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gli immigrati non ce le pagano – Libero Quotidiano

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Ignazio Stagno

Il ritornello ormai va avanti da anni: «Servono più migranti per pagarci le pensioni del futuro». A cantare la “canzone” buonista sono più o meno tutti gli esponenti della sinistra ma anche qualche tecnico d’area, come l’ex presidente dell’Inps (oggi con una poltrona tra gli scranni di Bruxelles), Pasquale Tridico. «Senza i migranti tra 20 anni i conti Inps saranno critici. Cambiare le legge Fornero peggiorerebbe ancora il quadro pensioni», tuonava qualche tempo fa il grillino. Ebbene, ora a dare un quadro chiaro della situazione e a smontare il luogo comune più usato nella propaganda immigrazionista è un organo dell’Istituto di previdenza sociale, il Consiglio di indirizzo e vigilanza.

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Nel report «La natura delle entrate e delle uscite dell’Inps in rapporto alla dimensione previdenziale e assistenziale delle prestazioni» emergono alcuni punti critici del sistema previdenziale che ci attende nei prossimi decenni. Il focus centrale del report è legato alla sostenibilità del sistema. Lo stock delle pensioni erogate nel 2023 è rimasto di fatto invariato, ma milioni di assegni vengono erogati adesso con il calcolo contributivo e tutto ciò alleggerisce di non poco le casse dell’istituto di previdenza. Uno squilibrio delle prestazioni potrebbe arrivare dal flusso di erogazione degli assegni a regime retributivo che però non verrebbe compensato da un progressivo invecchiamento della popolazione con un calo della natalità e una riduzione della popolazione attiva in età lavorativa.

 

 

 

PROSPETTIVE
Ed è proprio sulle soluzioni e sulle prospettive per arrestare l’incipit di un possibile sbandamento dell’equilibrio dei conti del sistema previdenziale che arriva una «sentenza» importante proprio dal Consiglio di indirizzo e vigilanza Inps: i migranti non salveranno le nostre pensioni. Come si legge nel dossier nei prossimi anni è previsto un tasso netto di migrazione positivo per tutti i paesi dell’Unione Europea, ma la stima è che da qui al 2070 si attesti ad un valore medio annuo dello 0,3% della popolazione. Troppo poco per giustificare il racconto di una massa migratoria capace di finanziare le nostre pensioni per il futuro prossimo.

Del resto, solo qualche settimana fa, era stato anche il direttore generale dell’Inps, Valeria Vittimberga, a smontare il mantra della sinistra con parole fin troppo chiare: «Credo che sia una semplificazione errata pensare che l’aumento dei flussi migratori possa costituire una soluzione definitiva per sostenere il nostro sistema previdenziale. Questo tema deve essere affrontato con azioni pragmatiche, come quelle attuate dal governo, per migliorare la composizione dei flussi e favorire l’integrazione dei lavoratori stranieri, mentre si combattono il lavoro nero e lo sfruttamento. Un‘immigrazione non regolamentata potrebbe apparire vantaggiosa nel breve termine, ma comporterebbe un aumento della spesa pensionistica e assistenziale nel lungo periodo», aveva sottolineato.

Ma non finisce qui. Anche l’Osservatorio Inps ha portato alla luce alcuni dati che mostrano un lato della questione finora rimasto sotto traccia: quanto guadagnano i migranti in Italia e qual è il loro apporto nel versamento dei contributi? Il reddito pro-capite per un lavoratore straniero nel nostro Paese si aggira attorno ai 14.000 euro di media, contro, ad esempio, i 20.000 euro di un dipendente italiano e i 52.000 di un lavoratore autonomo. Cifre che testimoniano come sia nettamente più bassa la quota di contributi versati da un lavoratore immigrato nelle casse dell’Inps.

 

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RIPARTIZIONE
A questo aspetto va associato quello del sistema «a ripartizione». Di fatto in Italia ciò che si versa lo si ritrova corrisposto in futuro. Le proporzioni potrebbero ribaltarsi. Infatti con un incremento degli ingressi la quota da “restituire” ai lavoratori immigrati regolari aumenterebbe in modo esponenziale annullando qualunque effetto di ristoro nelle casse dell’istituto di previdenza. Ed è proprio per questi motivi che su futuro e sostenibilità delle pensioni in Italia non va fatta demagogia. Va tenuto sempre sotto un riflettore il tasso di fecondità.

Secondo l’Eurostat il tasso europeo aumenterà sensibilmente raggiungendo il valore di 1,62 figli per donna nel 2070. Un parametro che resta comunque ben al di sotto della soglia di sostituzione di 2,1. La via maestra resta quella di incrementare le nascite con politiche a sostegno della famiglia. Una necessità dirompente se si guarda ad esempio alle speranze di vita in crescita: si arriverà a 86,1 anni per gli uomini e a 90,4 per le donne. A queste stime vanno affiancati altri dati sul tasso di fecondità: in questo momento è di 1,46 figli per donna come media Ue. In Francia si tocca l’1,79. In Italia, sotto soglia, ci si ferma all’1,24. Un’ulteriore prova che è possibile blindare il futuro dell’Inps e delle nostre pensioni ma non aprendo le porte a tutti. Piuttosto tornando a far figli per far crescere la massa di popolazione attiva capace di finanziare per davvero le tasche di voi pensionati e di noi che, ci si augura, un giorno, lo saremo.

 

 

 

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