Così saranno le nuove pensioni

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Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, l’ok all’emendamento che consente di utilizzare la previdenza integrativa per pensionarsi a 64 anni con 25 anni di contributi viene visto come un passo avanti sulla via del superamento della Legge Fornero. È così?

«Un passo avanti molto importante, non esaustivo perché non è rivolto a una platea consistente, ma comunque si va in direzione di un sostegno a chi va in pensione. L’incidenza del sistema contributivo, in vigore dal ’96, è sempre più forte nei calcoli pensionistici e quindi sappiamo anche che avremo pensioni sempre più povere. Per la prima volta il pubblico e il privato vengono messi a sistema per dare sia la flessibilità in uscita sia un sostegno al reddito del lavoratore che va in pensione. Questa, secondo me, è la vera riforma che nasce oggi. Basata solo sul sistema contributivo, quindi per i lavoratori in attività dal 1996 in poi, ma può essere una soluzione importante per dare risposte in futuro».

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Quindi nel 2025 si tornerà sul capitolo previdenza?

«La nostra volontà come Lega è ampliare questo strumento fin dalla prossima Finanziaria per poter flessibilizzare l’uscita anche nel sistema misto (retributivo più contributivo, ndr). Con la vera riforma che abbiamo in testa possiamo dare risposte a 80mila lavoratori annui che possono accedere alla pensione. È una possibilità, non è una definizione del percorso lavorativo. Le persone possono accedere a questo strumento o possono continuare a lavorare. Ma se rafforzeremo il sistema del 64-25 estendendolo anche a chi è nel misto, avremo raggiunto un grande obiettivo».

Sarà questa, perciò, la nuova Quota 41 dal 2026?

«Se questo strumento verrà allargato a tutti quanti, sicuramente sarà adeguato alle esigenze sia dell’età pensionistica, cioè 64 anni, sia all’esigenza di flessibilità in uscita. Le quote sono nate, lo ricordo sempre, in virtù della minima flessibilità in uscita. Oggi il Paese ha un’età di uscita a 64,2 anni, una delle più alte in Europa: Francia è a 62 anni. Credo sia necessaria una formula più stabile e che ci si allontani un po’ dai 67 anni della pensione di vecchiaia che sarebbero davvero pesanti».

Perché pesanti?

«Nessuno ne parla, ma dietro quei numeri, quei 67 anni della Fornero c’è sempre un uomo, un lavoratore che a quell’età è sempre più a rischio. Abbiamo visto tante morti sul lavoro di persone che erano pensionabili».

Sono 67 anni fino al 2026, poi si sbloccherà l’adeguamento all’aspettativa di vita. Cosa farete?

«Credo che debba in qualche modo fermarsi anche questo meccanismo, perché 67 anni sono un’età davvero importante per pensare che un lavoratore possa in qualche modo, specialmente in alcuni ambiti – penso all’edilizia e ad altre occupazioni rischiose -, rimanere all’opera. Quindi, più mettiamo in campo strumenti di flessibilità in uscita più si possono dare risposte a un mercato del lavoro particolare. Poi, ho sentito dire tante corbellerie ultimamente sull’Inps e sui suoi conti a rischio. L’Inps ha un bilancio fortemente positivo per miliardi di euro».

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Non bisogna allarmarsi?

«Ha oggettivamente la più alta base di contribuenti mai avuta dal 1970 a oggi. Il tasso di occupazione è al 62,5% con 24 milioni e 90.000 persone che lavorano. Nel 2015 il tasso di disoccupazione era al 55%, quindi i dati lasciano margini per una riforma più sistematica con le esigenze del mercato. Perché tante figure professionali mancano e quindi non si possono sostituire alcuni profili. In questo modo si può fare matching tra domande e offerta. Questa è la vera riforma che vogliamo mettere in campo».

In manovra, comunque, si confermano misure storiche come Quota 103, Opzione donna e Ape social.

«Con un sistema contributivo così prevalente il sistema delle quote è meno incisivo. Rischieremmo davvero di erogare pensioni povere, quindi le quote, secondo me, potrebbero in qualche modo essere cambiate da un nuovo sistema pensionistico».

In che senso?

«Se si usa la previdenza integrativa, si recupera quello che si perde con il ricalcolo interamente contributivo degli assegni. Abbiamo mercati più stabili e pensionati più ricchi perché in questo modo non rischiamo di dover finanziare interventi di sostegno ai pensionati».

La direzione è tracciata, quindi?

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«Questa non è la manovra finale della Lega, ma è un grande passo. È stata una lotta tremenda con la Ragioneria, preoccupata dalla sostenibilità delle curve».

Siamo messi male sul 2040 dove è attesa la gobba pensionistica, dopo dovrebbe andare meglio…

«Andrà meglio perché avremo pensionati poveri e dovremo sicuramente intervenire con un sostegno al reddito. Perché quando quelle curve scendono significa che i pensionati sono nel sistema contributivo e hanno pensioni povere».



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