Parlare con onestà intellettuale di filantropia significa riconoscere che nel rapporto tra finanziatori e beneficiari ci sono degli squilibri di potere. Da anni gli enti filantropici si interrogano sul tema, aprendosi al confronto con altri attori pubblici e privati e mettendo in campo pratiche e approcci più democratici e meno autoreferenziali. L’ultimo segnale di questa accresciuta sensibilità si è avuto a Philanthropy Experience, appuntamento annuale che riunisce i protagonisti del settore filantropico italiano. L’edizione 2024, svoltasi a Salerno a metà novembre, è stata infatti dedicata al rapporto tra fiducia e filantropia.
Tra i temi analizzati c’è stato quello della filantropia trust-based, letteralmente “basata sulla fiducia”. Si tratta di una prospettiva che negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia, si è diffusa nell’ecosistema filantropico internazionale raggiungendo infine anche l’Italia. Questo approccio presuppone un cambiamento culturale che mette al primo posto valori come trasparenza, reciprocità, dialogo e empowerment degli attori coinvolti.
In questa prospettiva fondazioni ed enti non profit sono partner paritari che collaborano per raggiungere una mission condivisa, mettendo in comune le competenze e le risorse di cui dispongono. Gli enti filantropici non solo erogano sovvenzioni, ma offrono supporto non finanziario per aiutare il Terzo Settore a fare rete, rafforzare le proprie capacità organizzative, investire sulle risorse umane e sulla loro formazione, ma anche accedere a nuove opportunità di finanziamento esterne. Al tempo stesso, gli enti non profit sono riconosciuti come esperti autorevoli e competenti nel loro campo di intervento e, in quanto tali, partecipano alla definizione degli obiettivi da perseguire, delle strategie per raggiungerli e dei criteri per valutarne la realizzazione.
La filantropia basata sulla fiducia non si ispira solo all’idea di rendere il Terzo Settore più democratico, ma risponde anche a problemi molto concreti: l’erogazione di fondi attraverso bandi, secondo molti, genera concorrenza tra le organizzazioni non profit spingendole a competere anziché a collaborare tra loro. Ridotte a “progettifici” per poter sopravvivere, le organizzazioni sono spesso costrette a sottostimare i propri costi strutturali per allinearsi ai requisiti imposti dai finanziatori. Aderendo all’aspettativa che gli enti del Terzo Settore debbano “costare poco” di fatto confermano implicitamente questa logica. Così si genera un circolo vizioso, noto come “ciclo della fame” (starvation cycle), che costringe gli enti non profit a non investire sulle proprie strutture, risorse umane e capacità organizzative.
Ma cosa significa mettere la fiducia al centro delle relazioni filantropiche, in concreto? Le azioni che possono essere intraprese per modificare la struttura, lo stile di leadership e le pratiche sono numerose, come testimonia il recente rapporto “Filantropia basata sulla fiducia: promuovere l’innovazione e il cambiamento sociale investendo sulle relazioni” curato da Percorsi di secondo welfare.
Per esempio le fondazioni possono sostenere il mondo non profit attraverso finanziamenti di lungo periodo, non vincolati a specifiche attività progettuali ma destinati a supportare la mission stessa degli enti. Il sostegno delle fondazioni, inoltre, può essere anche di tipo non economico: i vantaggi di ricevere assistenza tecnica, possibilità di fare networking e maggior visibilità sono spesso sottovalutati. Le organizzazioni filantropiche possono poi alleggerire il lavoro amministrativo richiesto agli enti nelle fasi di proposta, rendicontazione e valutazione, senza per questo rinunciare a momenti di verifica e conoscenza diretta degli interventi supportati. E ancora, possono raccogliere i feedback delle organizzazioni che sostengono, per modificare di conseguenza il proprio approccio e costruire relazioni genuine di scambio, trasparenza e reciprocità.
Tali cambiamenti implicano un rinnovato atteggiamento di umiltà, coraggio e disponibilità a mettersi in discussione da parte degli enti filantropici, con l’obiettivo di affrontare con più efficacia le sfide complesse che attraversano il presente. Molti protagonisti della filantropia italiana hanno accolto l’invito e stanno promuovendo questa trasformazione. Insieme agli altri processi di innovazione in atto, la filantropia trust-based riuscirà ad aiutare il Terzo Settore a fare davvero la differenza?
Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 17 dicembre 2024 nella sezione “Il dibattito delle idee” di Buone Notizie. |
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