Comunità energetiche: c’è il modello emiliano-romagnolo fatto di cooperazione, mutualismo, attenzione al sociale e al protagonismo non solo delle imprese ma anche di cittadini, enti locali, terzo settore. Un processo partecipato dove sono soci delle 125 comunità che si stanno costituendo anche diocesi e parrocchie. Tutti uniti per la transizione energetica. Una realtà emersa durante un webinar di Anci e Regione Emilia-Romagna.
Sul nastro di partenza sono pronte 125 comunità energetiche
L’Emilia-Romagna si conferma ancora una volta un laboratorio di innovazione sociale ed economica, puntando sulle comunità energetiche rinnovabili come strumento per promuovere l’autoproduzione, l’autoconsumo e la condivisione dell’energia pulita. Un impegno concreto che ha portato la Regione a finanziare i primi passi di ben 125 comunità energetiche.
Obiettivo non semplice visto che le norme sono complicate – senza dimenticare i problemi creati dagli eventi alluvionali – e per questo sono stati prorogati i tempi per completare l’istruttoria e ottenere i contributi per l’avvio e la produzione di energia pulita.
Tuttavia, l’iniziativa trova terreno fertile nelle caratteristiche peculiari del modello emiliano-romagnolo.
Le comunità energetiche emiliane rappresentano un mosaico di partecipazione: protagonisti sono il mondo cooperativo, gli enti locali, le associazioni del terzo settore, e anche la chiesa, con il coinvolgimento attivo di diocesi e parrocchie come soci.
Il panorama non si limita alla componente organizzata: emergono pure progetti innovativi avviati spontaneamente da cittadini insieme a imprenditori, a dimostrazione di un pluralismo dinamico e della capacità del territorio di mobilitare energie diverse verso un obiettivo comune.
Questa realtà è stata al centro di un recente webinar – dal titolo Parlano le Comunità Energetiche: regolamenti e finalità a confronto – organizzato da Anci e Regione Emilia-Romagna, che ha offerto una panoramica sui progetti in corso. Tra gli esempi più significativi, spiccano iniziative che combinano impianti fotovoltaici, reti di scambio locale e servizi condivisi, con l’obiettivo di ridurre i costi energetici e rendere le comunità più resilienti.
Le comunità energetiche per far cambiare le modalità di consumo energetico
«Le comunità energetiche sono una leva per il cambiamento culturale, il tema energia è analogo alle modalità di come fare la spesa, entra nelle nostre abitudini responsabilizzando i consumi» dice G. Claudia R. Romano, dirigente energia ed economia verde della Regione, che insieme ad Alessandro Rossi, direttore politiche energetiche e ambientali Anci Emilia-Romagna, ha moderato l’evento.
Ma quale forma può assumere una comunità energetica? Sono diverse. Marco Palma, WeVèz soc. coop. di Bologna, ha spiegato il modello cooperativo, non senza un ‘interessante spiegazione sull’importanza del regolamento alla base della comunità, e un consiglio: «Oltre i cittadini sarebbe opportuno coinvolgere i gruppi organizzati».
Servono professionisti per gestire i dispositivi, senza dimenticare la gran quantità di dati che si generano e che bisogna trattare e rendicontare. Insomma non è proprio un pranzo di gala gestire una Cer.
Professionisti, infatti, sono i protagonisti della Cer Castello Green House di Ferrara. Un progetto innovativo, illustrato da Massimo Buriani, che coinvolge 730 alloggi in 24 edifici condominiali, nato con 50 soci fondatori. «Dopo l’approvazione dello statuto, si attende la validazione del Gse per avviare il regolamento. Il modello mutualistico prevede incentivi e contributi proporzionati: da 50 euro per i consumatori a 1.000 per i produttori principali. L’obiettivo è estendere la base ai 700 soci della cooperativa e oltre».
A Nonantola insieme Comune e parrocchia: impianti su teatro, cimitero e oratorio. A San Lazzaro all’ Arci
In Emilia non sono più i tempi di Peppone e don Camillo. Si vede bene a Nonantola, comune del modenese, dove la sindaca Tiziana Baccolini ha stretto l’alleanza con la parrocchia per far nascere la Cer Energia bene comune: «Non è stata semplice la nascita della comunità energetica, oggi è costituita e si è fatto uno studio di fattibilità su teatro, cimitero, scuola, oratorio con potenza da installare pari a 414 kW. Il consumatore sarà l’edificio del Comune che essendo monumento storico non può avere un impianto installato».
