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Le erogazioni pubbliche sollevano sospetti di “inciuci” tra governo e case editrici (soprattutto se queste hanno interessi prioritari in altri settori economici), quando i loro giornali celebrano politici influenti

Dal Fatto Quotidiano
Ivo Caizzi
Milano, 21 dicembre 2024

I ricchi editori di giornali avrebbero potuto difendere le loro testate varando una martellante protesta contro il governo di Giorgia Meloni per la “legge bavaglio”, che ha ridotto la libertà di stampa rendendo difficile far conoscere ai cittadini indagini penali soprattutto su notabili di partiti e potenti dell’economia, tra l’altro dopo l’abolizione del reato di abuso d’ufficio a vantaggio di politici scorretti nel gestire la cosa pubblica.

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Invece hanno più o meno sorvolato per concentrarsi a chiedere – tramite la loro lobby Fieg – più aiuti di Stato. Ma la trattativa con Meloni di FdI e i vicepremier Matteo Salvini della Lega e Antonio Tajani di FI, che i giornali avrebbero il dovere di controllare come “cani da guardia”, li ha delusi.

La Fieg sollecitava addirittura di aumentare notevolmente il fondo di sostegni per l’editoria dai ben 140 milioni dell’ultimo anno, mentre il governo Meloni intende pagare molto meno.

A questo punto – per incassare più soldi dei contribuenti – la lobby dei padroni dei giornali ha protestato con paginate sui quotidiani dei suoi associati.

Ma queste erogazioni pubbliche sollevano sospetti di “inciuci” tra governo ed editori (soprattutto se questi hanno interessi prioritari in altri settori economici), quando i loro giornali celebrano politici influenti.

Sarebbero esborsi tollerabili se sostenessero – nell’avvio e nelle crisi – piccole testate e cooperative di giornalisti davvero indipendenti. Diventano vergognosi se danno l’idea che grassi signorotti mangino a sbafo nelle mense gratuite togliendo pasti ai poveri.

Ai miliardari Agnelli/Elkann (ex Fiat ora Stellantis e molto altro), che controllano i quotidiani Repubblica e Stampa, non sono bastati decenni di mega-aiuti di Stato. Hanno associato Repubblica in una imbarazzante “partnership” con Europarlamento e Commissione europea per cumulare fondi Ue in cambio di articoli apprezzati nei Palazzi di Bruxelles.

Urbano Cairo, emerso come berlusconiano della prima ora, che ha acquisito il Corriere della Sera, da anni sbandiera profitti milionari vendendo anche discusse forme di pubblicità. In aggiunta ha ricevuto soldi dallo Stato, dall’Ue e dalla Regione Liguria guidata da Giovanni Toti (dimessosi per patteggiare una condanna penale), a volte come fornitore di articoli graditi. Il finanziere Franco Caltagirone, proprietario di Messaggero, Mattino e Gazzettino, si dimostra ancora più gonfio di liquidità scalando banche e società.

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La famiglia Angelucci, che si è arricchita con cliniche private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale (quindi con pagamenti pubblici), vanta le testate di destra Libero, Giornale e Tempo, tutte in sintonia con il capofamiglia Antonio, parlamentare assenteista berlusconiano, poi leghista e ora ben visto da Meloni.

La famiglia Monti, erede del petroliere Attilio, possiede Resto del Carlino, Nazione, Giorno ed esprime il presidente della Fieg Andrea Riffeser. La lobby Confindustria ha ottenuto aiuti pubblici nazionali e Ue con il Sole24ore. Hanno beneficiato di tanti milioni dei contribuenti italiani ed europei anche i soci dell’agenzia di stampa Ansa, tra i quali spiccano i soliti Agnelli/Elkann, Cairo, Caltagirone, Riffeser-Monti, Confindustria, Angelucci e Paolo Berlusconi.

Si potrebbero citare altri editori simili. Ma il problema non cambia: perché ricchi padroni di organi d’informazione, che dovrebbero autofinanziarsi e far controllare dai loro giornali come il governo spende il denaro pubblico, meritano una fetta della torta? Non spuntano solo rischi di “inciuci”.

Membri della Fieg appaiono di fatto anche non in grado di affrontare la grave crisi del settore. Ricchi editori sovvenzionati dallo Stato hanno affossato testate perdendo copie e qualità dell’informazione. Hanno decimato redazioni prepensionando e tagliando reporter, sottopagato giornalisti e sfruttato precari con pochi euro ad articolo. Non hanno saputo rilanciare i loro quotidiani, né innovare ideandone nuovi di successo.

Sarebbe quindi ora di non sprecare più denaro pubblico almeno con gli editori ricchi, se perdono copie a prezzo pieno da anni, nominano direttori servili – a volte già noti devastatori di giornali – e li confermano a lungo (evidentemente con obiettivi diversi dal far crescere le testate), non garantiscono informazione indipendente di qualità, eliminano inchieste e notizie scomode sui potenti di riferimento (e su loro stessi), tagliano costi redazionali, pagano retribuzioni da fame, attuano licenziamenti illegittimi.

E, soprattutto, se offrono “buona stampa” ad acquirenti di pubblicità e ai governanti elargitori di aiuti pubblici.

Ivo Caizzi
reportersenzabavaglio@gmail.com
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Le iconografie che illustrano gli articoli di Senza Bavaglio sono di Valerio Boni.

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