A Strasburgo è permesso continuare a svolgere un’attività durante il mandato. Purché questa sia dichiarata. Ecco chi ha dimenticato di farlo o ritiene di essere esente da incompatibilità
Gli europei devono farsene una ragione: l’europarlamentare non si contiene. Eccede. Strafà. È un fatto: oltre al politico di stanza a Strasburgo, c’è di più. C’è un secon- do lavoro a cui dedicare tempo; c’è una partecipazione societaria a cui pensare; c’è un’associazione a cui rendere conto; c’è un consiglio di amministrazione a cui partecipare; c’è uno studio legale o un’impresa agricola che necessitano di cure. Per carità, tutto regolare. Tanto più che per gli eurodeputati il conflitto di interesse è consentito, purché venga reso noto. Anche se nei fatti quasi nessuno lo ha mai dichiarato. La nuova inchiesta #MEPsidejobs, sui potenziali conflitti di interesse dei neoeletti europarlamentari, è stata coordinata da Le Monde e dalla Ong Aria, in partnership con Transparency International Eu e sette media europei: oltre a L’Espresso, De Tijd (Belgio), Der Spiegel, Zdf, Der Standard, El Confidential e DeSmog. Obiettivo: verificare l’integrità e la trasparenza delle dichiarazioni dei nuovi parlamentari europei. Per quanto riguarda l’Italia, fra i 76 eletti, spicca la sliding doors di Antnella Sberna, romana, 42 anni, laurea in Relazioni Pubbliche allo Iulm, molto apprezzata da Arianna Meloni e scelta dalla sorella e premier Giorgia come rappresentante di punta del suo partito in Ue. Se spesso succede che un politico a fine corsa si reinventi lobbista, stavolta è accaduto l’esatto contrario. Eletta a Bruxelles lo scorso giugno con oltre 40mila preferenze, Sberna è la prima esponente di Fratelli d’Italia ad aver raggiunto la carica di vicepresidente del Parlamento Ue, con la responsabilità di coordinare il gruppo di lavoro dell’Ufficio di presidenza intitolato “Trasformazione digitale, cybersicurezza e sicurezza delle informazioni”. Un tema delicato, che ha a che fare con i dati sensibili dei cittadini, cui sono ovviamente interessate tutte le grandi aziende che operano in Ue, soprattutto quelle attive sui canali digitali. Sberna, che è anche relatrice ombra della Commissione per lo sviluppo regionale (quella che si occupa del Fondo sociale europeo, tradotto: il fiume di denaro europeo per sostenere i Paesi europei), nei documenti depositati al Parlamento Ue ha dichiarato di non essere a conoscenza di suoi conflitti d’interesse. In effetti non ha quote di aziende, né riveste cariche in società di capitali. Ciò che colpisce del suo curriculum, però, è il suo recente passato come dipendente di Inrete, da cui dichiara di essere in aspettativa dall’anno scorso.
Inrete è una società di lobbying e Sberna era fino a poco tempo fa la persona delegata per fare pressione a Bruxelles: responsabile delle relazioni istituzionali con l’Ue. Conflitto d’interessi? La diretta interessata ha risposto a L’Espresso: «Nessun conflitto, sono stata dipendente di Inrete dal 2014 al 2023. Dal 2017 ho cessato ogni attività operativa in quanto sono stata in maternità e in aspettativa». Inrete sul suo sito dichiara decine di clienti tra cui giganti come Google, Coca Cola, Basf, Dhl, Amazon, Deloitte, Ab- bott, Groupama, Huawei, Engie, Hp, Retelit, Airbnb, Pwc, Edison, Unicredit, Unipol, Novartis, Vodafone, Jaguar, Q8, Sogin, Astrazeneca, Pfizer, Danone, Gilead, GE Healthcare. Fondata nel 2010 da Simone Dattoli e Luca Simonato, Inrete ha preso il volo vincendo alcuni bandi pubblici indetti dalla Regione Lombardia, poi l’espansione su Roma e sulle istituzioni europee. Oggi è una delle aziende dominanti nel settore italiano delle relazioni tra imprese e politici. Nel 2023 ha fatturato 10 milioni di euro (tre anni fa 6 milioni), chiudendo l’anno con un utile netto di 1,4 milioni. La società ha 29 dipendenti sparsi tra le sedi di Milano, Roma e Bruxelles. E controlla altre tre imprese in Italia: Inrete Digital, Inpagina (editrice del portale d’informazione True News), Inrete Green Società Benefit. Nonostante fosse alle dipendenze dell’azienda, Sberna dal 2013 al 2021 ha iniziato a fare politica come assessora ai servizi sociali del comune di Viterbo. Niente a confronto del nuovo incarico al vertice del Parlamento europeo: catapultata dalla Tuscia a Bruxelles con la benedizione delle sorelle Meloni. In barba agli strali pubblici del passato contro lobby e finanza internazionale. In base all’analisi sui SideJobs effettuata da Transparency sui 716 eurodeputati, ben 528 (74 per cento) hanno un altro lavoro o una partecipazione azionaria in una società o interessi in associazioni o altri enti. Di questi, 197 (27 per cento) incassano denaro da tale attività: il più ricco di tutti è il rumeno di Ecr Gheorghe Piperea, professore universitario e legale, che stima di guadagnare 657mila euro nel 2024; seguono il chirurgo plastico francese dei Cristiano democratici Laurent Castillo e il generale italiano dei Patrioti per l’Europa Roberto Vannacci, con oltre 200mila euro. Fra gli italiani, poi, segue Daniele Polato (Ecr) – 70mila euro dalla sua attività di logistica –, e Antonio Decaro (S&D) che incasserà 41mila euro come consigliere d’amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti. A stretto giro, c’è Giovanni Crosetto, nipote di Guido Crosetto, con le stesse idee politiche, agente di Generali e consigliere comunale di Torino: circa 38mila euro. «Non esistono regole che disciplinano il numero di attività collaterali che un deputato europeo può avere, o eventuali limiti alla quantità di denaro che può guadagnare. Il Parlamento non vieta ai suoi membri di avere conflitti di interessi, solo devono almeno dichiararlo. Ma questo, come dimostrano questa indagine e le precedenti, non dissuade gli eurodeputati dall’avere attività che potrebbero contrastare con la legislazione su cui stanno lavorando», commenta Transparency Eu. È proprio questa Ong che, a metà novembre, ha messo nel mirino l’europarlamentare leghista Susanna Ceccardi. Non avrebbe dichiarato le spese di un viaggio a New York, al quale hanno aderito altri tre colleghi della destra, per partecipare al gala di Donald Trump, il New York Young republican club tenutosi nel dicembre 2023. Il giornale inglese The Guardian, il primo a pubblicare la notizia, ha chiesto un commento a Ceccardi e agli altri: hanno risposto che non erano state compiute irregolarità. Spetta ora all’organo di controllo del Parlamento europeo esaminare le potenziali violazioni del codice di condotta e indagare sulle modalità con cui gli eurodeputati hanno finanziato la loro partecipazione.
