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In un tempo di terza guerra mondiale a pezzi e di crisi della democrazia, il rilancio degli organismi di partecipazione risulterà una scelta ecclesialeprofetica?
Dopo la Prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia (15-17 novembre) – e in vista dell’elaborazione dello Strumento di lavoro per la Seconda Assemblea (31 marzo-3 aprile) – ho inviato alla segreteria della CEI, in qualità di partecipante delegato della diocesi di Roma, alcune riflessioni frutto del discernimento operato, in generale, sui Lineamenti e, nello specifico, sul tema del mio tavolo di lavoro (quello dedicato agli organismi di partecipazione). Ho già condiviso (qui) in forma più ordinata e sistematica le mie considerazioni sui Lineamenti. Ora vorrei passare a quelle relative agli organismi di partecipazione.
Come ho già messo in evidenza nel mio testo Imparare dal vento (pp. 5; 29; 80-83), la tragedia di una “terza guerra mondiale a pezzi” e la “crisi della democrazia” (in oriente e occidente) mi spingono a pensare che l’impegno dei cristiani e della Chiesa su questo tema sia, prima ancora che profetico, un dovere rientrante in quel servizio alla polis, non tanto da dichiarare retoricamente, ma soprattutto da praticare concretamente.
In tal senso, ho segnalato innanzitutto la necessità di evidenziare quale segno dei tempi, non solo il legame tra il rilancio degli organismi di partecipazione e la moderna mens democratica (come avvenuto in assemblea plenaria il 17 novembre), ma anche il legame tra tale rilancio e l’attuale (postmoderna?) crisi della partecipazione e delle mediazioni democratiche. In altri termini, la Chiesa – che non può essere un’istituzione solo democratica, ma neanche solo monarchica o oligarchica – dovrebbe rilanciare gli organismi di partecipazione, sia perché riceve e impara dal mondo (GS 44) il dono della democrazia, sia perché vuole ricordare al mondo (GS 45) l’importanza imprescindibile di uno stile istituzionale anche democratico.
Chi afferma che sono argomenti “vecchi” o desueti, non si rende conto che sta avvalorando il rischio sempre più concreto di un’involuzione illiberale di tutte le società, a partire da quelle occidentali (pensiamo alle recenti notizie provenienti da Corea del Sud e Romania). Più in generale, ha detto bene (qui) Dario Vitali: «chi deprezza tutto questo, in realtà deprezza la partecipazione, o perché non ci crede o perché la teme».
In secondo luogo, sono proprio questi organismi, in quanto organismi di discernimento e di mediazione dei conflitti, ad essere o a poter divenire vie concrete di ricerca della pace, dell’unità e della comunione, nelle e tra le differenze. Perciò ho proposto di aggiungere, all’interno delle citazioni dei Lineamenti che introducono la scheda 15 dei tavoli di lavoro, i seguenti passaggi:
1) “dal Cammino sinodale emerge la richiesta di immaginare e costruire luoghi ecclesiali di dialogo, laboratori nei quali queste divisioni possano trasformarsi in scambio arricchente per le diverse prospettive: «il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato» (EG 226), ma c’è un «modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (EG 227), «dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una (…) risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto» (EG 228)” (Lineamenti, n.17);
2) “si dovrebbe prestare più attenzione a quei luoghi della Chiesa e della società dove già avviene un principio di elaborazione delle possibili mediazioni oggi necessarie per inculturare il messaggio evangelico” (Lineamenti, n.18).
Dato che, però, in tutto il testo dei Lineamenti non sono presenti le proposte conseguenti (di costituire o rafforzare luoghi di dialogo intra-cattolici oltre gli organismi di partecipazione), ho suggerito di aggiungere al termine del n.25 (1) dei Lineamenti la frase seguente: “valorizzare o creare laboratori ecclesiali in cui confrontarsi, tra cattolici con visioni diverse, sulla possibile costruzione condivisa delle scelte d’ambito”. Mi sembra un’urgenza improrogabile di fronte alle notevoli differenze presenti dentro la complessità della Chiesa attuale (la Chiesa poliedrica di cui parla Francesco in EG 236).
Infine, proprio alla luce di tale rinnovata comprensione della complessità ecclesiale, ho proposto di evidenziare al n.64 (6) dei Lineamenti la possibilità che, tra i membri di diritto degli organismi di partecipazione, vi siano anche quelli che “rappresentano” la Chiesa cosiddetta ad extra, la Chiesa gia in uscita (e magari già fornita di mandato ecclesiale – come, ad es., gli insegnanti di religione).
Credo, infatti, che non si debba lasciare alla buona volontà dell’autorità ecclesiale di turno la presenza negli organismi di partecipazione dei membri già in uscita verso quegli ambiti/ambienti non immediatamente ecclesiali: quelli dove non è consentito alla Chiesa, per il principio di laicità (pur correttamente interpretato), lo svolgimento di attività istituzionale di evangelizzazione diretta.
Ci riferiamo, quindi, ai cosiddetti ambienti/ambiti sui «margini», sulla «soglia» (Lineamenti, n.52), nei quali la Chiesa può ricercare e riconoscere tracce/orme/germogli del Vangelo e del Regno di Dio. Qui, tra l’altro, si trovano spesso le persone che per i più diversi motivi e responsabilità sono “arrabbiate” con la Chiesa o “deluse” da essa: persone che, però, sotto una “scorza” a volte non sempre positiva o propositiva, aspettano (più o meno consapevolmente) una parola nuova o un gesto nuovo da parte della Chiesa.
Anche per questo (vedi qui), nello Statuto dei Consigli pastorali parrocchiali della diocesi di Roma troviamo il riferimento alle «figure operanti negli ambiti della povertà e delle migrazioni, della scuola e dell’università, della cultura, dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, della salute (a partire dagli anziani e dalle persone diversamente abili), del carcere, del lavoro, dell’ambiente, dello sport» (art. 10). E speriamo che analogo riferimento ritroveremo nello Statuto del Consiglio pastorale diocesano.
In effetti, molte di queste persone con cui la Chiesa vuole ricominciare a dialogare si fidano spesso innanzitutto di quelli che chiamo i “mediatori”. Per cui, se negli organismi di partecipazione non si coinvolgono questi ultimi, l’auspicio espresso nei Lineamenti al n.52 (circa l’inserimento di «persone finora escluse») risulta sicuramente bello, ma rischia di restare “ingenuamente” bello, cioè senza riscontro pratico, senza chi lo metta in pratica o aiuti a metterlo in pratica. Di conseguenza, qui proporrei l’aggiunta di un riferimento a “coloro che sono in ascolto e dialogo costante con tali persone”.
Anche in tal caso spero vivamente che questi suggerimenti siano stati presi in considerazione nello Strumento di lavoro che verrà consegnato nei prossimi giorni alle Chiese che sono in Italia per prepararsi alla Seconda Assemblea Sinodale che si terrà, sempre a Roma, dal 31 marzo al 3 aprile 2025.
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