Pregiudizialità in caso di avviso alla società e ai soci

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Pregiudizialità ed eventuale sospensione del giudizio in caso di accertamento a carico della società a ristretta base societaria e a carico dei soci per distribuzione occulta di utili

La Corte di Cassazione, si è recentemente e più volte espressa in tema di pregiudizialità ed eventuale sospensione del giudizio in caso di accertamento a carico della società a ristretta base societaria e accertamento a carico dei soci per distribuzione occulta di utili.

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Nel caso che approfondiamo insieme oggi, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale ne aveva rigettato l’appello contro la sentenza di primo grado, la quale, previa riunione, aveva accolto i ricorsi del contribuente, nell’ambito di un contenzioso su tre avvisi di accertamento con i quali gli era stato contestato, nella sua qualità di socio al 50 per cento di una Srl a ristretta base societaria, un maggior reddito di partecipazione sulla base della presunzione di distribuzione di utili non dichiarati.

La CTR, in punto di diritto, aveva confermato l’annullamento degli avvisi in questione, essendo stati gli avvisi emessi a carico della società già annullati dalla CTP, con sentenza avverso la quale l’Ufficio aveva proposto appello, a sua volta però già respinto dalla CTR.

Pregiudizialità in caso di avviso a società e soci: i fatti

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate, per quanto di interesse, deduceva la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 del Dlgs. n. 546/92, per avere la CTR, con una motivazione apparente, confermato l’annullamento degli avvisi di accertamento emessi, in relazione al maggior reddito di partecipazione, ai fini delle imposte dirette, nei confronti del contribuente-socio, facendo riferimento ad una precedente decisione di annullamento dei presupposti avvisi societari, senza però riportare il contenuto di tale diversa sentenza, né tantomeno verificarne l’efficacia di giudicato.

Con un secondo motivo di impugnazione si denunciava poi la violazione degli artt. 2909 c.c., 124 disp. att. c.p.c. e 295 c.p.c., per avere la CTR annullato gli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente a titolo di maggiore reddito di partecipazione sul presupposto che gli avvisi di accertamento emessi a carico della società fossero stati annullati, sebbene in forza di una sentenza che – alla data di emissione di quella impugnata – non era ancora passata in giudicato, essendo stata impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione, il che avrebbe dovuto comportare, ad avviso della ricorrente, la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio in questione, in attesa di definizione di quello avente ad oggetto il rapporto pregiudicante.

Secondo la Suprema Corte la prima censura era infondata.

Evidenziano i giudici di legittimità che, nella specie, non si poteva ritenere che la sentenza impugnata fosse carente o incoerente sul piano della logica giuridica, contenendo una sufficiente esposizione, ancorché stringata e concisa, delle ragioni sottese al rigetto dell’appello dell’Ufficio.

Infondata era poi anche l’altra censura.

A tal proposito la Cassazione rileva che la questione prospettata involge il profilo del rapporto tra il giudizio instaurato dal contribuente-socio avverso gli avvisi di accertamento allo stesso notificati e quello, ancora pendente, avente ad oggetto gli avvisi di accertamenti emessi nei confronti della società.

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In termini generali, la Corte osserva – si veda, in particolare, l’Ordinanza n. 27164/2023, che qualora, come nel caso di specie, sia stato contestato al socio di una società a ristretta base partecipativa un maggior reddito derivante dalla sua partecipazione alla società, alla quale, a propria volta, sia stato contestato un maggior reddito di impresa, sussiste un rapporto di pregiudizialità logica tra i due avvisi, posto che l’accertamento nei confronti del socio ha la sua premessa nell’accertamento nei confronti della società, e posto che, in tema di accertamento del maggior reddito contestato al socio di una società a ristretta base sociale, sussiste una presunzione di distribuzione di utili extracontabili basata proprio sulla ristrettezza della base sociale e sulla sussistenza di un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci (cfr., Cass. sez. 5, n. 8150 del 2013).

Pertanto, la circostanza che l’accertamento degli utili extracontabili di una società a ristretta base sociale sia contenuto in un atto impositivo non definitivo, o in una sentenza non passata in giudicato, incide sulla individuazione dell’oggetto di tale distribuzione, sicché la causa relativa all’accertamento dei redditi non dichiarati della società viene a trovarsi, in effetti, in rapporto di pregiudizialità con le cause relative all’accertamento di maggiori redditi da partecipazione dei singoli soci (cfr., Cass., n. 16246 del 2018).

