C’è qualcosa di inafferrabile nel pizzo, un fascino che attraversa i secoli e le culture senza perdere il suo mistero e la sua allure. Un tessuto che nasce dalla tensione tra la mano e il filo, tra l’aria e la materia, e che da semplice ornamento si è trasformato in simbolo di potere, status, seduzione e creatività. Non è un caso che proprio il pizzo, con la sua leggerezza e la sua capacità di mutare forma e significato, continui a dominare le passerelle, reinventandosi stagione dopo stagione.
La storia del pizzo dal XVI secolo ad oggi
Le sue origini sono avvolte in una trama di storia e leggenda. I primi esemplari di reti e decorazioni simili al pizzo risalgono a migliaia di anni fa, ma è nel XVI secolo che il pizzo così come lo intendiamo oggi prende davvero forma. A Venezia e Milano, due centri nevralgici del Rinascimento italiano, si sviluppano le tecniche del pizzo ad ago e del tombolo, mentre nelle Fiandre si affermano trame di una delicatezza impareggiabile grazie all’uso di finissimi fili di lino. Qui il pizzo diventa non solo un accessorio, ma un linguaggio artistico, un modo per raccontare il prestigio e il gusto dei suoi committenti.
Il pizzo è sempre stato una questione di potere. Dalle gorgiere rigide di Elisabetta I d’Inghilterra, che incorniciavano il viso con un’aura di regalità inaccessibile, ai cravattini settecenteschi che adornavano il collo degli uomini più influenti d’Europa, il pizzo era una dichiarazione di ricchezza. Costava una fortuna: una sola gorgiera del Seicento valeva il salario annuo di un servitore, mentre un metro di Valenciennes arrivava a richiedere un intero anno di lavoro da parte di una lacemaker. Industria fiorente, il commercio del pizzo era spesso accompagnato da contrabbando e ingegno per attraversare i confini, tra tanti aneddoti curiosi che vedono protagonisti cani fasciati di trame preziose e nascosti tra orde di bestiame, oppure filoni di pane svuotati e riempiti di pizzo. Dietro la sua bellezza, però, si cela un’altra storia: quella di mani femminili che per secoli hanno intrecciato fili in silenzio. Nelle case, nei conventi, nelle prigioni, le donne producevano pizzi per le corti e le aristocrazie. Non avevano diritti né voce, ma le loro creazioni parlavano per loro, portando nei salotti più eleganti del mondo un’eco del loro talento. In Belgio, durante la Prima Guerra Mondiale, le lacemaker crearono opere che furono vendute per sostenere il paese invaso; quei pizzi non erano solo oggetti decorativi, ma un atto di resistenza e solidarietà. Al tempo stesso, il pizzo belga di quegli anni raccontava la Storia che si svolgeva sotto gli occhi del popolo: documentava infatti i nomi di personaggi, luoghi, date e stemmi militari – una peculiarità unica nell’eredità del mondo del pizzo.
Pizzo Honinton e Chantilly
Con l’Ottocento, l’avvento delle macchine per il pizzo segnò una svolta. La produzione industriale democratizzò il tessuto, rendendolo accessibile a un pubblico più ampio, ma segnò anche la fine di molte tradizioni artigianali. Il pizzo, tuttavia, trovò nuovi modi per reinventarsi. Nel Regno Unito, ad esempio, il pizzo Honiton divenne celebre per il matrimonio della Regina Vittoria, mentre il pizzo Chantilly francese continuò a essere sinonimo di romanticismo e lusso. Se per secoli il pizzo fu unisex, con il XIX secolo il suo significato si fece sempre più femminile e sensuale. In epoca vittoriana, si trasformò nell’emblema della lingerie, con tutte le contraddizioni che ne derivavano. Da un lato, era simbolo di purezza e virtù; dall’altro, oggetto di desiderio, capace di sedurre con le sue trasparenze. Era il pizzo delle giarrettiere e dei corsetti, delle ballerine di cancan e delle flapper girl degli Anni 20, che lo ereditarono per trasformarlo in un’arma di emancipazione e provocazione.
La tendenza pizzo per l’Autunno Inverno 2024 2025
Oggi il pizzo è un terreno di sperimentazione continua. Sulle passerelle Autunno Inverno 2024, la sua dualità è stata celebrata con una varietà di accattivanti interpretazioni. Dolce & Gabbana ha riportato il pizzo nero floreale alle sue radici siciliane, creando abiti che flirtano con il boudoir senza mai cadere nella volgarità. Valentino ha giocato con stratificazioni e silhouette gotiche, mescolando trasparenze audaci e strutture romantiche.
Gabriela Hearst e Michael Kors, invece, hanno proposto un pizzo minimalista, nei toni del bianco, del nero e del beige, che richiama la semplicità di un passato senza tempo. La versatilità del pizzo si riflette anche nel modo in cui viene indossato. Da Chloé, le bluse piratesche e i maxi-abiti in pizzo bohémien dialogano con stivali scamosciati e cinture sottili, creando un look che fonde il vintage con lo spirito urbano. Gucci ha portato il pizzo in territori inesplorati, accostandolo al velluto e reinventandolo in chiave contemporanea, mentre Roberto Cavalli lo ha intrecciato con motivi geometrici per un effetto tribale e audace.
Ma perché il pizzo continua a sedurre? Forse perché racchiude un paradosso: è al tempo stesso fragile e forte, effimero ed eterno. È un tessuto che si insinua tra i ruoli di genere, tra sacro e profano, tra pubblico e privato. E se le passerelle Autunno Inverno 2024 ci insegnano qualcosa, è che il pizzo non è solo un tessuto, ma una metafora della complessità umana, capace di adattarsi, sorprendere e reinventarsi. Così, mentre la moda evolve, il pizzo rimane una certezza senza tempo.
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