Puntata bonus sul nostro piccolo approfondimento sulla figura di Rudolf Steiner. Dopo il successo ottenuto con le prime due parti, ecco un extra riguardante tutti gli altri campi su cui ha operato il precursore tedesco di Wanna Marchi.
Buona lettura!
Immagina una figura che, con una mano, disegna cerchi nel cielo per connettersi al cosmo e, con l’altra, ti strappa un biglietto da centinaia di euro per insegnarti a sotterrare letame in un corno di vacca. Questo è Rudolf Steiner, o almeno l’eredità che il suo nome porta oggi. Ma oltre la viticoltura biodinamica, ormai un marchio di lusso, Steiner ha disseminato il suo pensiero in campi disparati: medicina, educazione, architettura. E il filo conduttore? Pseudoscienza e spiritualismo, spesso in palese contraddizione con il mondo che celebra il suo nome.
Steiner odiava il vino. Per lui, l’alcol era una minaccia alla spiritualità e alla connessione cosmica. Le sue conferenze sono piene di anatemi contro il bere: «Chi beve vino non arriverà mai alla visione di ciò che è impersonale nell’uomo» e ancora, «L’alcol oscura la memoria profonda nel corpo eterico, impedendo il lavoro spirituale dell’Io». Perfino i dolci farciti di liquore erano tabù. Un discepolo che beve? Non può essere un vero discepolo, sentenziava Steiner.
Eppure, la biodinamica è oggi sinonimo di vino. Vino che si vende con prezzi gonfiati grazie a un alone di misticismo che strizza l’occhio a consumatori eco-chic. La contraddizione è evidente: un prodotto che il fondatore considerava spiritualmente corrosivo è diventato il simbolo stesso del suo sistema. Questo non è solo paradossale, è una masterclass di marketing che avrebbe fatto impallidire Wanna Marchi.
E qui arriva il colpo di grazia al questa narrazione mitica. Uno studio recente dell’École de Changins in Svizzera rilanciato da Vitisphere ha messo alla prova, con rigore scientifico, le preparazioni biodinamiche più celebri — il 500 (letame fermentato in un corno di vacca sotterrato) e il 501 (silice di corno spruzzata sul vigneto). Per cinque anni consecutivi, i ricercatori hanno applicato queste pratiche su alcuni filari di Chasselas, mantenendo intatto il resto della gestione biologica del vigneto. Il risultato? Un nulla di fatto.
Nessuna differenza significativa rispetto ai filari coltivati con il metodo biologico: né nel rendimento, né nel peso degli acini, né nella concentrazione di zuccheri o acidi organici come il tartarico e il malico. Perfino parametri più sottili come l’attività fotosintetica delle foglie, l’idratazione della pianta e la struttura del suolo non hanno mostrato alcun beneficio. Niente di niente. In pratica, le preparazioni biodinamiche non hanno prodotto alcun effetto misurabile.
È vero, altri studi avevano suggerito miglioramenti nel “potenziale idrico” dei vigneti biodinamici — soprattutto in condizioni di stress — ma i risultati di Changins gettano un’ombra pesante su questi presunti benefici. A conti fatti, la biodinamica rappresenta una versione ancora più romantica — e costosa — dell’agricoltura biologica. Peccato che i costi di produzione siano dal 10 al 15% più alti senza offrire alcun reale valore aggiunto.
Ma non fermiamoci al vino. Steiner ha lasciato un’impronta altrettanto controversa nel campo della medicina. Prendi il vischio, per esempio. Secondo lui, questa pianta parassita era la cura ideale per il cancro, perché combatteva, in maniera simbolica, il “parassitismo” del tumore. Una teoria poetica, certo, ma completamente smentita dalla scienza. Eppure, ancora oggi, alcune cliniche antroposofiche promuovono trattamenti a base di vischio, alimentando false speranze e, spesso, svuotando portafogli.
Non è tutto. Per Steiner, le malattie erano squilibri spirituali, manifestazioni di disarmonie tra corpo fisico, anima e “corpo eterico”. Guarire significava ristabilire l’armonia attraverso un approccio che ignorava le scoperte mediche del suo tempo e si avventurava in territori di pura fantasia. Questa filosofia, per quanto affascinante per alcuni, è spesso dannosa: offre una falsa alternativa alla medicina basata su prove scientifiche e perpetua un sistema di credenze senza fondamento.
L’impatto di Steiner si estende anche all’educazione, con le scuole Waldorf che seguono i suoi principi. Qui l’enfasi non è tanto sull’apprendimento pratico, quanto sull’alimentare l’anima e la creatività dei bambini. Il risultato? Euritmia — una sorta di danza cosmica — come materia di studio, e il divieto di insegnare a leggere prima dei sette anni per non “disturbare il flusso spirituale naturale”.
Steiner applicò le sue idee anche all’architettura, dove il suo talento per il simbolismo cosmico e il disprezzo per le convenzioni trovò la sua massima espressione. Il suo capolavoro, il Goetheanum, è un tempio esoterico progettato per incarnare i principi dell’antroposofia. Caratterizzato da linee curve, forme irregolari e simbolismi cosmici, l’edificio riflette la convinzione di Steiner che le linee rette interrompano il “flusso energetico” universale. Ogni angolo e ogni curva dell’edificio dovevano rappresentare elementi spirituali o cosmici, dando vita a uno spazio che, più che funzionale, sembra concepito per impressionare e confondere.
Sia nell’educazione che nell’architettura, le teorie di Steiner riflettono una visione del mondo che privilegia il simbolismo e la spiritualità rispetto alla praticità e all’evidenza empirica. Sebbene le scuole Waldorf e il Goetheanum abbiano trovato seguaci e ammiratori, rappresentano un approccio che si basa su presupposti discutibili e che spesso si traduce in pratiche poco efficaci o addirittura controproducenti.
Steiner non era un visionario, ma un abile affabulatore, un piazzista dell’esoterismo. Ha creato un sistema che fa leva sui bisogni umani più profondi: il desiderio di connessione, spiritualità e appartenenza. Ma la realtà è che le sue idee, dalla medicina al vino, dall’educazione all’architettura, sono spesso e volentieri pericolosamente lontane dalla scienza e dalla logica.
E in tutto questo, chissà se dalle parti di Slow Wine, quelli buoni, sani, giusti — e, per assioma, migliori e più intelligenti degli altri — si prenderanno mai una pausa di riflessione. Magari, tra una fiera e l’altra, potrebbe venire il dubbio di aver coccolato per troppo tempo certe posizioni antiscientifiche o di aver intrecciato collaborazioni commerciali (e filosofiche) con Demeter, il marchio biodinamico per eccellenza.
Una pausa che servirebbe, se non altro, per abbandonare una visione “misticheggiante” del vino e tornare a concentrarsi su ciò che conta davvero: il lavoro vero, la qualità nel bicchiere, la ricerca e il rispetto del consumatore. Perché, al netto di corna di vacca e cerchi cosmici, la scienza continua a dimostrare che un buon vino non ha bisogno di rituali, ma di competenza, precisione e — sì — realismo. Ma forse, chissà, è proprio il misticismo a vendere meglio. E in questo, persino i più sani e giusti non sono poi così diversi dagli altri.
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