Dopo le ristrutturazioni effettuate beneficiando del superbonus, molte rendite catastali possono subire un incremento, ma non molti sono a conoscenza dell’obbligo di aggiornamento. Tuttavia, anche laddove il valore dell’immobile è aumentato, gli incrementi sono stati inferiori alle aspettative. Tra qualche settimana, chi non ha ancora provveduto alla rivalutazione delle rendite catastali riceverà un sollecito dall’Agenzia delle Entrate.
La Legge di Bilancio 2024, nei commi 86 e 87, stabilisce che chi ha usufruito del superbonus 110 è tenuto ad aggiornare i dati catastali.
È importante sottolineare che, secondo il Testo Unico dell’Edilizia, alla conclusione di qualsiasi ristrutturazione è necessario presentare al Comune una prova della variazione catastale o una dichiarazione che i lavori non hanno alterato il classamento dell’immobile.
Questa operazione deve essere eseguita entro 30 giorni dalla fine dei lavori.
Ma chi è obbligato ad adeguare la rendita catastale?
L’adeguamento è richiesto solo in specifici casi:
-quando aumenta il numero dei vani,
-quando la volumetria cresce o quando i lavori incrementano il valore dell’immobile di almeno il 15%, una condizione che può verificarsi anche solo con l’installazione di un cappotto termico.
La Legge di Bilancio 2024 consente all’Agenzia delle Entrate di verificare se per gli edifici che hanno beneficiato del superbonus sia stata presentata la dichiarazione di variazione catastale.
In caso di mancato rispetto dell’obbligo, si potrebbe ricevere una lettera di compliance che segnala una possibile irregolarità. La normativa si basa sul presupposto che gli interventi effettuati con il superbonus comportino sempre un aumento del valore dell’immobile di almeno il 15%, rendendo quindi obbligatoria la dichiarazione di revisione delle rendite catastali per tutti coloro che hanno realizzato lavori agevolati.
Come si calcola l’aumento?
L’aumento si determina confrontando la spesa con il valore catastale originario. Le spese vanno suddivise in opere nuove, come il cappotto termico o il fotovoltaico, e opere di ammodernamento, come la sostituzione degli infissi.
I nuovi interventi si conteggiano per intero, quelli di ammodernamento per metà. Il totale ottenuto va confrontato con i valori del 1988/89, rapportando l’euro del 2024 con la Lira di quegli anni. Questo risultato viene poi comparato con la rendita catastale originaria rivalutata moltiplicando per 100.
Se il costo delle ristrutturazioni supera del 15% il valore iniziale dell’immobile, è necessario procedere a una rivalutazione; in caso contrario, non è richiesta.
Questo processo è piuttosto complesso e necessita di chiarimenti da parte dell’autorità fiscale.
ESEMPIO
Consideriamo un immobile con una rendita catastale di 600 euro, sottoposto a lavori di ristrutturazione tramite il superbonus 110. Sono stati spesi 35.000 euro per l’isolamento termico e 15.000 euro per la sostituzione di infissi e caldaia. A questi 35.000 euro si aggiungono 7.500 euro (la metà degli ammodernamenti) per un totale di 42.500 euro di spesa. Il valore di un euro oggi rispetto al 1988 e al 1989 può essere determinato usando il sistema dell’Istat, che automaticamente converte i valori: 2,527 per il 1988 e 2,370 per il 1989, con una media di 2,448. Dividendo il costo sostenuto per questo valore, si ottiene il valore della rivalutazione dell’immobile, cioè 17.361 euro. Questo importo supera il 15% del valore originale, che era di 60.000 euro secondo la rendita catastale rivalutata, sfiorando quasi il 30%, quindi è necessario un aggiornamento della rendita catastale.
Quanto costa l’aumento della rendita catastale per la prima casa?
L’aumento influenzerà diversamente l’abitazione principale rispetto alle seconde case, considerando il Superbonus. Sulla prima casa non si paga l’Imu (eccetto in casi di lusso), ma l’effetto si avrà sull’Isee e sull’Irpef. Per l’Irpef, la prima casa viene dichiarata moltiplicando per 105 la rendita catastale, contribuendo al reddito complessivo, che però è sostanzialmente neutralizzato da una deduzione pari alla rendita catastale della prima casa e delle sue pertinenze. Se la casa è di lusso e quindi soggetta a Imu, non influenzerà il reddito complessivo ai fini Irpef.
Per quanto riguarda l’Isee, la prima casa non ha impatto solo se il suo valore è entro i 52.500 euro, incrementati di 2.500 euro per ogni figlio convivente oltre il secondo. Oltre questa soglia, l’immobile incide sull’Isee per due terzi della parte eccedente.
Ad esempio, se la casa principale vale 200.000 euro, l’impatto sull’Isee sarà circa 98.333 euro (due terzi del valore eccedente i 52.500).
Bisogna poi considerare che nel calcolo dell’Isee, il patrimonio mobiliare e immobiliare viene valutato al 20% del valore reale. In questo caso specifico, entrerebbe nel calcolo dell’Isee un valore di 19.666 euro (il 20% di due terzi che superano i 52.500 euro). Per coloro che intendono vendere la prima casa con una rendita catastale aumentata, è importante ricordare che questo cambiamento influisce anche sulle compravendite. L’imposta di registro, infatti, è determinata in percentuale (2% o 9%) sul valore catastale, e in questo caso, è l’acquirente a dover pagare.
L’aumento della rendita catastale incide anche sulle imposte di donazione e successione, calcolate moltiplicando un coefficiente variabile, differente a seconda del tipo di immobile, per la rendita catastale.
Per quanto riguarda le seconde case, l’incremento della rendita catastale ha un impatto maggiore, poiché queste sono soggette al pagamento dell’Imu, calcolato proprio sulla rendita catastale. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non influisce sull’Irpef. È importante notare che, se la seconda casa non è affittata e si trova nello stesso Comune di residenza del proprietario, l’immobile è soggetto sia all’Imu che all’Irpef. In tal caso, l’Irpef equivale al 50% della rendita catastale aumentata di un terzo.
Comprensibilmente, l’aumento della rendita catastale ha un impatto significativo per chi ha usufruito del superbonus. Consideriamo, ad esempio, una seconda casa non affittata nel Comune di residenza con una rendita catastale di 800 euro. Senza aumenti, oltre all’Imu, si pagherebbe un’Irpef di 533 euro. Con un aumento del 18% o del 36% della rendita catastale, l’Irpef salirebbe rispettivamente a 629,33 euro e 725 euro.
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