Pendolaria, il ponte sullo Stretto si sta mangiando tutte le risorse per la cura del ferro

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Mentre continuano a crescere le risorse destinate al ponte sullo Stretto di Messina – appena salite a 13 miliardi di euro in legge di Bilancio grazie a uno stanziamento da 1,4 mld –, attorno al sogno del ministro dei Trasporti Matteo Salvini resta il deserto: nella stessa legge il Fondo nazionale trasporti viene incrementato di soli 120 mln di euro, ma tenendo conto dell’inflazione si parla di una perdita del 36% delle risorse negli ultimi 15 anni.

In compenso, di anno in anno il fantomatico ponte drena miliardi di euro. Lo scorso anno, 1.6 miliardi sono stati dirottati dalla quota dei Fondi per lo sviluppo e la coesione (Fsc) destinati direttamente alle regioni Calabria e Sicilia, mentre ora sono state alleggerite ulteriormente (da 9,3 a 6,9 miliardi) le spese a carico dello Stato, aumentando da 2,3 a 7,7 miliardi il contributo Fsc.

«L’aspetto drammatico è che oltre l’87% degli stanziamenti infrastrutturali fino al 2038 riguarderanno il Ponte sullo Stretto, lasciando irrisolti problemi cronici come le linee chiuse o i servizi sospesi da oltre un decennio», come emerge dal nuovo rapporto Pendolaria, appena pubblicato da Legambiente. A questo si aggiungono criticità nelle infrastrutture di trasporto urbano, tra opere mal concepite, come l’ovovia di Trieste e lo Skymetro di Genova, e interventi fondamentali fermi da anni, come la riqualificazione della Roma-Giardinetti e la tranvia Termini-Vaticano-Aurelio.

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Per questo l’associazione ambientalista lancia un monito al ministro Salvini: «Le risorse economiche necessarie per una efficace cura del ferro, ossia almeno 3 miliardi di euro aggiuntivi al Fondo nazionale trasporti, 500 milioni di euro l’anno per l’acquisto di treni regionali, 5 miliardi di euro per la costruzione e riqualificazione di linee metropolitane, tranvie e ferrovie suburbane, oltre a 200 milioni di euro all’anno per migliorare i servizi Intercity, sono recuperabili eliminando una parte dei sussidi alle fonti fossili e abbandonando progetti inutili come il ponte sullo Stretto di Messina e quelli dannosi per l’ambiente e l’economia, come nuove superstrade e autostrade in aree già dotate di queste infrastrutture».

Ritardi cronici, stazioni chiuse da anni e treni poco frequenti sono la sfida quotidiana dei pendolari che utilizzano le linee peggiori d’Italia. Tra le conferme le linee ex Circumvesuviane, la Roma Nord-Viterbo, la Milano-Mortara-Alessandria, la Catania-Caltagirone-Gela, la Roma-Lido, la rete di Ferrovie del Sud Est, il Sistema ferroviario metropolitano di Torino, la Avellino-Benevento, la Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza, la rete di Ferrovie della Calabria, la Firenze-Pisa, la Vicenza-Schio, senza dimenticare i tagli avvenuti negli ultimi anni dei collegamenti interregionali come quelli tra Torino-Bologna, Milano-Venezia e Milano-Ventimiglia.

L’accento è sul Sud, il grande dimenticato se non per il ponte sullo Stretto, dove la situazione del trasporto su ferro resta critica: l’età media dei treni, pari a 17,5 anni, è ancora superiore a quella del Nord, dove si è scesi a 9 anni. Inoltre, la rete ferroviaria del Mezzogiorno è ancora in gran parte non elettrificata e sono diverse le linee dismesse come la Palermo-Trapani via Milo, chiusa dal 2013, o la Caltagirone-Gela, chiusa dal 2011 o quelle delle linee che da Gioia Tauro portano a Palmi e a Cinquefrondi in Calabria, il cui servizio è sospeso da 13 anni.

«Il 2024 è stato un anno difficile per la mobilità sostenibile e su ferro, tra guasti, ritardi, eventi meteo estremi che hanno avuto diversi impatti e la continua corsa all’annuncio di grandi e inutili opere, come il Ponte sullo Stretto, che hanno distolto l’attenzione dai veri problemi di chi viaggia in treno ogni giorno. Serve una vera cura del ferro, con investimenti mirati per potenziare il trasporto pubblico su rotaia», commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente.

Il richiamo agli eventi meteo estremi non è casuale: sono 203 quelli che in Italia negli ultimi 14 anni – tra il 2010 e il 2024 – hanno causato interruzioni e ritardi a treni, metro e tram, e senza interventi correttivi andrà sempre peggio. Secondo il rapporto del Mit “Cambiamenti climatici, infrastrutture e mobilità”, i danni su infrastrutture e mobilità provocati dalla crisi climatica aumenteranno entro il 2050 fino a circa 5 miliardi di euro l’anno.

In questo contesto sono tre le proposte che Legambiente indirizza al Ministro Salvini chiedendo: 1) un deciso incremento degli investimenti nel settore dei trasporti pubblici accompagnato da un rafforzamento del ruolo di coordinamento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 2) promuovere una mobilità urbana più sostenibile e sicura con piste ciclabili, l’estensione delle zone a traffico limitato e di moderazione del traffico (“zone 30” o “zone 20”), il potenziamento della mobilità condivisa e lo sviluppo di sistemi di trasporto pubblico locale efficienti, come tram, metro e autobus elettrici. 3) garantire un servizio di trasporto pubblico di alta qualità nelle aree urbane.

«Il rinnovo del parco treni e il miglioramento delle infrastrutture non sono sufficienti se il servizio non risponde alle reali esigenze dei cittadini – argomenta Roberto Scacchi, responsabile mobilità di Legambiente – È necessario raddoppiare tutte le tratte a binario unico, moltiplicare servizi su ferro e aumentare la frequenza delle corse dei treni in tutte le aree interne su ogni tratta ferroviaria, così come nelle aree urbane, soprattutto durante le ore di punta».

Investire bene si può, come mostrano le buone pratiche evidenziate dal report Pendolaria: ad esempio l’apertura della linea M4 a Milano, della linea 6 a Napoli e di un nuovo prolungamento della metro di Catania (a fronte però di una parziale dismissione della Circumetnea), un miglioramento dell’età media dei treni (che scende a 14,8 anni rispetto ai 15,8 dell’anno precedente).

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