Colaninno: «Più export e ricerca, la spinta per Piaggio. Cuore e testa in Italia»

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di
Nicola Saldutti

L’amministratore delegato: stiamo investendo nelle fabbriche, dal rinnovo di Mandello del Lario al Porter elettrico a Pontedera

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«Per fare industria ci vuole tempo, non fretta. In un momento storico nel quale i clienti cambiano idea ogni giorno, il gruppo Piaggio ha nel suo Dna la capacità di creare nuovi prodotti nel solco della sua lunga storia, iniziata nel 1884. Siamo una multinazionale saldamente italiana, con il cuore in Europa ma presenti con le nostre fabbriche in tutti i mercati nei quali vendiamo, dall’Italia alla Cina, all’Indonesia, all’India, al Vietnam». Michele Colaninno, classe 1976, amministratore delegato del gruppo Piaggio, che esporta la Vespa, e non solo, in 100 Paesi nel mondo, si ferma un attimo: «La mobilità nelle megalopoli è una preoccupazione in tutte le aree del mondo, pensi a quanto è cresciuto il trasporto delle merci nelle città. Per questo abbiamo realizzato il nuovo Porter elettrico insieme al gruppo Foton, ma abbiamo voluto che fosse costruito in Italia, a Pontedera. Ecco, questo è il nostro modo di pensare l’industria. Le collaborazioni sono utili, ma non sempre necessarie».

A proposito di motori elettrici, l’auto chiede un rinvio della scadenza del 2035.
«Credo sia stato un errore strategico che l’Europa, oltre a fissare gli obiettivi di riduzione delle emissioni, abbia voluto stabilire anche come arrivarci. Il “come” spettava all’industria, sono convinto che la neutralità tecnologica sia l’unica strada percorribile. Ognuno deve poter scegliere la tecnologia, termica, elettrica, ibrida o idrogeno, tenendo ben saldi gli obiettivi di decarbonizzazione a lungo termine. Invece si è scelta la strada della transizione imposta in un arco di tempo molto breve, della quale sta beneficiando l’Asia».




















































Che sta rallentando però.
«Vero, dopo quindici anni di crescita esponenziale sta attraversando un periodo di rallentamento, ma la crescita riprenderà, bisogna guardare al lungo termine».

L’Europa ha risposto con i dazi sull’elettrico per difendersi. Siete preoccupati?
«Ritengo che il protezionismo non sia una soluzione e non aiuti la crescita. Per noi le barriere doganali hanno un impatto inferiore rispetto a molti altri produttori, grazie alla nostra politica, avviata ormai oltre quindici anni fa, di localizzare le produzioni dove vendiamo. I nostri marchi sono sviluppati e costruiti per cogliere le opportunità in giro per il mondo. Bisogna invece stare molto attenti alla filiera produttiva: per i nostri veicoli elettrici, abbiamo deciso di mantenere il controllo sia del software sia del powertrain. Abbiamo voluto internalizzare queste tecnologie in Italia per non essere troppo dipendenti da fattori esogeni».

Accorciare le filiere produttive ormai è una svolta necessaria?
«Essere presenti dove vendiamo, ma essere in grado di controllare tutta la parte produttiva. In questi tempi dove la geopolitica è diventata centrale riteniamo sia la strategia più corretta».

Come sta andando l’anno?
«Rispetto al contesto di mercato attuale, siamo soddisfatti, ma non è stato un anno facile. Stiamo investendo nelle fabbriche. Ci sarà il rinnovo totale di Mandello del Lario, casa di Moto Guzzi fin dal 1921. Vogliamo realizzare la fabbrica più bella del mondo, un polo aperto al pubblico, con un museo per ripercorrere la storia e un incubatore di nuove idee. Abbiamo da poco compiuto 100 anni, e investire ci è sembrato il modo migliore per festeggiarlo. Prodotti e fabbriche sono i punti nodali dello sviluppo futuro del gruppo. Ma lo ripeto: per creare un nuovo prodotto ci vogliono tre anni, è una opzione sul futuro. Ogni anno investiamo il 5% in ricerca e sviluppo. Bisogna avere dieci idee per realizzarne due, quelle giuste. Tecnologia, ma anche design e nuovi materiali. Capire e captare come si muovono le nuove generazioni, è questa la sfida. Il patrimonio umano della Piaggio è ciò che ci ha consentito di diventare la multinazionale italiana che siamo e restare competitivi».

