Il rapporto Draghi offre una chiara tabella di marcia per una riforma coraggiosa che i policymaker dovrebbero seguire. L’inchiostro sul recente rapporto di Mario Draghi che auspica un percorso di stimolo alla crescita in tutta l’UE si è appena asciugato, ma già si moltiplicano le sfide per l’attuazione delle sue raccomandazioni.
Le raccomandazioni dell’ex primo ministro italiano e presidente della Banca Centrale Europea per stimolare l’economia dell’UE sono state accolte con un insolito livello di unanimità. Tutti riconoscono che l’Europa debba aumentare la propria competitività, incrementare gli investimenti e migliorare la produttività.
Tuttavia, le recenti vicissitudini politiche in Francia e Germania hanno sollevato preoccupazioni circa l’impulso alle riforme. A livello nazionale, ciò si è riflesso in un sell-off delle obbligazioni sovrane di questi paesi chiave.
Più in generale, c’è stata una certa opposizione a una delle raccomandazioni chiave di Draghi: una maggiore emissione di debito comune da parte dell’UE per conto dei suoi Stati membri. Questa raccomandazione mirava a dare impulso a progetti di investimento che avrebbero aumentato la competitività e la sicurezza del blocco, producendo al contempo un pool di obbligazioni UE più profondo e più liquido. Nonostante i primi segnali positivi – anche in Italia – derivanti dal precedente degli investimenti post pandemia finanziati dal debito dell’UE, persiste ancora una certa resistenza a tutto ciò. In particolare, l’ex ministro delle finanze tedesco Christian Lindner ha espresso una prima nota discordante sul rapporto Draghi, avvertendo che la messa in comune di “rischi e responsabilità crea problemi democratici e fiscali”.
Tali preoccupazioni hanno anche agito a lungo come freno allo sviluppo di un’unione dei mercati dei capitali nell’UE. Da quando è stata lanciata un’iniziativa nel 2015, sono stati compiuti pochi progressi significativi su questo fronte. In effetti, la recente resistenza politica a un aumento delle attività bancarie transfrontaliere di Germania e Italia suggerisce che tali barriere rimangono saldamente in vigore.
È però giunto il momento che l’UE si muova finalmente con maggiore convinzione per affrontare l’attuale sistema finanziario frammentato dell’Eurozona. Come illustra chiaramente il rapporto Draghi, ciò è necessario per sbloccare capitali altrimenti disponibili e per migliorare la capacità della regione di investire nel proprio futuro.
I fatti fanno riflettere: se l’area dell’euro continuerà a seguire l’attuale traiettoria di investimenti deboli, la sua capacità produttiva continuerà a erodersi, restando sempre più indietro rispetto agli Stati Uniti e alla Cina.
In base alle attuali previsioni del FMI, il divario tra il livello del PIL dell’UE e quello degli USA aumenterebbe fino a quasi il 40% già nel 2030 e si espanderebbe fino a quasi il 60% entro il 2050.
Le imprese non finanziarie dell’UE continuano a ottenere circa il 90% dei finanziamenti attraverso i prestiti bancari. La profondità dei mercati cartolarizzati, limitata dalle norme vigenti in Europa, limita la quantità di finanziamenti disponibili nei vari settori e nella regione. A titolo di esempio, negli Stati Uniti il credito bancario è responsabile di circa il 25% dei finanziamenti non bancari, mentre il resto proviene dai mercati dei capitali.
Nel 2008 il mercato europeo delle cartolarizzazioni era pari all’85% della sua controparte statunitense. Con la successiva divergenza dei mercati, il mercato europeo si è ridotto al 17% delle dimensioni di quello statunitense.
L’erosione della sovranità è stata a lungo considerata una preoccupazione che ha frenato l’integrazione dei mercati dei capitali. Ma ciò va considerato a fronte di uno status quo in cui le imprese degli Stati membri devono affrontare un accesso limitato ai capitali in patria – una situazione in cui le imprese dell’UE dipendono dai mercati dei capitali statunitensi per finanziare le espansioni e in cui molte delle start-up più innovative d’Europa si trasferiscono all’estero. Allo stesso modo, cosa ci dice sulla sovranità se le famiglie europee devono parcheggiare i propri risparmi per la pensione all’estero per avere qualche speranza di ottenere un rendimento ragionevole?
Un sistema finanziario meglio integrato offrirebbe un ambiente più competitivo e attraente per tutti gli investitori e, a sua volta, aumenterebbe l’autosufficienza del capitale disponibile nell’UE.
Alcuni sostengono che, se l’eurozona è più interconnessa dal punto di vista finanziario, un “incendio” in uno Stato membro può diffondersi rapidamente altrove, creando rischi di stabilità finanziaria in tutta la regione. Ma l’esperienza dell’area euro dovrebbe già sollevare qualche dubbio. La disconnessione del panorama finanziario durante la crisi del debito sovrano europeo non ha impedito di colpire in modo sincronizzato le banche di Irlanda, Spagna, Paesi Bassi e Italia, con la significativa contrazione del credito che ne è seguita.
Non è stato dimostrato che la stabilità finanziaria sia indebolita da una maggiore integrazione. Inoltre, i banchieri centrali e i policymaker, armati di nuovi strumenti, sembrano essere diventati efficaci nel gestire un’ampia gamma di condizioni di stress, tra cui la pandemia di Covid, lo shock energetico e il successivo forte aumento dei tassi di interesse.
È chiaro che l’approccio frammentario all’integrazione non abbia funzionato. Il Rapporto Draghi offre una chiara tabella di marcia, che comprende riforme in questo senso nel settore delle cartolarizzazioni. Il momento per una riforma coraggiosa è adesso.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link