Il Manifesto delle nuove generazioni con background migratorio

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Dalla scuola al lavoro, dalla salute alla cooperazione, dallo sport alla cultura, dalla rappresentanza politica alla comunicazione, un documento programmatico ricco di dati, esperienze e soprattutto prospettive

Non “seconde generazioni” ma “nuove generazioni”. È sottolineando una non secondarietà che si apre il Manifesto delle nuove generazioni italiane. Uno sguardo di insieme, lavoro collettivo di 40 associazioni di giovani con background migratorio e no, che appartengono a Conngi, Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane, nato nel 2017.

Un documento programmatico ricco di dati, esperienze e soprattutto prospettive, diviso per importanti capitoli: dalla scuola al lavoro, dalla salute alla cooperazione, dallo sport alla cultura, dalla rappresentanza politica alla comunicazione.

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Parte dai numeri il Manifesto, non solo, come si è soliti fare, della popolazione residente di origine straniera in Italia, 5 milioni e 300mila (il 9% dei 58milioni e 990mila totali), ma da quella delle persone italiane di origine straniera, quelle nuove cittadinanze che ammontano a 1 milione e 912mila (il 3,2% della popolazione italiana) e che mostrano non solo una stanzialità ma una volontà di esser parte di un paese in cui si è scelto di vivere e costruire le proprie famiglie, il proprio futuro.

La scuola

Un quadro numerico complesso che poi il Manifesto delle nuove generazioni italiane provvede a snocciolare nei dettagli. A partire da un ambito, quello scolastico, di cui più spesso sentiamo parlare. È nella scuola che la presenza delle nuove generazioni si mostra in tutta la sua grandezza rappresentativa: l’11% della popolazione scolastica (sono 914.860 studenti e studentesse).

Una popolazione che vede diminuire di numero gli studenti italiani a fronte di un incremento delle nuove generazioni che italiane non sono, almeno non sui documenti, visto che per il 65,4% sono nate in Italia e sono portatrici di un background familiare proveniente da quasi 200 paesi nel mondo. Per il 44,42% europeo, il 26,1% africano, il 20.5% asiatico.

È proprio la scuola il luogo non solo della crescita culturale ma sociale di queste nuove generazioni, il Manifesto lo sottolinea in più pagine. La scuola è luogo di apprendimento e legami, di competenze e affetti, in cui le cosiddette life skills, le competenze della vita, dovrebbero essere messe in circolo, condivise per crescere insieme nelle differenze e nelle eguaglianze.

Da qui la necessità che lo Stato investa sulle risorse che abitano le nostre scuole, rafforzando le/gli insegnanti che devono essere preparati a riconoscerle e valorizzarle, potenziando le azioni di sostegno dove sono presenti gap e potenzialità di insuccessi e abbandoni scolastici.

Per questo il Manifesto propone che in ogni scuola siano presenti figure per la mediazione culturale, sostegno psicologico e all’apprendimento alla lingua, soprattutto per quei minori che si trovano a entrare nelle classi ad anno iniziato.

Ricchezza poi arriva dal background che va valorizzato, coinvolgendo le famiglie in progetti di co-educazione, per un sistema di orientamento che riguardi le persone minori come quelle adulte. Progetti capaci di creare un ponte tra il dentro e il fuori le scuole, e tra il fuori e il dentro, restituendo alla scuola la centralità non solo educativa ma di comunità educante.

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Il lavoro

Il tema del lavoro per le nuove generazioni è cruciale, soprattutto nel riconoscere e valorizzare le competenze non formali o informali, che appartengono spesso a chi si affaccia al mondo occupazionale e da questo non viene pienamente riconosciuto o conosciuto. Per questo è importante la diffusione di una filosofia di gestione delle persone che si orienti alla creazione di ambiti di lavoro in cui via sia il potenziamento individuale come valore aggiunto.

Il Manifesto mette in evidenza il dato per cui sono proprie le nuove generazioni con background che hanno maggiore probabilità di lavorare in settori precari come il commercio e la cura, in condizioni di sfruttamento e di doppio lavoro per poter far fronte al lavoro precario e sottopagato.

Sarà per questo che, secondo i dati Istat, è proprio tra questa generazione che si registrano percentuali più alte, rispetto a quelle dei coetanei italiani, di desideri di progettare il proprio futuro all’estero. Significa che il paese in cui si sono cresciuti e formati poi non li sa trattenere, proponendo loro solo lavori in cui non si riconoscono. Una sorta di “condanna” che li costringe a essere “eternamente migranti”.

Un po’ come già accade ai loro genitori che si trovano a svolgere lavori in cui risultano spesso essere sovraistruiti. Per quella ghettizzazione che confina le persone di origine straniera a ricoprire sempre le stesse occupazioni, a prescindere dal proprio titolo di studio. Un esempio su tutti è quello delle donne dell’Est confinate ai lavori di cura domestica e/o familiare.

Lo sport, la musica

Il Manifesto si focalizza poi su due ambiti che potrebbero giocare la differenza per il loro essere strumento universale di realizzazione, riconoscimento, comunicazione: lo sport e la musica. Il primo come vettore di integrazione e socializzazione, non solo come invece accaduto di riconoscimento di cittadinanza per coloro che eccellono nelle attività, ma come strumento comunitario e formativo.

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Lo sport come veicolo per campagne capaci di diffondere esperienze positive che già esistono in diversi contesti, così come messaggi antidiscriminatori, quanto mai necessari. Il rapporto indica quali e quanti progetti sono già in campo in questo senso.

Il secondo, la musica, è indicato come mezzo universale, capace di creare ponti tra culture e generi musicali differenti; anche alla luce dei più nuovi, che tanto rispecchiano non solo la varietà, ma la necessità di espressione delle proprie identità attraverso questi.

Il Manifesto riporta le esperienze che mettono insieme artisti internazionali e di origine migrante, capaci di diventare ponte tra culture, basti vedere come «artisti di origine albanese cantino in italiano su sonorità nigeriane» o collaborazioni «con artisti dalle origini plurali, ma che rappresentano fedelmente la realtà italiana contemporanea». Meticciati musicali, che mostrano come ci siano viatici che sono alla portata delle nuove generazioni.

Cittadinanza, rappresentanza politica e associativa

Tornando al tema iniziale della cittadinanza, si sottolinea la necessità di una riforma non solo per il diritto di voto a esso connessa, strumento certo fondamentale per la partecipazione politica alle elezioni e alla propria rappresentanza, ma anche come riconoscimento di una presenza che appartiene alla nostra società (le scuole, lo scrivevamo, ne sono un esempio).

Una cittadinanza che spesso passa già attraverso il folto numero di realtà associative che fanno azioni sul territorio, in rete, collaborando con le amministrazioni per le quali sono supporto prezioso e importante. Associazioni che spesso creano possibilità concrete per le donne con background migratorio, per le persone che cui servono strumenti di mediazione o di garanzia di equità e superamento delle discriminazioni che si trovano a vivere.

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Un focus, quest’ultimo, importante soprattutto per le donne. Non solo sul lavoro, dove i divari salariali si allargano ulteriormente, ma anche sulla possibilità di emergere, grazie a luoghi di condivisione e di empowerment femminile che già vediamo trovare espressione nelle nuove generazioni che si affacciano alla politica, fanno parte delle amministrazioni.





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