Una nuova stretta da parte del governo contro i furbetti dalla Naspi. Cioè contro quei dipendenti che – pur avendo deciso di chiudere il rapporto di lavoro – non presentano le dimissioni e spingono l’azienda a licenziarli per non perdere l’indennità di disoccupazione.
Costringendo tra l’Inps a pagare delle prestazioni indebite. La Naspi, come prevede la normativa in vigore dal jobs act in poi, non viene erogata in caso di dimissioni volontarie. Dopo una norma già presente nel disegno di lavoro approvato giovedì scorso, l’esecutivo ha inserito in legge di bilancio un’altra barriera per evitare gli escamotage che alimentano questo fenomeno.
Manovra, la stretta sulla Naspi: freno agli abusi
Sul fronte della Finanziaria questa mattina riprendono i lavori in commissione Bilancio, dopo lo stallo degli ultimi giorni. Il centrodestra deve accelerare per approvarla alla Camera a fine settimana – si vorrebbe andare in Aula domani – per poi arrivare al voto finale del Senato prima di Natale. I tempi sono strettissimi. Intanto le opposizioni – tranne Azione – hanno scritto al presidente di Montecitorio, Lorenzo Fontana, stigmatizzando l’atteggiamento del Mef e dei relatori di maggioranza, rei di non aver presentato le relazioni tecniche sugli emendamenti depositi. Soprattutto – accusano sempre le minoranze – non sarebbero chiare le coperture di misure costose come il taglio all’Ires premiale o l’allargamento della flat tax alle partite Iva, decise dopo il vertice dei leader dei partiti di governo. Da qui la richiesta di riscrivere e spacchettare le norme con le modifiche alla manovra. Richiesta respinta in serata dallo stesso Fontana, il quale ha spiegato che basteranno «le relazioni illustrative».
I CORRETTIVI
Tornando agli ultimi correttivi alla manovra, c’è la nuova stretta contro i furbetti della Naspi. Con un emendamento ad hoc si specifica che dal Primo gennaio 2025 i lavoratori che hanno dato dimissioni volontarie da un lavoro «a tempo indeterminato nei 12 mesi precedenti, avranno diritto alla Naspi in caso di licenziamento da un nuovo impiego solo se hanno almeno 13 settimane di contribuzione dal nuovo impiego, perso il quale si richiede l’indennità». Questa norma fa il paio con l’articolo 19 del ddl lavoro, secondo il quale un rapporto di lavoro «sarà considerato risolto per volontà del lavoratore, senza necessità di dimissioni telematiche, dopo 16 giorni di assenza ingiustificata».
Come detto, molti dipendenti “premono” sulla propria azienda per farsi licenziare e poi ottenere l’indennità di disoccupazione per due anni. In alcuni casi – lamentano le imprese – ci sono persone, che quasi in maniera sistematica si affidano a questa pratica per ottenere il sussidio e – incassato l’assegno – continuano a operare in nero oppure si trasferiscono all’estero per iniziare un altro lavoro. L’azienda deve anche versare all’Inps il cosiddetto contributo di disoccupazione, che può sfiorare i 2mila euro. Quando il datore si oppone a queste richieste, i dipendenti seguono una sola strada: si assentono in maniera ingiustificata, ben sapendo che dopo 16 giorni scatterà il licenziamento disciplinare, che permette l’accesso alla Naspi.
Il fenomeno è esteso, come dimostrano i tanti contenziosi. Con la norma inserita nel ddl lavoro, al 17mo giorno di assenza ingiustificata scatta «la fine del rapporto del lavoro per scelta volontaria del dipendente» e non dell’azienda. Quindi non c’è diritto al sussidio né il datore deve versare la penale. Con l’emendamento in manovra si colpiscono i furbetti “seriali” della Naspi: chi ha già presentato le dimissioni volontarie nei dodici mesi precedenti, rischia in caso di licenziamento di ottenere l’assegno soltanto se ha lavorato per quattro mesi.
IL MEZZOGIORNO
Sempre tra gli emendamenti alla manovra il governo inserisce una minidecontribuzione nelle regioni del Sud, dopo che la Ue aveva costretto l’Italia a rinunciare allo sgravio totale sui contributi garantito in tutta l’area Zes. Dal 2025 questo incentivo sarà pari al 25 per cento – con un tetto massimo di 145 euro – per i nuovi contratti a tempo indeterminato e non potrà essere applicato ai lavoratori del settore agricolo e quelli domestici. L’incentivo scenderà al 20 per cento dal 2026 per poi arrivare fino 15 per cento nel 2029. La misura, soltanto per l’anno prossimo, vale 1,6 miliardi.
Sempre nella Zes Unica del Sud il governo ha deciso di aggiungere 600 milioni – portando le risorse totali a 2,2 miliardi – al fondo per il credito d’imposta per investimenti e l’acquisto di macchinari. La misura si è resa necessaria dopo l’ultimo monitoraggio della Cabina di regia di Palazzo Chigi che ha certificato un boom di richieste – oltre 6mila – da parte delle aziende.
Oggi, come detto, la maggioranza proverà a concludere la discussione sugli emendamenti, compresi quelli del governo. Domani si vuole dare il mandato ai relatori per portare il testo in Aula e non si esclude la fiducia per velocizzare il voto della Camera. Se sono stati raddoppiati le risorse al fondo auto (ora sono 400 milioni) ci sono alcuni nodi ancora da risolvere: per esempio potrebbe arrivare una nuova riformulazione sullo stop al turnover al 75 per cento negli enti locali, mentre si aspetta l’ultima versione della norma sulle aziende private che ottengono fondi pubblici. Il ministro Giancarlo Giorgetti voleva nominare revisori nei loro cda, i partiti di centrodestra lo hanno spinto a cambiare approccio. Le aziende in questione dovranno farsi certificare i bilanci dal Mef.
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