Dal dissesto idrogeologico alla città spugna: il caso Livorno

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Nonostante i tanti e indomiti negazionisti, il cambiamento climatico è una realtà. E i suoi effetti sui fenomeni naturali della Terra si presentano con sempre maggiore frequenza e intensità. L’acqua è la risorsa maggiormente influenzata dal cambiamento climatico. Le precipitazioni, sia piovose che nevose, cambiano modalità di accadimento e provocano l’aumento di fenomeni estremi legati sia all’eccesso di acqua che alla mancanza di acqua. Per cui aumentano le alluvioni e le siccità in maniera differenziata nei diversi territori del Paese.

Una forte attenzione è stata rivolta nell’ultimo decennio alla mitigazione del cambiamento climatico, puntando a decelerare e poi quasi azzerare le emissioni nette di gas climalteranti (in primo luogo la CO2). La Cop di Parigi nel 2015 ha impegnato gli Stati a mantenere l’aumento della temperatura media globale non oltre 1,5°C controllando il livello delle emissioni. Ma nel decennio susseguente l’obiettivo di contenimento delle emissioni non ha registrato grandi successi.

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tabella 2 mauro grassi dissesto livorno

Nella tabella 2 è riportata la situazione dell’ultimo anno disponibile, il 2023. Solo in Europa, e in minima parte negli Usa, il volume netto di emissioni si è ridotto mentre in tutte le altre aree del mondo ha continuato ad aumentare. Un risultato non edificante se si pensa che l’obiettivo del 2030 era di ridurre del 45% il volume rispetto al valore del 2010.

A fronte di una evidente difficoltà a raggiungere gli obiettivi in tema di mitigazione, lo sforzo delle istituzioni locali non si può che rivolgere con maggior vigore anche al tema dell’adattamento. Cioè, a sviluppare la conoscenza dei fenomeni in atto e a implementare la prevenzione, la gestione dei rischi e delle emergenze. In poche parole, a rendere i territori più resilienti rispetto agli eventi naturali anomali che causano danni e calamità nei sistemi insediativi, e in particolare nei sistemi urbani.

La conoscenza del dissesto idrogeologico a Livorno

L’alluvione a Livorno del 2017 è stata particolarmente devastante. Una violenta perturbazione temporalesca, accompagnata da piogge eccezionali, ha colpito la città e le aree circostanti. Si sono registrati circa 250 mm di pioggia in poche ore che hanno causato l’esondazione di diversi corsi d’acqua, tra cui il Rio Maggiore e il Rio Ardenza. Ci sono stati 8 morti, tra cui un’intera famiglia rimasta intrappolata in una casa in viale Nazario Sauro. La quantità di acqua caduta in poche ore colloca il fenomeno ad un tempo di ritorno intorno ai 500 anni. Ma sempre più spesso dobbiamo ammettere che il riferimento ai tempi di ritorno storici non appare più valido a spiegare i “nuovi accadimenti” in termini di precipitazioni. 

Livorno non è un’area strutturalmente caratterizzata da elevati livelli di rischio in termini di dissesto idrogeologico. Se infatti compariamo i dati di rischio del Comune di Livorno con quelli del Comune di Pisa la situazione risulta particolarmente differenziata (Tabella 3).

tabella 3 mauro grassi dissesto livorno

La popolazione a rischio alluvione a Livorno è pari al 5,8% della popolazione totale (circa 9000 abitanti) mentre per il comune di Pisa la percentuale arriva al 47% (pari a oltre 40000 abitanti). Particolarmente differenziata è la quota a rischio in termini di beni culturali, che sta sotto al 5% nel caso di Livorno ed invece arriva al 65% nel caso di Pisa.

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Cionondimeno la situazione a Livorno mette in evidenza delle criticità strutturali che devono essere affrontate specialmente in una situazione di cambiamento climatico che aumenta i fenomeni di pioggia intensa e localizzata, nel tempo e nello spazio, in singole aree della città.

Il problema per la città è dato dalla presenza diffusa di piccoli fiumi e canali a carattere torrenziale che presentano bassi tempi di corrivazione (cioè, arrivano velocemente dal luogo di caduta della pioggia punto di raccolta) e quindi bassi tempi di previsione dei picchi di piena e che, per come è stata costruita la struttura della città, si inseriscono in maniera critica nel sistema urbanizzato di passaggio per arrivare al mare, a causa di tombamenti o di restringimenti dell’alveo naturale.

tabella 4 mauro grassi dissesto livorno

La risposta a questo tipo di criticità consta di due approcci. Il primo fa riferimento agli interventi di tipo strutturale. In questo caso si tratta di allentare la pressione delle precipitazioni sul fragile sistema fluviale di natura torrenziale attraverso la costruzione di casse di espansione a monte dell’area più urbanizzata della città. Quindi, complementare a questa azione, occorre favorire l’arrivo al mare dei volumi di acqua attraverso una rimodulazione dell’alveo dei fiumi e attraverso l’eliminazione di barriere infrastrutturali di attraversamento del fiume (vedi la struttura dei “Tre ponti” all’Ardenza, che diventerà un ponte con un’unica arcata). Per quanto riguarda invece lo Scolmatore, che arriva da Pontedera e che serve a far diminuire il volume di acqua dell’Arno verso la città di Pisa, la scelta è quella di aumentare l’altezza degli argini di contenimento con il materiale di risulta del cantiere di costruzione del sistema ospedaliero di Cisanello a Pisa.