Ma la competizione è forte, anche sui prezzi e sui costi.
«Per questo sarebbe sbagliato impostare la nostra strategia sui costi, vogliamo essere sempre più un gruppo premium. Un’impresa non è fatta solo dai prodotti che vende, ma anche da chi quei prodotti li pensa, li sviluppa, li costruisce. Sono molto contento dei team che in giro per il mondo lavorano in Piaggio. Come tutti, anche le nostre idee sono perfettibili, ma abbiamo una visione chiara sul percorso tracciato e, compatibilmente con un momento non florido dei mercati americani e asiatici, con l’inflazione e costi finanziari alti, noi stiamo andando bene. Ci sono anche nuove sfide: il mondo della mobilità non si esaurisce solo con il veicolo, per questo il marchio Vespa sta esplorando anche mondi nuovi. I nostri marchi rappresentano anche costumi e mode del tempo, credo che tutti abbiano in mente la scena di Vacanze Romane».

Da Audrey Hepburn all’emergenza mobilità…
«La mobilità è la più grande rivoluzione in corso, muoversi sta diventando complicato e le due ruote rappresentano una soluzione per le megalopoli».

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Lo dice perché le producete…
«Non solo. Pensi all’esplosione della consegna delle merci nelle città con le vendite on line. Stiamo pensando a microhub per il cosiddetto ultimo miglio per ridurre l’impatto. La nostra società di Boston, Piaggio Fast Forward, è molto impegnata alla ricerca di soluzioni robotizzate per la consegna delle merci. Ci sono 70 ragazzi e ragazze che avranno il compito di diffondere la cultura tech in tutto il mondo dove siamo presenti, dall’ingranaggio al software. La meccanica da sola non esiste più, va insieme alla robotica. Gli algoritmi predittivi possono essere molto utili per non creare ingorghi e regolare i flussi. Il Porter elettrico che sarà pronto in aprile va in questa direzione».

Svolta elettrica dunque?
«È sbagliata l’idea della mono-tecnologia. È una soluzione, non la soluzione. Abbiamo un’offerta di elettrico, sia per gli scooter sia per i veicoli commerciali, siamo stati tra i soci fondatori e promotori di un consorzio europeo per un unico formato intercambiabile di batterie, un sistema che di fatto azzererà il tempo di ricarica. In India funziona già così, ma in Europa occorre in primis sviluppare un unico formato di batterie e quindi avere delle infrastrutture adeguate».

L’Europa sembra un po’ distratta verso l’industria.
«L’Europa negli ultimi decenni ha trascurato la politica industriale e ormai è poco competitiva. Ma ritengo sia comunque un momento transitorio. L’aumento del Pil e salariale dei paesi asiatici porterà inesorabilmente nei prossimi 20 anni a un incremento anche dei loro costi di produzione, riducendo enormemente il gap. Io viaggio molto, dal Vietnam all’India, mondi che stanno correndo. In fondo, a guardare i numeri, l’Europa è anche un mercato piccolo. Stiamo già cominciando a pensare, ad esempio, all’Africa, ci sono Paesi che danno segnali di crescita interessante anche per noi. Sarà il prossimo tema. Questo mentre gli scenari di inflazione, tassi, prezzi e geopolitica sono in grande fermento. Noi? Ci rimbocchiamo le maniche. Nel gruppo c’è un forte senso di appartenenza di cui sono orgoglioso, sono tutti appassionati. Questo è il nostro modo di fare industria in giro per il mondo, con le radici ben piantate in Italia».

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