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La storia si ripete, non è la prima volta che viene smantellato un traffico di droga a Palermo con queste caratteristiche: trafficanti ben equipaggiati e ben inseriti nel tessuto criminale locale, tanto da potersi muovere con agilità tra le maglie dei mandamenti mafiosi di cosa nostra, ricevendo autorizzazioni e benestare, pur senza mai affiliarsi, automobili truccate, doppiofondi nei serbatoi, sotto al cofano, nei posti più impensabili e un interminabile vai e vieni dalla Calabria per rifornirsi della droga, buona parte della quale in arrivo al porto di Gioia Tauro. Questa volta però c’è di diverso l’uso della tecnologia, con i trafficanti che non si fanno più incastrare per una frase di troppo detta con troppa leggerezza al telefono, ma curano ogni dettaglio.
Schede telefoniche olandesi criptate, utilizzate grazie a smartphone modificati tanto nel software quanto nell’hardware, in grado di scambiarsi messaggi cifrati che passavano da server esteri a prova di intercettazione. Cellulari e utenze venivano cambiati periodicamente. «Questi li spegniamo… tanto scadono a gennaio… e poi ce li vendiamo. Recuperiamo i soldi. Fra un paio di mesi, passati due mesi li cancelliamo a tutti, come ho fatto l’altra volta: è sempre meglio che li abbiamo freschi» diceva il capo in un’intercettazione. Sì, perché in realtà quello che era un punto di forza della banda si è trasformato presto in punto debole, visto che proprio dalla localizzazione di una di queste utenze supersegrete gli agenti del Rico della guardia di finanza hanno trovato per la prima volta il nome di Fabio Santangelo, 46enne palermitano con precedenti penali per traffico di stupefacenti.
E durante le conversazioni criptate veniva fuori anche tutta la passione per film e serie Tv degli indagati, che utilizzavano nickname per lo più provenienti dalle serie crime di Netflix: uno dei sodali si faceva chiamare New York, prendendo il nome di una città come i protagonisti de La Casa di carta, mentre per Santangelo, che in casa aveva pure un ritratto di Tony Montana-Al Pacino in Scarface, il nickname era El Chapo, come il signore della droga messicano a capo del cartello di Sinaloa, protagonista anche lui di una serie Tv. Poi, nel 2023, parte la serie di arresti, un corriere beccato sull’autostrada nei pressi di Buonfornello col serbatoio della sua auto stracolmo di cocaina, un venditore che teneva in casa a Carini cocaina, crack, hashish e una pistola, un altro che viaggiava accompagnandosi con un trolley con dentro quasi 600mila euro in contanti. Soldi che si scoprirà, gli erano stati dati anche dallo stesso Santangelo. Infine ci si sono messi pure i collaboratori di giustizia, due uomini del giro che messi alle strette hanno deciso di parlare.
«Le mie forniture con lui non erano mai sotto i 4 chili di cocaina, per un massimo di 7 chili – racconta agli inquirenti New York parlando di Santangelo – È stato il più grosso cliente che ho avuto, acquistava questi quantitativi tutti in una volta. Lui riforniva lo Zen, l’ho conosciuto lì, mi era stato presentato da un certo Jonathan dello Zen di cui non ricordo il cognome, che ho già riconosciuto in un altro album nel corso di un precedente interrogatorio. Si è sempre presentato agli appuntamenti da solo, mi ricordo che faceva un carico ogni 15 giorni, aveva un bel giro, pagava in contanti subito alla consegna. Gli vendevo la droga a 36.500 euro al chilo e lui pagava in un’unica soluzione, faceva pacchetti sottovuoto ciascuno da 10.000 euro».
L’arresto di Santangelo e dei suoi sodali mette fine a un traffico che è andato avanti senza sosta da prima del 2020, incluso il periodo del lockdown, quando quello che poi sarebbe diventato collaboratore di giustizia, soprannominato New York, si era reso indispensabile per la sua capacità di compiere ancora i viaggi da e per la Calabria utilizzando un permesso sanitario e un’auto modificata.
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