Oggi inflazione e carovita continuano a minacciare il potere d’acquisto di milioni di famiglie, che si trovano a dover gestire il bilancio mensile tagliando le spese superflue e facendo molta attenzione alla scelta dei beni di prima necessità (tra cui gli alimenti e i prodotti per l’igiene). Per i genitori, inoltre, si sommano anche i costi legati all’istruzione, agli svaghi e all’abbigliamento dei figli.
E se la tredicesima dà sicuramente una mano per i consumi e i regali legati alle festività natalizie, è però vero che chi non ha una occupazione talvolta si ritrova anche a non avere i soldi per mangiare. Le cronache dei giornali spesso raccontano storie di ordinaria povertà, in cui troviamo persone che hanno perso tutto per un investimento fallimentare o perché erose dai debiti. In mancanza di un tetto dove dormire, c’è chi vive in strada e negli spazi riparati che offre il territorio urbano, ma il problema del cibo è e resta un’urgenza primaria.
Ecco perché negozi e supermercati diventano bersaglio dei furti per fame. Si ruba cibo per sopravvivere, nella preoccupazione di non riuscire altrimenti a campare.
La domanda a cui intendiamo rispondere in questo articolo è la seguente: si può rubare per necessità? La legge, anche e soprattutto pensando alle feste di Natale, ammette una deroga a favore di un senzatetto che si impossessa di alimenti e bevande, senza pagarle e al mero fine di mettere qualcosa sotto i denti?
La risposta è meno banale o scontata di quanto potrebbe sembrare ed è offerta da una recente decisione della Corte di Cassazione. Vediamola.
La vicenda e la difesa della ladra per fame
Il caso concreto da cui prende le mosse la sentenza dei giudici di piazza Cavour, la n. 40685 depositata qualche settimana fa, riguarda un tentato furto per fame in un supermercato lombardo, un gesto compiuto da una senzatetto che – non avendo i soldi per pagare alla cassa – aveva sottratto del formaggio, alcuni pezzi di soppressa veneta, una confezione di bastoncini di cotone e una di detersivo, per un valore totale di poco maggiore di 100 euro.
Il comportamento della donna non era passato inosservato, d’altronde telecamere e personale in servizio nella struttura possono – con una certa facilità – individuare eventuali illeciti. A seguito della segnalazione di una commessa che aveva assistito al tentativo di furto, giunsero sul posto le forze dell’ordine per documentare quanto successo, scoprendo lo stato di estrema indigenza in cui versava la clochard. Questo fu così evidente che alcuni dei carabinieri intervenuti andarono a comprare un po’ di pane per sfamarla.
Il supermercato, per nulla intenerito dalla debolezza della ladra di cibo, intese procedere penalmente. In tribunale, la difesa della senza fissa dimora sostenne che il furto degli alimenti e di altri generi di prima necessità, doveva essere giustificato dallo stato di povertà e di incapacità di provvedere, con propri mezzi, alla sussistenza. In buona sostanza, secondo la tesi dell’avvocato dell’imputata, la mancanza di cibo avrebbe potuto avere conseguenze fatali per l’assistita.
Ecco perché la difesa chiese l’applicazione di uno specifico articolo del Codice Penale, il n. 54 che disciplina lo stato di necessità e che, di fatto, esclude la sanzione penale:
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
La decisione della Cassazione e l’impossibilità di applicare lo stato di necessità dell’art. 54 c.p
Come anticipato, la disputa giudiziaria ha avuto il suo esito in Cassazione. Infatti, sia il tribunale di Monza che la Corte d’Appello di Milano – a seguito della ricostruzione dei fatti e dell’accertamento stato di indigenza della donna – avevano tuttavia escluso lo stato di necessità, confermando la condanna per il tentato furto nel supermercato. In particolare il giudice di secondo grado aveva condannato la clochard alla pena di 4 mesi di reclusione e a 100 euro di multa.
In Cassazione i legali di quest’ultima impugnarono la sentenza d’appello per violazione di legge, difetto di motivazione e argomentazione errata e illogica. Secondo i giudici, il cibo rubato non era di scarso valore e non ricorreva lo stato di bisogno, potendo la donna rivolgersi ad enti di assistenza per i poveri.
