La supply chain dei semiconduttori e dei microchip è estremamente articolata poiché coinvolge numerosi Paesi, ciascuno specializzato in specifiche fasi del processo produttivo. Ciò rende ogni attore quasi indispensabile per gli altri, almeno nel breve termine.
Tale complessità è il risultato di una strategia adottata negli ultimi decenni, durante i quali le aziende hanno preferito delocalizzare i propri impianti nelle aree più favorevoli dal punto di vista economico e tecnologico,senza considerare pienamente le conseguenze che tali decisioni avrebbero potuto avere sulla resilienza della catena di approvvigionamento, soprattutto a fronte di possibili shock.
Questa dinamica ha favorito l’aumento del numero di attori coinvolti, con conseguente incremento del grado di interdipendenza e di vulnerabilità del sistema sempre più soggetto a rischi e interruzioni. In altre parole, qualsiasi problema o collo di bottiglia in una fase specifica può generare effetti a catena sull’intero sistema produttivo.
I RISCHI ALLA SUPPLY CHAIN DEI SEMICONDUTTORI
Un esempio emblematico di tali interruzioni è rappresentato da quanto avvenuto negli anni della pandemia di COVID 19, la quale ha determinato la chiusura temporanea di numerosi stabilimenti e portato a severe interruzioni delle filiere logistiche a livello globale. I lockdown, in particolare, hanno causato una carenza di manodopera, obbligando le aziende a ridurre la capacità produttiva o, in alcuni casi, a sospendere completamente le operazioni. Questa situazione ha provocato una grave difficoltà nel soddisfare la crescente domanda di chip in molteplici settori, generando un rapido aumento dei prezzi e una significativa crisi di fornitura.
Un ulteriore elemento di vulnerabilità della supply chain dei semiconduttori è rappresentato dalla concentrazione geografica della produzione, fortemente radicata in poche regioni chiave, in particolare in Asia-Pacifico, area caratterizzata da crescente instabilità legata alla volontà di attori emergenti, su tutti la Cina, di modificare a proprio vantaggio lo status quo. Tale concentrazione rende la catena di fornitura altamente esposta all’alterazione del quadro geopolitico e alla crescente conflittualità commerciale, fattori in grado di minacciare l’afflusso stabile di materiali e componenti essenziali.
RICERCA, PROGETTAZIONE E PRODUZIONE
Per meglio comprendere i rischi cui è soggetta la catena produttiva dei semiconduttori occorre anche analizzare la complessità delle tre fasi principali che la caratterizzano: ricerca, progettazione e produzione.
Le prime due riguardano lo sviluppo dei chip, mentre la fase di produzione si distingue ulteriormente in due sottocategorie: front end e back-end. Nella produzione front-end, i circuiti integrati vengono concretizzati dai progetti ai wafer di silicio tramite tecniche avanzate di litografia. Successivamente, nella fase back-end, i wafer vengono tagliati, assemblati, confezionati e sottoposti a collaudo per trasformarsi in chip finiti, pronti per essere integrati nei dispositivi elettronici.
Questa suddivisione del processo produttivo, se da un lato consente un’elevata specializzazione, dall’altro aumenta la dipendenza da fornitori specifici per ogni singola fase, rendendo complessa la costruzione di un sistema di approvvigionamento resiliente. Di conseguenza, qualsiasi disallineamento o ritardo in uno dei segmenti produttivi può compromettere la fornitura globale.
GLI STATI UNITI DOMINANO LA FASE DI PROGETTAZIONE
Per quanto concerne le fasi iniziali, la progettazione e lo sviluppo sono centrali, e sono gestite dalle cosiddette fabless, aziende che non producono direttamente i chip che progettano e commercializzano, ma delegano le fasi successive ad altre aziende. Nello specifico, il segmento della progettazione, cioè il frangente in cui viene creato il design, include la ricerca, lo sviluppo ed il software di automazione della progettazione, noto come automazione della progettazione elettronica (EDA).
Gli Stati Uniti sono leader in questo segmento, con aziende che catturano oltre il 40% della quota di mercato globale della progettazione di circuiti integrati, che include tra l’altro proprio l’EDA. Inoltre, gli americani sono anche leader nel lavoro di progettazione di chip svolto da aziende che non concedono in licenza i progetti, ma commercializzano direttamente i loro chip. Tale posizione di forza dipende soprattutto dal fatto che gli USA sono i fornitori esclusivi di software necessari per progettare chip all’avanguardia.
A tal proposito, a partire dal 2021, tre aziende, Cadence, Synopsys e Mentor Graphics (una sussidiaria statunitense della società tedesca Siemens) rappresentano il 70% del mercato dell’EDA,36 seguite dalle società europee che ne detengono circa il 20%.37 Discorso analogo anche nella fase stessa del design, dove la situazione non varia di molto, con Stati Uniti e UE che controllano congiuntamente circa il 70% del mercato.
CHI CONTROLLA I MACCHINARI: IL RUOLO DI ASML
Anche il segmento dei macchinari necessari per la produzione di chip ad alta qualità è in larga parte controllato dagli attori del blocco Euro-Atlantico.
