Agricoltura umbra, tra microimprese e bassa redditività si allarga il gap col resto del paese

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Negli ultimi dieci anni, il settore agricolo umbro ha mostrato segnali di miglioramento in efficienza e produttività, ma non sufficienti a ridurre il divario rispetto alla media nazionale. Anzi, questo si è ampliato. Emerge dal report della Camera di commercio dell’Umbria che analizza l’evoluzione del settore tra il 2014 e il 2024, confrontandola con il contesto nazionale e focalizzandosi, inoltre, sui bilanci delle imprese agricole di capitali umbre, tra cui società per azioni, società a responsabilità limitata e cooperative. In Umbria – emerge da un comunicato dell’ente camerale -, il numero di aziende agricole è diminuito da 16.950 nel 2014 a 15.443 nel 2024, con una contrazione dell’8,9 per cento, inferiore al calo nazionale del 9,9 per cento. Tuttavia, le dimensioni medie aziendali sono aumentate solo marginalmente, passando da 1,3 a 1,4 addetti per impresa, contro una crescita nazionale da 1,4 a 1,6 addetti.

I numeri La regione continua a soffrire della presenza di troppe aziende ultramicro, spesso a conduzione familiare e con attività agricole marginali. Il numero totale di addetti nel settore è calato del 6,3 per cento, passando da 22.672 a 21.240, mentre a livello nazionale la riduzione è stata molto più contenuta (-0,5 per cento). In Umbria, gli addetti familiari sono diminuiti del 26,2 per cento, mentre quelli subordinati sono aumentati del 20,9 per cento, segnalando un lieve progresso verso una maggiore professionalizzazione del settore. Il 51 per cento delle aziende agricole umbre nel 2024 conta un solo addetto, rispetto al 42,3 per cento della media nazionale. Questo divario si riflette anche nelle classi superiori: solo il 12,4 per cento delle aziende umbre ha tra 2 e 5 addetti, contro il 16,8 per cento nazionale, e appena l’1,4 per cento delle imprese umbre rientra nella fascia 6-9 addetti, rispetto all’1,9 per cento italiano.

I bilanci Le imprese agricole giovanili rappresentano il 6,5 per cento del totale regionale, con dimensioni medie estremamente ridotte (0,97 addetti per impresa). Le imprese femminili, che costituiscono il 32,1 per cento del totale, si attestano su una media di 1,1 addetti per azienda, anche qui inferiore al dato regionale. I bilanci delle imprese agricole umbre di capitali rivelano una situazione preoccupante. Il valore aggiunto medio per impresa è cresciuto solo nominalmente (+4,2 per cento tra il 2019 e il 2023), ma in termini reali, al netto dell’inflazione del 10,7 per cento, si registra un calo del 6,5 per cento. Ancora più critico l’Ebitda medio, sceso del 12,2 per cento in termini nominali e del 22,9 per cento in termini reali. Anche il costo del lavoro, apparentemente cresciuto (+8,9 per cento), risulta in calo reale dell’1,8 per cento.

Il gap La redditività degli investimenti si attesta a «un misero» 0,8 per cento, mentre il ritorno per l’imprenditore è dell’1,1 per cento, in lieve miglioramento rispetto al 2019 ma comunque insufficiente per sostenere una crescita significativa. Il report evidenzia una realtà agricola umbra che, nonostante alcuni passi avanti, non riesce a colmare il gap con la media nazionale. Le sfide sono molteplici: aziende troppo piccole, bassa redditività e una transizione ecologica e digitale ancora da completare. La Camera di commercio auspica che questi dati possano guidare politiche più incisive per rilanciare la competitività di un settore cruciale per l’economia regionale.

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Mencaroni Commentando i dati il presidente della Camera di commercio, Giorgio Mencaroni, parla di un report «che deve servire come elemento per elaborare politiche capaci di incidere maggiormente sulla competitività del settore che, anche per i suoi legami con l’agroindustria, è importante per l’economia umbra. Come Camera di commercio stiamo cercando, con numerose iniziative di informazione-formazione, di supportare le imprese nella doppia transizione, quella digitale e quella ecologica, che riguarda a pieno titolo anche le imprese agricole e l’impatto sulla loro competitività, come anche la loro capacità di integrarsi nelle filiere alte del valore aggiunto dell’industria agroalimentare».

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