Il rapporto Ires: il 6,8% dei nuclei famigliari sotto i 1200 euro, il carrello della spesa sempre più pesante.A pesare sulle famiglie ci sono soprattutto i costi legati alla casa: per il 5% dei nuclei questa voce di spesa incide per il 40%
A Bologna e in tutta l’Emilia-Romagna, dove i prezzi dei beni di consumo corrono molto più veloci di stipendi e pensioni, si comincia a intravedere il rischio di un allargamento della fascia di cittadini che potrebbero scivolare nella condizione di povertà relativa. Un rischio che in una regione che deve il suo benessere soprattutto all’attività manufatturiera, oggi in crisi, e ai servizi legati al turismo, che però generano redditi di lavoro per lo più precari, sembra essere più alto che nel resto d’Italia.
A lanciare l’allarme rosso sono il segretario generale della Cgil regionale, Massimo Bussandri, e il presidente dell’Ires, Giuliano Guidetti che, col ricercatore Valerio Vanelli, hanno illustrato i risultati dell’ultimo Osservatorio dell’istituto di ricerche economiche e sociali del sindacato su benessere, redditi, spesa, diseguaglianze e retribuzioni dei dipendenti dei settori privati.
Secondo lo studio, l’emergenza salari è ormai di casa anche nel territorio che è unanimemente considerato la locomotiva d’Italia. Nel 2023, infatti, già il 6,8% delle famiglie viveva in condizioni di povertà relativa, ovvero con un reddito inferiore alla soglia dei 1.211 euro mensili, contro il 10,6% a livello nazionale. Certo, l’Emilia-Romagna continua ad essere una delle regioni italiane con maggiore benessere e minori diseguaglianze, ma il quadro sta progressivamente mutando.
Tra le ragioni figurano la crisi economico-finanziaria del 2008 prima e l’impatto del Covid-19 poi. Non a caso, nell’ultimo anno, la spesa media delle famiglie è cresciuta dell’8,9%, arrivando alla soglia dei 2.900 euro a famiglia.
Una crescita, dunque, superiore a quella dell’inflazione calcolata secondo l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività, pari all’8,4%, e molto superiore all’aumento medio dell’importo delle pensioni (+3,1%), nonché delle retribuzioni dei settori privati non agricoli (+1,2% quelle giornaliere e +3,2% quelle annue). A pesare sulle famiglie ci sono soprattutto i costi legati alla casa: per il 5% dei nuclei questa voce di spesa incide per il 40% del reddito netto, contro 6,6% a livello nazionale.
Il potere d’acquisto delle famiglie è, insomma, tutt’altro che salvaguardato, soprattutto se si considera che la maggior parte delle persone in povertà presenta una situazione multiproblematica: a fragilità e disagio economico si accompagnano, per esempio, condizioni di debolezza sul mercato del lavoro, precarie condizioni abitative e titoli di studio medio-bassi.
Un combinato disposto molto difficile da rompere e che, al contrario, si auto-rafforza, cronicizzando per queste persone lo stato del cosiddetto svantaggio sociale. Al netto delle fragilità più gravi, il 42% dei dipendenti emiliano-romagnoli guadagna appena 15mila euro lordi annui, restando sotto la soglia psicologica dei 1.000 euro al mese. Dilaga anche la precarietà, che risponde a quel «si è poveri pur lavorando» denunciato in ogni sede dal leader nazionale Maurizio Landini.
Anche in questa regione, solo il 50,1% dei lavoratori è impiegato a tempo indeterminato con 52 settimane di contribuzione, mentre il 26,1% ha lavori a tempo determinato o stagionali e il 28,3% è inquadrato part-time. Forti le diseguaglianze: le donne su base annua guadagnano il 68,4% di quanto percepito dagli uomini con una media di quasi 10mila euro in meno mentre il 43% degli addetti di origine straniera non raggiunge i 15 mila euro lordi annui. La situazione va meglio nelle province più «forti» come Bologna, Parma, Modena e Reggio Emilia mentre un po’ ovunque, ma soprattutto a Ferrara e Rimini, i contratti di lavoro sono per la maggior parte precari.
«L’Emilia-Romagna non è una regione di poveri ma si sta allargando – conferma Bussandri – la fascia di famiglie con reddito leggermente al di sopra della soglia di povertà. In più, la crisi della manifattura sta aggravando la situazione. Il rischio concreto – aggiunge, pur non fornendo stime numeriche – è quello far uscire dalla porta ancor più posti di lavoro stabili per dare ulteriore spazio alla povertà lavorativa».
«Lo scenario macroeconomico che abbiamo davanti – chiude Bussandri – non ci tranquillizza affatto. Le difficoltà del welfare e della sanità pubblica generate da politiche nazionali scellerate rischiano di essere un ulteriore fattore di impoverimento, basti l’aumento del numero di cittadini costretti a rinunciare alle cure, e richiedono la messa in campo di una nuova progettualità regionale. La crisi climatica che ha colpito mezza regione, da Bologna alla Romagna, necessita di un nuovo modello di sviluppo se non vogliamo che gli eventi estremi determinino nelle zone più esposte un forte ridimensionamento demografico e produttivo.
La manutenzione del Patto per il Lavoro e per il Clima sarà la sede regionale dove affrontare tali nodi. La campagna referendaria di primavera sarà invece l’occasione per invertire una tendenza nefasta a partire dall’indirizzo politico nazionale, occasione che io credo tutte le forze politiche sane di questa regione dovrebero avere interesse a sostenere».
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