Tornando alla nuova tornata di europarlamentari, sembrerebbe che gli italiani debbano ancora prendere confidenza con il regolamento europeo. Ad esempio, il neoeletto Carlo Ciccioli, marchigiano, esponente di Fratelli d’Italia, volato a Strasburgo con 76mila voti, non ha dichiarato la partecipazione nella società agricola Rap, Rimboschimento agrisilvicoltura e paesaggio di Ancona, di cui detiene il 33 per cento. Essendo una società semplice, non viene depositato il bilancio, ed è quindi difficile avere maggiori informazioni sull’impresa. L’onorevole, interpellato da L’Espresso, spiega che «la partecipazione azionaria non rappresenta un’attività imprenditoriale in senso stretto. Ovviamente, non vi sono profitti generati né utili distribuiti dalla società». In realtà il codice di condotta europeo dice che gli eurodeputati devono fornire un dettaglio completo di tutte le proprie attività rilevanti e partecipazioni in società o partenariati. Più macroscopico il caso di Letizia Moratti, eletta con Forza Italia. Fa parte della Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre) e della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali (Empl). Confrontando il Registro imprese italiano con le dichiarazioni da lei fornite al Parlamento, sembra non aver dichiarato la propria partecipazione azionaria in cinque società d’investimento, create in alcuni casi dopo la morte del marito, Gian Marco Moratti, e la vendita della Saras, il colosso della raffinazione del petrolio. Nello specifico, non avrebbe dichiarato il 100 per cento delle quote della Lmba Investimenti srl, che ha all’attivo 80 milioni di euro in investimenti finanziari; il 31,5 per cento di Securfin Macarthur srl, holding di partecipazioni che nel 2023 ha registrato un utile netto di 1,8 milioni e un attivo patrimoniale di 2,6 milioni; il 16,4 per cento di Grenoble srl, altra holding, con un attivo di 1,8 milioni costituito dalla partecipazione nella società statunitense Fab FitFun Inc, che controlla una serie di siti attivi nella vendita online di prodotti di bellezza e altro; il 14,4 per cento di Securfin Galleria Due srl, che si occupa di locazione di immobili di proprietà; infine il 100 per cento della società immobiliare Securfin Holdings srl. Va detto che di quest’ultima società, Moratti dichiara di esserne presidente del Cda, ma non menziona le quote azionarie. Una svista? Contattata da L’Espresso, l’onorevole dice che non sono state citate perché «non determinano alcuna implicazione sull’attività di parlamentare eu- ropeo da me svolta, fermo restando che della loro esistenza è stata fatta piena disclosure al Parlamento Europeo». Dunque, in base alla sua interpretazione del codice di condotta, quelle partecipazioni non sono state inserite perché non hanno nulla a che vedere con il suo ruolo di europarlamentare. Eppure quasi tutti gli altri suoi colleghi deputati hanno interpretato la norma in modo diverso, ovvero indicando con precisione l’intera galassia delle società possedute. Raphael Kegueno, senior policy officer di Transparency, spiega a L’Espresso che: «I parlamentari hanno l’obbligo di segnalare quelle società che hanno implicazioni di politica pubblica o di cui detengono quote significative. In tal caso il codice è molto chiaro e dice che vanno dichiarate le società “ove tale partecipazione dia un’influenza significativa sull’impresa”». Come, ad esempio, ha fatto Sergio Berlato, di Fratelli d’Italia, rieletto a Bruxelles. Continua a sedere nella commissione Agricoltura del Parlamento Ue e non vede alcun conflitto d’interesse con i propri incarichi (dichiarati) al vertice della Confederazione delle associazioni venatorie Italiane e dell’Associazione cacciatori veneti. Eppure è stato nominato co-relatore del regolamento Ue sulle misure di importazione, esportazione e transito di armi da fuoco, che tratta direttamente questioni di interesse per l’industria della caccia.
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