Una particolare attenzione deve essere dedicata alla costruzione delle casse di espansione. Per quanto sia ampio o meno il volume di acqua accumulabile la cassa di espansione non è una “semplice buca” dove l’acqua entra ed esce quando capita. Ma è uno strumento che deve essere gestito da una qualche “strumentazione umana o artificiale” in grado di limare i picchi di piena in entrata e di svuotarsi per un nuovo eventuale riutilizzo nei momenti di quiete. Si tratta quindi di uno strumento complesso che deve essere studiato, costruito e quindi gestito “secondo regola”.

Il secondo approccio fa invece riferimento agli interventi di tipo non strutturale. Tante sono le opere, i comportamenti, le tecnologie e i sistemi, anche di autodifesa, che stanno dentro questo gruppo di interventi. Uno però ha una predominanza assoluta in particolare in un sistema dove la criticità è legata a fenomeni naturali che hanno tempi di accadimento molto ravvicinati nel rapporto fra precipitazioni e picchi di piena.

Si tratta del sistema di allertamento del tipo “now casting”, cioè di una tecnologia o metodologia utilizzata per prevedere eventi meteorologici a breve termine, nell’arco di poche ore, con aggiornamenti quasi in tempo reale. Su questo punto molti strumenti sono stati realizzati, testati e verificati dal sistema di Protezione Civile del nostro paese. Ma manca ancora qualcosa per poter dire di avere un sicuro e disponibile sistema di allertamento diffuso nei diversi territori. E poi manca certamente una informazione e formazione dei cittadini sui rischi del proprio territorio e sui modi e comportamenti utili per la gestione delle emergenze che non è compito delle sole istituzioni ma anche delle popolazioni coinvolte. Purtroppo, i Piani Comunali di Protezione civile sono spesso conosciuti soltanto da chi li ha scritti e poco oltre.

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Come affrontare gli eventi anomali delle precipitazioni nelle città

Ma le città non sono a rischio solo per le precipitazioni a monte che si riversano nella parte urbanizzata con picchi rilevanti di piena. Le città oggi, e sempre più spesso lo saranno, sono messe in crisi da potenti piogge localizzate che mettono in crisi la struttura urbana di drenaggio che è insufficiente e che per lo più viene a gravare sul sistema fognario incapace di gestire volumi troppo elevati. E i sistemi duali di drenaggio, distinti per acqua piovana e reflui urbani, sono pressoché inesistenti nel sistema urbano del Paese.

La risposta che da più di un decennio si comincia a dare a questo fenomeno nelle aree più avanzate del mondo è la costruzione di città spugna. Cioè, città che riescono ad assorbire acqua per farla poi infiltrare nel terreno o per farla drenare su percorsi e punti di raccolta alternativi al sistema fognario urbano.

La città spugna risponde ad una serie multipla di obiettivi. In particolare:

  • l’assorbimento dell’acqua piovana che evita la crisi del sistema fognario
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  • l’infiltrazione naturale o l’accumulazione artificiale dell’acqua per usi successivi
  • la costruzione di città più verdi e blu anche contro il surriscaldamento estivo
  • la bellezza e il recupero paesaggistico di aree troppo grigie, marginali o degradate

Ma come si potrebbe costruire o, meglio, cominciare a costruire, una città spugna a Livorno? Il sistema più adeguato è quello di fare una pianificazione di lungo periodo che mette assieme tre livelli di intervento e li integra in un unico Piano urbano sostenibile. I tre livelli sono rappresentati dal Piano urbano del Regime idraulico, dal Piano Paesaggistico Urbano e quindi dal Piano Urbanistico Urbano.

tabella 5 mauro grassi dissesto livorno

In tal modo l’acqua e il sistema idrico e idraulico risultano non un elemento critico ma piuttosto un elemento di supporto alla qualità della vita e alla sostenibilità della città.

Fatto il Piano di lungo periodo appare evidente che, per problemi di costo di realizzazione e di complessa capacità operativa tecnica e sociale dei singoli interventi in una “città costruita”, la sua realizzazione non può che essere attivata per piccoli passi, piccoli interventi e azioni su parti parziali della città.  Ma l’indirizzo deve essere univoco e non contraddittorio specialmente riguardo ad eventuali realizzazioni di nuove “parti di città”.

E, via via nel tempo, la città diventerà più sostenibile e anche più bella (Tabella 6). La città spugna è uno strumento innovativo che ha destato una forte attenzione in tante aree del mondo. In Italia ci sono soltanto limitate esperienze, e soltanto Milano ha messo in ponte un piano di un certo livello sia finanziario (50 milioni di euro) che tecnico operativo (90 progetti).

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