Fatture false e riciclaggio in Bulgaria: arrestati due fratelli bergamaschi

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Val Cavallina. Sapevano di avere la Guardia di Finanza addosso, ma i soldi dovevano continuare a entrare. Hanno dismesso le vecchie società per cancellare le tracce e replicato il medesimo schema criminale costituendone di nuove, ad hoc. In manette sono finiti due fratelli bergamaschi, secondo chi indaga al centro di una presunta associazione a delinquere accusata di aver messo in piedi un giro di fatture false da oltre 20 milioni di euro. Soldi che venivano sottratti al fisco e riciclati in Bulgaria. Soldi che servivano per fare la bella vita: comprare orologi Rolex, Longines e Audemars Piguet, auto sportive e immobili di pregio. Il tesoretto sequestrato dal nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Bergamo ammonta a 9,4 milioni di euro. E comprende conti bancari, lingotti d’oro più altri beni di lusso.

I fratelli in questione sono imprenditori attivi nel settore della lavorazione del marmo: M.C., 39enne di Carobbio degli Angeli, e L.C., 37enne di Zandobbio, ex Consigliere comunale, candidato anche all’ultima tornata elettorale. Il primo, con precedenti non specifici, è in carcere perché secondo il Gip Maria Beatrice Parati c’è il rischio di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove. Il secondo, incensurato, è ai domiciliari. Una misura ritenuta sufficiente a inibire ogni potenziale condotta criminale, anche se gli inquirenti gli attribuiscono un ruolo paritario a quello del fratello maggiore. Stando a quanto ricostruito, L.C. si occupava delle faccende burocratiche, della conservazione della documentazione contabile e di impartire direttive sulla movimentazione del denaro agli altri membri del sodalizio. Il tutto senza assumere incarichi formali nelle società finite nei radar dei finanzieri, per non destare sospetti.

Sei arresti

I fratelli non avrebbero fatto tutto da soli. A dargli manforte – sempre secondo l’accusa – c’era S.B., 51enne commercialista napoletano. I suoi compiti? Trovare alle società gli spazi dove far risultare la sede legale, gestire le incombenze fiscali e, soprattutto, fornire la documentazione contabile alle banche bulgare per giustificare gli ingenti flussi di denaro. Insomma, per dargli una parvenza di regolarità. Anche lui è ai domiciliari, come N.C., 74 anni, di origini sarde residente in Monza e Brianza. Insieme al figlio M.C., 33 anni, in carcere, sono considerati gli amministratori di diritto delle “società perno” del sistema di false fatturazioni, operavano sui conti e provvedevano al prelievo e al trasferimento dei contanti tra l’Italia e la Bulgaria.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

In cella è finito anche A.S., 38enne albanese di San Paolo d’Argon. Gli investigatori lo definiscono lo ‘spallone’, termine usato per definire i contrabbandieri che esportavano denaro e merci oltre frontiera. Secondo la Gdf, la sua mansione consisteva nel prelevare il contante in Bulgaria e trasferirlo sui conti della società a Sofia, per poi riportarlo in Italia e mascherarne la natura illecita. Ai viaggi partecipava anche M.C. Una volta, i due sono stati fermati in aeroporto a Orio al Serio con 15 mila euro in contanti, ma sarebbero arrivati a trasportarne fino a 200 mila in un solo viaggio. Tanti, troppi. Indagati a piede libero anche i presunti prestanome: L.R., 66enne di Spirano, e L.D.O, 65enne della provincia di Lodi; oltre a A.M., 45enne bulgara con una funzione da interprete per agevolare i contatti con le banche del posto.

I passi falsi

L’indagine della Finanza è stata coordinata dal pubblico ministero Paolo Mandurino. Da quanto emerso, cinque società cartiere producevano fatture inesistenti “procurandosi immensi vantaggi patrimoniali in termini di risparmio d’imposta”, sottolinea il Gip. Cinque società “sostanzialmente riconducibili ai membri delle due famiglie“, “accomunate dalle medesime criticità finanziarie e commerciali”. Le società, di recente costituzione, effettuavano movimentazioni bancarie per “importi rilevanti, indicativi di un giro d’affari incongruente rispetto alla loro recente operatività”, oltre che alla loro “totale mancanza di strutture operative e di dipendenti”. Inoltre, l’analisi dei conti correnti e delle fatture emesse avrebbe “consentito di appurare la sussistenza di rapporti commerciali quasi esclusivamente reciproci tra le imprese, con trasferimenti di denaro giustificati da indicazioni del tutto generiche”. Nell’ordinanza del Tribunale si parla di “solido quadro indiziario” a carico degli indagati. In una conversazione telefonica tra M.C. e A.S., sembra inoltre emergere la volontà di concordare una versione per addossare l’eventuale responsabilità dei fatti a L.R., il presunto prestanome con casa a Spirano. Per il momento, gli avvocati che siamo riusciti a contattare hanno preferito non rilasciare dichiarazioni. Nei prossimi giorni, gli interrogatori di garanzia davanti al Gip. Lunedì 16 dicembre toccherà ai tre finiti in carcere, martedì 17 ai tre agli arresti domiciliari.

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