Concretamente, gli Stati Uniti rappresentano da soli oltre il 40% della quota di mercato globale per le vendite di apparecchiature per la fabbricazione di wafer. L’azienda olandese ASML, invece, è l’unico fornitore di apparecchiature di scanner di ultima generazione per fotolitografia (macchine per litografia a ultravioletti estremi o EUV), ed è proprio per questo che ha limitato le esportazioni di una parte dei suoi macchinari e prodotti.
Dopo i Paesi Bassi, il Giappone si posiziona come secondo fornitore di apparecchiature per microlitografia e mascheratura, grazie alle società Nikon e Canon, che però forniscono apparecchiature per scanner e stepper per fotolitografia non EUV. Inoltre, Tokyo è anche un importante produttore di strumenti per incisione e pulizia, deposizione e altri correlati.
In generale, la fetta di mercato controllata dai Paesi citati ammonta a circa il 90%, un contesto che pone la Cina in forte difficoltà. Le recenti restrizioni all’export attuate da ASML, su pressione americana, hanno infatti bloccato l’arrivo di macchinari di ultima generazione nel Paese. Appare, dunque, evidente come un elemento fondamentale della value chain riguardi l’ottenimento dei macchinari e dei materiali necessari per poter produrre i microchip, specialmente quelli di fascia più alta. In questi termini, le materie prime, i materiali lavorati, come i wafer di silicio (che sono anche la merce maggiormente venduta in questa categoria), e determinati prodotti chimici, sono concentrati soprattutto in Asia e, per la precisione, a Taiwan (23%), in Cina (19%), in Sud Corea (17%) e in Giappone (14%).
LA PRODUZIONE SI CONCENTRA IN ASIA
Nel contesto delle fasi produttive, poi, il focus si sposta quasi completamente verso la regione dell’Asia-Pacifico. La Cina, infatti, detiene le maggiori fette del mercato, sia nel caso della fabbricazione di wafer (20%) sia nella fase di packaging, assemblaggio e test (38%). Quest’ultima è la fase in cui i chip devono essere testati per garantirne il corretto funzionamento, mentre la fabbricazione di wafer viene affidata a fabbriche specializzate chiamate fonderie e che, in questo caso, si occupano soprattutto di prodotti a bassa e media qualità.
Nonostante ciò, resta comunque rilevante evidenziare come alcuni attori possano rappresentare delle potenziali alternative rispetto a Pechino. Tra i validi candidati si segnala anzitutto Taiwan che, controllando il 20% del mercato in
entrambi i settori, è dietro alla sola Cina per rilevanza nel settore, seguita dalla Sud Corea (17% e 9%) e dal Giappone (16% e 6%). Non sono da trascurare, inoltre, altri Paesi che in determinate fasi sono marginali, ma che nell’ottica delle strategie di decoupling e de-risking potrebbero rivelarsi decisivi. Tra questi, la Malesia rappresenta un’opzione concreta per diverse società in uscita che cercano di rilocare i propri capitali e i propri impianti al di fuori del territorio cinese. Attualmente, infatti, lo Stato federale dell’Asia sudorientale rappresenta il 13% del mercato globale di test e packaging dei semiconduttori,38 fasi produttive che richiedono tecnologie non particolarmente avanzate e facilmente trasferibili, ma che potrebbero rappresentare un’opportunità per Kuala Lumpur di riposizionarsi anche in altre fasi della supply chain, in cui sia richiesto un maggiore livello di knowhow.
IL DOMINIO MANIFATTURIERO DI TAIWAN
Vi è, infine, da tenere in considerazione il dominio di Taiwan sull’ultima fase, quella della produzione, di cui l’isola controlla un’imponente fetta di mercato superiore quasi all’80% del totale.
In virtù dell’attuale contesto, non stupisce il tentativo da parte del blocco euro-atlantico di blindare la propria supremazia nel campo dell’innovazione tecnologica, la quale ruota attorno alla proprietà intellettuale in fase di progettazione e alla capacità di produrre microchip di dimensioni minori. Infatti, sebbene il valore di mercato di un chip da 10 nanometri (nm) non sia intrinsecamente superiore rispetto a uno da 20 nm, la capacità di produrre chip più piccoli è indicatore di maggiore efficienza.39 Ciò si traduce in migliore capacità di calcolo e velocità di elaborazione, oltre ad un significativo risparmio energetico.
Per quanto riguarda i microchip più all’avanguardia, con dimensioni inferiori ai 10 nanometri, Taiwan detiene un monopolio de facto, con una quota di mercato pari al 92%. Tale situazione si deve in gran parte alla capacità di innovazione tecnologica della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), la quale mira a realizzare una produzione di massa di microchip da 2 nm entro il 2025, spingendo il mercato verso nuove frontiere tecnologiche e consolidando ulteriormente la propria posizione come player indispensabile nella produzione di microchip di nuova generazione.
La situazione cambia notevolmente se si prendono in considerazione quelli di dimensioni maggiori: gli Stati Uniti controllano circa la metà del mercato globale (40%) dei chip tra i 10 e i 22 nanometri, mentre la presenza della Cina diviene sempre più massiccia con l’aumentare delle grandezze, attestandosi addirittura oltre la soglia del 20% nel caso dei chip superiori ai 45 nm.
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