari è diligente, anche perché chi non riesce ad adeguarsi generalmente chiude, visto che si richiede un grosso impegno gestionale e organizzativo. I costi della sicurezza sono significativi, ogni cinque anni il gestore deve aggiornare la valutazione del rischio e sottoporla al Comitato, che compie nuovi sopralluoghi e poi, al massimo ogni due anni, esegue ulteriori ispezioni, per valutare il sistema di gestione, come si lavora e le misure di sicurezza adottate. I sopralluoghi vengono eseguiti anche in caso di incidenti — aggiunge Cusin — gli ultimi due accaduti alcuni anni fa in un’industria di articoli pirotecnici a Rovigo e in uno stabilimento chimico veneziano. Hanno causato feriti lievi e nessun danno all’esterno. La normativa impone infatti di verificare l’esistenza di gravi eventi interni all’impianto e danni fuori, fattispecie identificate come rischi di incidenti rilevanti».
Le sanzioni
Ci sono siti che danno grande lavoro per modifiche, ampliamenti e integrazioni, come le aziende farmaceutiche, i depositi commerciali di prodotti tossici, i depositi di olii minerali, gli stabilimenti chimici, il Petrolchimico, il rigassificatore a Rovigo. «I controlli servono anche a verificare che nei momenti di carico e scarico dei materiali ad alto rischio ci sia attenzione alle misure preventive — chiude Ferranti —. In caso di inottemperanza scattano sanzioni amministrative o penali». Intanto Gianfranco Bettin, consigliere comunale dei Verdi, ha presentato un’interrogazione al sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, per chiedere di nuovo lo spostamento dello stabilimento «San Marco Petroli» lontano dai centri abitati.
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