La Suprema Corte si è pronunciata con la sentenza n. 40685, ossia con un parziale ribaltamento delle precedenti decisioni. In particolare questo giudice ha:
- escluso la causa di giustificazione dello stato di necessità, ritenendo che – pur con una accertata situazione di indigenza e la mancanza di fissa dimora – non vi fosse un pericolo imminente e inevitabile per l’imputata;
- chiarito che, per applicare l’art. 54 del Codice Penale – e quindi per non punire il ladro – è necessario che il pericolo di un danno grave alla persona sia attuale, inevitabile e non volontariamente causato dal soggetto.
In particolare, nella vicenda non ci sono i presupposti dello stato di necessità:
non potendosi sovrapporre, come rilevato dalla Corte territoriale, uno stato di bisogno determinato dalle condizioni di indigenza e di assenza di stabile dimora con i precisi requisiti di cui all’art. 54 cod pen. Difetta invero qualsivoglia allegazione in ordine alla natura del tutto involontaria della situazione predetta, nonché il requisito della inevitabilità del danno grave e irreparabile.
La Corte ha ribadito un consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di furti per fame e stato di necessità, ma ha anche – almeno in parte – giustificato il comportamento della donna, come ora vedremo.
L’applicazione della regola sul furto lieve per bisogno
Con la sentenza n. 40685, i giudici di piazza Cavour hanno ricordato che la giurisprudenza della stessa Corte ritiene da applicare la norma del Codice Penale che riguarda non il furto comune, ma quello in forma lieve e per bisogno di cui all’art. 626 dello stesso testo (intitolato “Furti minori”).
Nel provvedimento si trova infatti scritto che:
Il furto lieve per bisogno è configurabile nei casi in cui la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave ed urgente bisogno; ne consegue che, per far degradare l’imputazione da furto comune a furto lieve, non è sufficiente la sussistenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave ed indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa.
Ricapitolando, in questa vicenda la Corte ha ritenuto di applicare alla donna le regole del reato di furto lieve per bisogno, considerato il suo stato di malnutrizione e indigenza e il fatto che si era impossessata di cibo di ridotto valore economico. Nei vari gradi di giudizio si era infatti palesata una necessità grave e urgente, che permetteva comunque di degradare il reato contestato dal furto “normale” a quello “lieve”, che prevede una pena minore.
Che cosa cambia
Sostanzialmente la giurisprudenza della Cassazione su questi temi non varia, ma anzi viene ribadita e confermata. Per la donna invece è cambiato il reato contestato, perché la Suprema Corte ha annullato la sentenza di secondo grado e rinviato il caso ad altra sezione della corte d’appello di Milano per un nuovo esame. A quest’ultima ha anche imposto che la valutazione dello stato di bisogno tenga conto delle circostanze concrete, incluse le condizioni di salute e l’indigenza del ladro.
In altre parole, la corte d’appello non aveva valutato questi aspetti nel modo giusto, affermando anzi che la merce rubata fosse rivolta alla rivendita, senza considerare adeguatamente tutti gli elementi emersi durante il processo. E proprio questi ultimi spiegano il declassamento del furto da “comune” a “lieve”.
Come detto sopra, la Cassazione ha riconosciuto che la senzatetto era in uno stato di malnutrizione e debolezza, che certamente giustificava il tentativo di furto per nutrirsi. Per questo si applicherà la fattispecie del furto lieve per bisogno, con una pena ridotta ad un solo anno di reclusione al massimo.
Concludendo, la sentenza n. 40685, depositata poche settimane fa, ci ricorda che gli innumerevoli casi di furto nei supermercati, empori e negozi che vendono cibo e generi di prima necessità (ma sono molti anche quelli nelle abitazioni, commessi anche dalle badanti), vanno valutati uno ad uno, senza poter giungere a conclusioni affrettate e spesso erronee. Questo a maggior ragione nel periodo delle feste natalizie, tradizionalmente rivolto ai consumi e all’utilizzo massiccio del denaro nel conto corrente.
Nel caso che abbiamo visto qui, la donna non è stata perdonata – tramite l’applicazione dell’art. 54 del Codice Penale – ma comunque la Cassazione ha riconosciuto il degradamento del reato in furto minore, che prevede infatti sanzioni più leggere.
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