Pregiudizialità in caso di avviso a società e soci: il parere della Cassazione

Tanto premesso, la Cassazione aveva quindi in passato ritenuto che, dato che l’accertamento dei redditi non dichiarati dalla società si pone in rapporto di pregiudizialità con l’accertamento di maggior reddito nei confronti dei soci, quando il giudizio avente ad oggetto la pretesa nei confronti della società fosse pendente e non ancora definito, sussistevano allora i presupposti per la sospensione necessaria del giudizio avente ad oggetto la pretesa nei confronti del socio.

In particolare, si era affermato che, in caso di pendenza separata di procedimenti nei quali si controvertesse del maggior reddito nei confronti della società e del reddito di partecipazione contestato ai singoli soci, non ricorrendo l’ipotesi del litisconsorzio necessario, già affermato per le sole società di persone (cfr., Cass. Sez. U. 4 giugno 2008 n. 14815; Cass., n. 20507 del 29/8/2017), il giudizio nei confronti del socio, relativo alla esistenza degli utili extracontabili realizzati dalla società fosse pregiudicato dall’esito dell’accertamento effettuato nei confronti della società stessa (cfr., Cass. n. 2241 del 31/1/2011).

In tali casi, in sostanza, in virtù del disposto dell’art. 1 del Dlgs. n. 546/92, avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 295 cod. proc. civ., secondo cui “il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa” (cfr., Cass. n. 16246 del 2018 e Cass., n. 1574 del 26/01/2021).

Tale orientamento, però, rileva la sentenza in commento, deve considerarsi ormai superato alla luce della sentenza, a Sezioni Unite, n. 21763 del 29/07/2021, secondo la quale, in tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità necessaria, “salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione normativa specifica” che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c..

Nella detta pronuncia la Corte condivideva peraltro le conclusioni già in passato raggiunte dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 10027/2012, secondo la quale, nell’ipotesi di un nesso di pregiudizialità tecnica, il giudice della causa dipendente deve applicare l’art. 295 c.p.c. sino a che la causa pregiudicante pende in primo grado, disponendo in tal caso necessariamente la sospensione del processo, non potendo però la sospensione della causa pregiudicata durare per forza sino al passaggio in giudicato della sentenza resa sulla lite pregiudicante.

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Il fondamento di tale soluzione veniva del resto espressamente giustificato “per evitare l’enorme dilatazione della durata dei processi che la sospensione (forzatamente) necessaria comporterebbe (e, quindi, per assicurare, nella sua effettività, il principio della durata ragionevole del processo, nella specie di quello «pregiudicato»), esigenza alla quale contribuisce una razionale e mirata concezione dell’ambito e dei presupposti di operatività dell’art. 337, comma 2, c.p.c.”.

In linea con tale lettura, pertanto, il giudice della causa dipendente, riassunta dopo la pronuncia su quella pregiudiziale non ancora passata in giudicato, oltre a poter scegliere, su necessaria istanza della parte interessata, ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.p.c., se conformarsi ad essa o attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, poteva anche decidere in senso difforme, ove ritenesse che tale sentenza potesse – sulla base di una ragionevole valutazione prognostica – essere riformata o cassata.

E questo anche considerato che, per effetto, poi, dell’applicabilità del citato art. 336, comma 2, c.p.c. – avente ruolo di “norma di chiusura” – la sentenza (già eventualmente) passata in giudicato sulla causa pregiudicata sarebbe comunque stata colpita di riflesso in forza dell’effetto espansivo esterno conseguente alla riforma o alla cassazione della sentenza che aveva definito la causa pregiudiziale, ristabilendosi così o – ancorché ex post – l’armonia tra i giudicati.

In definitiva, le Sezioni Unite, con la pronuncia in commento, ritengono che vada confermata la scelta compiuta dalle stesse Sezioni con la precedente sentenza n. 10027 del 2012 di restringere l’ambito di operatività della sospensione necessaria, aggiungendo anche che, quale disposizione normativa specifica che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, non poteva trovare applicazione, nella specie, il comma 1-bis dell’art. 39 del d.lgs. n. 546/92 (secondo cui “La commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”), trattandosi di norma introdotta dall’art. 9 del D.lgs. del 24/09/2015 n. 156, con entrata in vigore dal 1° gennaio 2016.

A contrario, pertanto, vista la citata disposizione specifica ora applicabile, sembrerebbe dunque rendersi possibile, almeno per i processi instaurati dopo quella data, la soluzione della sospensione necessaria, ex art. 295 c.p.c., che si applica anche al processo tributario e ricorre qualora risultino pendenti dinanzi a giudici diversi procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro.

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