L’iniziativa rientra in una strategia che mira ad aumentare controllo e guadagni dal minerale di cui è il secondo produttore in Africa
Lo Zambia intende farla finita con la maledizione delle materie prime che ha colpito diversi paesi dell’Africa.
Il paese è il secondo maggior produttore di rame nel continente e fra i maggiori al mondo e il governo del presidente Hakainde Hichilema è stato chiaro: Lusaka vuole aumentare in modo significativo la produzione del minerale – risorsa chiave per la transizione energetica – e soprattutto i suoi margini di guadagno.
La joint venture
È in questo contesto che va letta l’intesa per la creazione di una joint venture siglata dal governo zambiano con Mercuria, una delle cinque maggiori società di commercio delle commodities al mondo. La collaborazione dovrebbe permettere allo Zambia di avere un maggior controllo sulla commercializzazione del rame estratto dal suo sottosuolo.
Bloomberg, rilanciando fonti anonime vicine ai fatti, riporta che la joint venture dovrebbe occuparsi della vendita del rame estratto in miniere gestite da aziende in cui lo stato zambiano è azionista.
Sempre secondo Bloomberg, questo potrebbe arrivare a significare che la joint ventura gestirà la vendita fino a 250mila tonnellate di rame all’anno, qualora i piani di Lusaka per il prossimo futuro del comparto dovessero realizzarsi.
A siglare l’accordo per lo Zambia è stata una sussidiaria della Industrial Development Corporation (IDC), una società a pieno controllo statale il cui mandato è guidare la strategia commerciale del governo zambiano nell’ottica di rafforzare il settore industriale e creare posti di lavoro. Mercuria è una multinazionale svizzera domiciliata a Cipro che è stata fondata nel 2004.
Nell’ambito della joint venture, si legge in un comunicato pubblicato sul sito di IDC, «Mercuria metterà a disposizione la sua esperienza finanziaria, commerciale e tecnica per aiutare lo Zambia a sviluppare capacità di marketing e trading istituzionale indipendenti per il rame, il principale minerale di esportazione del paese».
Secondo quanto riportato dall’amministratore delegato di IDC, Cornwell Muleya, l’iniziativa «promuoverà inoltre la creazione di capacità locali formando gli zambiani nel commercio globale di materie prime, nella gestione del rischio e nelle operazioni finanziarie».
La joint venture è stata definita una «pietra miliare» per lo Zambia da Kostas Bintas, responsabile dell’unità per metalli e minerali di Mercuria.
Nella nota di IDC si sottolinea inoltre che la nuova intesa «è in linea con l’impegno del governo dello Zambia nel rafforzare il proprio ruolo nel mercato internazionale del commercio delle materie prime, sfruttando la sua grande ricchezza mineraria per ottenere un maggiore valore economico».
Il destino del rame
Dal rame dipende più del 70% delle esportazioni e delle risorse di valuta estera dello Zambia nonchè circa il 13% del Pil. Il percorso di massimizzazione dei guadagni che si ottengono dal comparto è stato delineato da mesi. Sono già stati intrapresi diversi passi, anche se molti di questi sono ancora in fase embrionale e restano per lo più sulla carta.
C’è anche da tener presente che il contesto economico zambiano è complesso: il paese è alle prese con una devastante siccità e le sue ricadute sul settore energetico. Lusaka ha da poco completato inoltre, una sfiancante negoziazione per la ristrutturazione del debito sovrano su cui ha fatto default nel 2020.
A mettere nero su bianco le intenzioni d Lusaka era stato lo scorso febbraio anche Jito Kayumba, consigliere economico del presidente Hichilema.
Parlando margine di un una conferenza internazionale di settore, a Città del Capo, il dirigente aveva annunciato l’intenzione di Lusaka di emergere «come un attore commerciale» autonomo in grado di «competere con le altre società che commerciano materie prime, rendendo disponibili finanziamenti per le miniere affinché il paese abbia una giusta quota di guadagni dalle sue risorse».
Secondo Kayumba infatti, «i nostri benefici dal settore sono stati minimi». La ragione è anche da rintracciarsi nell’utilizzo di molta «ingegneria finanziaria» o «contabilità creativa: i prezzi di trasferimento riducono le nostre possibilità di ottenere un buon dividendo».
Il problema sollevato da Kayumba è centrale. Le società di commercio delle commodities sono note per l’opacità dei loro comportamenti, come denunciato e monitorato da anni da realtà come la ong svizzera Public Eye.
Il commercio di materie prime è inoltre puntellato dalla presenza di intermediari altrettanto poco trasparenti ed è ritenuto terreno di coltura perfetto per corruzione e malversazioni di vario tipo. Non è chiaro quanto iniziativa come la joint venture appena creata possano arginare queste criticità.
Sicuramente, lo Zambia vuole aumentare la propria quota di partecipazione lungo tutta la filiera di esportazione del rame.
Lo scorso agosto il ministro delle miniere Paul Kabuswe ha reso noto un piano per la creazione di un meccanismo di condivisione della produzione che permetterebbe a Lusaka di ottenere non meno del 30% degli output di tutti i futuri siti di minerali critici nel paese.
Le spese per l’approvvigionamento dei materiali inoltre, dovrebbe beneficiare fornitori locali per non meno del 35%.
Le ambizioni di Lusaka non si fermano qui. Il governo di Hichilema mira ad aumentare di quasi cinque volte le quote di produzione annue del rame arrivando fino a 3 milioni di tonnellate entro il 2030.
Il documento strategico con cui si annuncia la strategia per arrivare a questo obiettivo ha destato parecchie perplessità. Non sembrano esserci infatti le condizioni per un salto di qualità così grande, sebbene diverse società straniere che investono nel paese abbiano promesso nuovi investimenti per miliardi di dollari.
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