L’inchiesta sui clan di Villaseta e Porto Empedocle, i presunti capimafia restano in carcere: le altre decisioni

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I due presunti capi delle famiglie mafiose di Villaseta e Porto Empedocle, Pietro Capraro e Fabrizio Messina, restano in carcere insieme ad altri cinque indagati. Per altri quattro fermati sono stati disposti gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e per un solo indagato – fino a questo momento – è stata disposta la scarcerazione per mancanza dei gravi indizi. 

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Lo hanno disposto i giudici per le indagini preliminari del tribunale di Agrigento, Giuseppe Miceli e Giuseppa Zampino, nei confronti di dodici persone fermate all’alba di martedì nell’ambito dell’inchiesta sulle famiglie mafiose di Villaseta e Porto Empedocle e su un vasto traffico di droga fra la provincia di Agrigento e alcuni Stati esteri. 

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I gip, pur non convalidando il provvedimento di fermo in quanto non è stato ritenuto sussistente il pericolo di fuga, hanno disposto la custodia cautelare in carcere per Pietro Capraro, 39 anni, ritenuto il boss di Villaseta (difeso dagli avvocati Alba Raguccia e Carmelita Danile); Gaetano Licata, 40 anni, vice di Capraro e per un periodo reggente della famiglia (difeso dall’avvocato Salvatore Cusumano) e Fabrizio Messina, 50 anni, capo della famiglia mafiosa di Porto Empedocle, già condannato per accuse analoghe come Capraro e Licata (difeso dall’avvocato Salvatore Pennica).

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Confermata la custodia in carcere anche per il favarese Domenico Blando, 67 anni; Angelo Tarallo, 44 anni; Ignazio Carapezza, 33 anni e Alfonso Lauricella, 58 anni; tutti di Agrigento. L’accusa nei loro confronti è di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga.

Ieri, invece, il gip di Sciacca, Dino Toscano, ha convalidato il provvedimento e disposto il carcere per altri due indagati: Carmelo Fallea, 50 anni, di Favara, e Francesco Firenze, 40 anni, di Castelvetrano: il loro fermo era stato disposto fra Ribera e Sciacca.

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Per quattro indagati, invece, sono stati disposti gli arresti domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico. Sono: Cristian Gastoni, 31 anni, di Agrigento; Giorgio Orsolino, 34 anni, di Agrigento; Calogero Prinzivalli, 41 anni, di Agrigento (difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo e Riccardo Gueli) e Nicolò Vasile, 43 anni, di Agrigento (difeso dall’avvocato Ninni Giardina). I primi tre sono accusati di minaccia aggravata dal metodo mafioso e detenzione di armi. A Vasile, invece, sono contestati i reati di estorsione e rapina aggravati dal metodo mafioso ai danni di un distributore di carburanti. 

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Scarcerato e rimesso in libertà Samuel Pio Donzì, 23 anni, di Agrigento (difeso all’avvocato Fabio Calogero Inglima Modica). Al giovane viene contestata una estorsione aggravata in concorso ai danni di un bar di Porto Empedocle che avrebbe subito ricatti, minacce, danneggiamenti e sarebbe stato costretto a tollerare la presenza degli affiliati del clan di Villaseta che non pagavano il conto oltre a una richiesta di pizzo di 1.000 euro al mese.

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Il giudice, tuttavia, non ha convalidato il fermo per uno degli indagati e ha ritenuto carenti gli indizi a suo carico.

In tarda mattinata è stato depositato pure il provvedimento del gip Micaela Raimondo che ha confermato la custodia in carcere per Guido Vasile, Gabriele Minio, Vincenzo Parla, Vincenzo Corbo e Angelo Graci. Domiciliari per Roberto Parla.

La posizione di questi sei indagati (difesi dagli avvocati Calogero Lo Giudice, Calogero Meli, Salvatore Cusumano, Pietro Maragliano, Giovanni Salvaggio, Ninni Giardina e Calogero Sferrazza) e degli altri sarà adesso esaminata anche dal tribunale di Palermo al quale sono stati trasmessi gli atti per competenza. Il gip del capoluogo siciliano dovrà emettere una nuova ordinanza.

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(Aggiornato alle 13,55) 

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