Beniamino Zuncheddu: «Sono un pensionato senza pensione e mi godo la libertà»

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Burcei. Com’è stato il 2024?

«Migliore di tutti gli altri. Molto».

Beniamino Zuncheddu è nel salotto bollente della sorella Augusta, al primo piano di una casa affacciata su una nebbia gelida che toglie ogni profondità allo sguardo: «Sono fortunato, lei e mio cognato mi hanno accolto». È agli sgoccioli del primo anno da uomo libero, dopo 33 trascorsi in prigione, condannato per la strage di Sinnai del 1991. Un clamoroso errore giudiziario certificato il 26 gennaio dalla sentenza del processo di revisione. Il viso rotondo e finalmente disteso incornicia il sorriso riconquistato: «I denti ho messo, ho sistemato l’occhio». La normalità la sta assaporando pezzo per pezzo nel paese in cui tutto è cominciato: aveva 26 anni, oggi ne ha sessanta tondi tondi. È tempo di bilanci: «Trentatré anni in carcere senza aver fatto niente sono lunghissimi, già è lungo un giorno. Ho vissuto più dentro che fuori: quando mi hanno arrestato ne dovevo compiere 27. Sono rimasto dentro una vita».

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Ha fatto il viaggio che sognava?

«Viaggi ne ho fatto tanti, per presentare il libro. Ma per conto mio non ancora».

Il bagno al mare?

«Quest’estate no. Come mi ripiglio un po’, prendo confidenza con il mondo esterno, magari ci sarà il viaggio e pure il mare».

La salute?

«Ho fatto l’occhio, quattro anni con la cataratta sono rimasto. Mi hanno visitato a Milano, l’intervento a Cagliari. Ho messo i denti. Mi hanno detto che la cervicale è sfasciata, posso prendere solo antidolorifici, ho provato con un’infiltrazione alla spalla. In carcere ho detto tante volte che stavo male ma per i medici avevo un’ottima salute».

L’accoglienza del paese?

«Bellissima. Prima e anche dopo e anche adesso. Il giorno che sono tornato era pieno di cartelloni, gente che mi abbracciava, fuochi d’artificio. Non capivo nulla».

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Delusioni?

«Per il momento non ancora».

Cos’è la libertà?

«È una cosa apprezzabile. Dopo che sei stato in un posto come quello l’apprezzi, apprezzi tutto. L’importante è sapere che puoi andare a qualunque ora in ogni posto. Non era così. Quando di giorno lavoravo fuori dal carcere non potevo cenare da un amico perché a quell’ora dovevo essere a Buoncammino. Ero privato, alla festa di Santa Barbara alle 8 e mezza di sera iniziava il divertimento e io dovevo tornare a casa. In permesso Covid avevo l’obbligo di firmare ogni mattina dai carabinieri, ma la caserma a Burcei non c’era più, quindi dovevo andare a Sinnai: non ho patente, mi accompagnava mio fratello, a spese nostre».

Vaccinato?

«No, dal medico vado se sto male e mi devo fare la puntura, se sto bene perché ci devo andare? Grazie a Dio non mi sono ammalato di Covid».

Il risarcimento dello Stato per mezza vita dietro le sbarre?

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«La bolletta devi pagarla subito o ti mandano Equitalia, ogni mese mi prendevano 114 euro per l’affitto della cella, li scalavano direttamente dalla busta paga del mio lavoro nel ristorante. Però se sbaglia lo Stato allora non c’è fretta. Si muova lo Stato po su fatu de su risarcimentu. Devo pagare i debiti».

Il 2024?

«Ho fatto il pensionato senza pensione».

Com’è stato?

«Bello, rilassante, faranno anche un film sulla mia storia, sono già venuti a vedere la zona. È bello quando la porta la apri tu e non te la apre qualcun altro. Meno male che mia sorella e mio cognato mi hanno accolto, altrimenti cosa fai? Vai a vivere sotto un ponte o fai il delinquente. Capita a molti di finire così, perché lo Stato ti abbandona e sono fatti tuoi. Tanti finiscono di nuovo in carcere, quanti ne ho visto».

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«No, per il momento sono in relax. Si vedrà più avanti».

Ha incontrato Luigi Pinna, il sopravvissuto che testimoniò di averla riconosciuta al momento della strage?

«Ha sempre rifiutato di vedermi».

E Mario Uda, il poliziotto che mostrò la sua foto al testimone prima del riconoscimento?

«Macché. Hanno costruito un castello insieme a Lombardini e vari altri. Chi ne ha pagato le spese sono io. Il testimone l’ho perdonato, il poliziotto no. Meno male ci sono le intercettazioni, mi hanno salvato, altrimenti il mio processo non sarebbe stato possibile».

Un regalo che vorrebbe a Natale?

«L’ho già avuto, è sempre Natale. Non desidero più niente».

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La sua giornata?

«Mi devo assestare, non ricordo i nomi di chi incontro: tu ses su fillu de? La mattina faccio qualcosina a casa, poi esco, per strada mi bloccano tutti. Verso le cinque-sei con i miei amici si va nel bar, si buffa qualche birrixedda, si chiacchiera. Vengono a prendermi in macchina, a piedi non fa».

Paolo Paolini

© Riproduzione riservata



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