La ‘questione calabrese’ e l’imbarazzante divario diacronico nel libro La Calabria del diritto di Ettore Bruno

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  18 dicembre 2024 19:17

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Si avvicinano le festività natalizie e con esse le manifestazioni – anche se le sagre e le feste di piazza, a dire il vero, sembrano porsi come costante peculiarità calabrese – accompagnate da sontuose luminarie pubbliche allestite nelle città e nei paesi, mentre molti Calabresi già attendono con trepidazione gli eventi legati al capodanno dei concerti e dei roboanti fuochi pirotecnici, essendosi in Calabria fatta strada ormai da qualche anno la corsa ad accaparrarsi per l’ultima notte dell’anno le performances canore di artisti di rilievo nazionale e internazionale tra quelli più in voga del momento. E se quella di quest’anno è la seconda stagione consecutiva in cui si terrà in Calabria il concerto di fine anno organizzato e allestito dalla Tv di Stato, sarebbe forse il caso di soffermarsi solo per un attimo su quello che nel libro di Bruno è definito un «un amaro raffronto».

Ma per farlo, è necessario partire proprio dai giorni nostri: «serve a rendere l’idea dell’attualità calabrese – osserva l’autore nelle pagine del volume – la constatazione che oggi, a un PIL e a indicatori di crescita tra i peggiori d’Europa si affiancano elevatissimi tassi di disoccupazione e spopolamento (due facce della stessa medaglia), che, al di là delle mai sopite retoriche e dei disarmanti luoghi comuni a venatura romantica […] non richiedono soltanto mere riflessioni il più delle volte destinate a manifestarsi attraverso slogans sterili e oramai stantii, ma impongono, viceversa, la messa in campo di rimedi urgenti e concreti».

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La condizione calabrese è ancor più preoccupante – prosegue Ettore Bruno nella sua analisi – se si considerano alcuni aspetti collaterali allo spopolamento (quello, per intenderci, che tradizionalmente richiama alla mente le famigerate valigie di cartone): gli elevatissimi indici di denatalità, per esempio, che, associati all’emigrazione e alle fughe di cervelli, appaiono destinati a determinare «non soltanto deserti commerciali e imprenditoriali […] ma pure una inesorabile involuzione lato sensu culturale». Da questi fattori fatalmente discende, poi, la sempre più sparuta presenza umana nelle piazze e lungo le vie, specialmente nei piccoli e piccolissimi paesi, che a sua volta determina insicurezza, giocoforza accompagnata da un significativo peggioramento della qualità della vita.

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Con riguardo alle retoriche e agli stereotipi calabresi, significativo è un passo contenuto nella Prefazione di Leonardo Spataro, filosofo e apprezzato intellettuale cosentino, il quale sottolinea che «quando i Calabresi scrivono di cose calabre, si scorge la tentazione più o meno velata di costruire una narrazione agiografica ed epica come se il centro del mondo avesse i confini naturali tra il Pollino e l’Aspromonte, proprio a voler controbilanciare il senso di periferia che attanaglia molti corregionali che per studio o lavoro lasciano la Calabria per nuove lande».

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E se per un verso risulta superfluo soffermarsi sui primati negativi della Calabria dei giorni nostri (basterà solo accostare Calabria a espressioni quali maglia nera o fanalino di coda in una qualsiasi ricerca digitale, per farsi un’idea della condizione attuale della regione), per altro verso bisognerebbe rapportare – continua Ettore Bruno – i dati che emergono dai rapporti e dalle statistiche di oggi alla «cultura che nutriva Sybaris, Thurioi, Lokroi Epizephyrioi nonché alla magnificenza di Rhegion, Kaulon, Kroton e le altre per comprendere come l’involuzione della Calabria rappresenti un unicum nella storia europea: da centro economico, commerciale, culturale e giuridico del mondo, alla Calabria degli ultimi».

E’ proprio da questa riflessione che occorrerebbe partire per diffondere e divulgare i maestosi primati della Calabria magno greca, da sempre trascurati e considerati quasi alla stregua di un capriccio della storia, mentre, nel frattempo, le carenze, i fanalini di coda e le maglie nere calabresi disseminati un po’ dappertutto «appaiono – conclude Bruno – come ombre che si celano tra i riflessi di quelle luci sfavillanti, mentre due millenni e mezzo sembrano essersi dissolti in un alito di vento, sepolti da slogans, apparenze, grandi illusioni e promesse mai mantenute».

   



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