La notizia è incandescente. E scatena l’ira della destra.
Marco Travaglio, direttore de “Il Fatto Quotidiano”, dichiara apertamente la sua disobbedienza alla cosiddetta <legge bavaglio>; cioè quella legge di cui si è tanto parlato e che è giunta adesso al traguardo. Quella legge che lascia tutti sgomenti e sconcertati nel rilevare che la maggioranza non conosce ostacoli e prosegue nella realizzazione del proprio programma politico con determinazione senza tenere conto delle voci delle opposizioni interne ed esterne al Parlamento.
Già nel precedente articolo – pubblicato in questa stessa pagina ed al quale rinvio – ho sollevato l’attenzione sul rischio di distruzione della nostra Costituzione in difesa della quale l’ex procuratore generale di Palermo, senatore Roberto Scarpinato, sta combattendo una battaglia massacrante nell’intento di arginare i programmi che sta elaborando la Commissione antimafia sotto le direttive della sua presidente, Chiara Colosimo.
Ieri è arrivata una notizia che non avremmo voluto sentire. Non che non avessimo conoscenza del fatto che il governo avesse in discussione la cosiddetta <legge bavaglio>, ma tutti speravamo che il trascorrere del tempo e le difficoltà di scrivere una legge che tratta un argomento molto complesso – con forti richiami nella Costituzione – avrebbe indotto la maggioranza di governo a rinviare sine die l’argomento.
Ci siamo sbagliati. E la legge è stata approvata.
Travaglio non perde tempo. Ha ragione: non bisogna perdere tempo perché il governo si muove alla velocità della “Formulauno” e noi non possiamo rimanere indietro.
“Il fatto quotidiano” del 10 marzo 2024, titola in prima pagina:
“Bavaglio alla stampa, il fatto quotidiano violerà il divieto pubblicando tutto. Travaglio: ‘andremo alla corte UE e alla Consulta’. Il fatto quotidiano farà obiezione di coscienza contro il bavaglio sulle ordinanze cautelari: dunque continueremo a pubblicarne il contenuto anche virgolettato, malgrado il Governo lo abbia vietato.”
È una presa di posizione chiara e inequivocabile ma soprattutto coraggiosa. Aspetterò di vedere quanti giornalisti della maggioranza politica prenderanno posizioni analoghe.
Questa è dunque la notizia.
“Il fatto quotidiano” farà <obiezione di coscienza> e continuerà a pubblicare i contenuti delle ordinanze cautelari.
Questa legge nasce per volere del parlamentare Enrico Costa e viene presentata in un apposito emendamento che prende il suo nome. È una legge dispotica che di fatto recide l’informazione e lascia al Governo le mani libere decidendo cosa i cittadini devono sapere o non sapere. Roba da regimi assolutisti. Si verifica peraltro un notevole arretramento rispetto all’innovazione legiferata nel 2019 che consentiva ai magistrati di rilasciare ai giornalisti, per intero gli atti che riguardano le ordinanze di custodie cautelari e che contengono tutte le informazioni importanti sulle indagini giudiziarie.
Non v’è dubbio che questa legge costituisce un vero soffocamento del diritto all’informazione. I giornalisti non potranno più ricevere gli atti in questione e pertanto, di conseguenza, non potranno più informare i cittadini delle motivazioni per le quali i magistrati requirenti conducono le indagini.
I trasgressori saranno puniti con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da 51 euro a 250 euro. (pare però che siano previsti aumenti fino ad arrivare a multe da 25.000 a 55.000). È probabile comunque che queste sanzioni vengano inasprite secondo le pressanti richieste di parlamentari della maggioranza che ne chiedono l’aumento.
La ragione che ha indotto il legislatore a presentare l’emendamento sembra risiedere nell’applicazione del diritto della <presunzione d’innocenza>. E in effetti la questione appare concettualmente corretta anche se, a questo punto è stato necessario prolungare il divieto fino all’emissione della sentenza definitiva, dopo i tre gradi di giudizio – come sostiene Roberto Scarpinato – considerato che la presunzione d’innocenza vale fino al giudicato definitivo.
Certamente sfugge al deputato Enrico Costa che la presunzione d’innocenza non consiste nel non pubblicare la notizia bensì nel pubblicarla correttamente, in modo che il lettore possa avere la giusta informazione sulle responsabilità degli indagati. Cosa che gli permetterebbe di non creare errati pregiudizi. E poi c’è un’altra questione: gli avvocati devono avere le copie degli atti in fascicolo – comprese le ordinanze cautelari – per potere imbastire le difese per i propri clienti.
Insomma, la legge in argomento, che falsamente si nasconde dietro la scusante della privacy dell’indagato, invero sembra che abbia un’altra finalità occulta: quella di fare in modo che le informazioni non arrivino ai cittadini per potere conservare integro il serbatoio di consensi politici ed elettorali.
Non v’è dubbio che, al di la della grave amputazione del nostro sistema democratico, s’intravede chiaramente l’intenzione del legislatore di privare la stampa del diritto d’informazione, da sempre considerato un fastidio per i politici i quali nutrono costantemente la preoccupazione di dover subire il pregiudizio della pubblica opinione che deve essere tenuta all’oscuro degli inciuci della politica e della classe dirigente.
A questo punto, per concludere, non posso fare a meno di ricordare che ci aspetta un futuro di attesa; attesa dei nuovi provvedimenti legislativi che emanerà il governo Meloni. Ce ne saranno, e saranno tanti, tantissimi. E non potremo fare altro, ogni volta che succederà, che stupirci, indignarci, dire che questa volta “abbiamo toccato il fondo” e quindi non potrà succedere altro. E invece succede perché il programma della destra di governo è ampio e Giorgia Meloni ha messo le persone giuste al posto giusto. Persone fidate: familiari, parenti, affini, amici: un vero <cerchio magico>, utilizzato per proteggersi e per tenersi al largo di tutte le energie negative.
Speriamo comunque che, alle prossime elezioni e per le successive a seguire, gli elettori portino con sé una buona dose di quella indignazione di cui abbiamo detto.
Foto © Imagoeconomica
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