Qui riemerge il conflitto contemporaneo tra tutela dei beni culturali e della salute dei cittadini.
Interessante il dato sociale: «Il nostro obiettivo è anche mitigare la povertà energetica. Il 70% degli incentivi saranno investiti in finalità sociali, la nostra forma è un’associazione non riconosciuta».
In Emilia non può mancare l’Arci. Siamo a San Lazzaro di Savena, a un passo da Bologna, dove tra i soci oltre il Comune c’è l’Arci, in prima fila tre centri sociali ma anche due enti di formazione e nella prima riunione hanno aderito trenta cittadini.
L’assessore Luca Melega con Lorenzo Feltrin di Associazione Comunità Energetica spiegano: «L’amministrazione ha stanziato 1,8 milioni per installare il fotovoltaico sui tetti e poi si è pensato alle comunità energetiche. Anche noi abbiamo pensato a una redistribuzione sociale degli incentivi». Insomma gli impianti comunali all’interno del percorso comunitario.
In Valsamoggia iniziativa dei cittadini, in Romagna Confcooperative e Legacoop, a Parma Fondazione del Comune
Luigi Castagna di Cer Valsamoggia è un cittadino e la Cer è «costituita da un gruppo di cittadini, non ci sono istituzioni anche se abbiamo rapporti con tre Comuni. Lavoriamo con le aziende per collocare i pannelli nei tetti della zona industriale. Siamo 61 soci che hanno versato la quota sociale e di questi 19 ci sono piccole medie aziende».
Ma anche qui emerge un carattere comunitario: «Aderiscono la farmacia, la panetteria, la tabaccheria, il macellaio. Non è stato facile reperire i siti dove mettere a disposizione per 25 anni a basso prezzo i tetti. Sono stati individuati 5 siti per 700mila kWh di produzione».
Chiesa protagonista anche in Romagna come ha spiegato Andrea Pazzi, direttore generale a Confcooperative Romagna, rappresentante di Ecologia integrale. «Tre Cer sono nate in ambito diocesano, si è partiti nell’autunno 2022. Due anni di lavoro fino alla costituzione a maggio 2024. Parliamo di 800 kW di impianti con investimento da 1 milione di euro. Quota minima 50 euro per i cittadini».
Dove? «Da Faenza a Imola Impianti sui tetti di vari soggetti e in alcuni terreni marginali non coltivati di proprietà degli enti ecclesiastici».
Interessante il ruolo delle grandi imprese che «non possono far parte della Cer ma sostenerla anche solo per inserire il progetto nel bilancio di sostenibilità».
Restiamo sul campo cooperativo con Legacoop e la Cer Cooperativa Ravenna illustrata da Emiliano Galanti. «Il modello cooperativo è quello più adatto per dare il nostro contributo alla riduzione delle emissioni e poi quando abbiamo iniziato c’era il tema del caro energia. Il 90% degli associati vedono la presenza di cooperative associate». Un format che permette di avere a disposizione 5 MW dagli impianti dei soci.
Infine Parma con il Comune che ha scelto il modello Fondazione spiegato da Enzo Bortolotti. «Il Comune di Parma per dare seguito al contratto climatico ha pensato alla Cer. Partecipano Comune, Università, Asl, Cnr ma la base si può allargare. La Fondazione come strumento per diffondere e promuovere la transizione energetica anche facendo informazione e formazione. I proventi saranno indirizzati a ricerca e innovazione, poi divulgazione e anche condivisione di energia per i cittadini senza impianti». Si tiene un po’ tutto ma emerge la necessità di investire in ricerca grazie ai proventi dell’energia pulita.
Abbiamo presentato una carrellata di storie di Comunità energetiche tutte diverse ma legate da principi, criteri e filosofie comuni allo storico modello emiliano romagnolo.
In Sardegna sono stati stanziati ben 700 milioni per la costituzione e l’avvio di comunità energetiche. Intento lodevole e risorse economiche notevoli, ma attenzione non bastano le risorse finanziarie. La gestione delle Cer, come hanno sottolineato i protagonisti emiliano romagnoli, non è semplice, hanno impiegato due anni per la costituzione, e serve tante competenze.
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