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I motivi della sentenza Turos sulle gare truccate dai clan del Crotonese, l‘avvocato delegato all’asta degli immobili: «Colpa di Gratteri»
CROTONE – «Figurati se potevo vendere il Park Hotel a un estraneo. Quelli sarebbero andati la sera per metterci una bomba. E saltava tutto in aria». È una delle conversazioni intercettate valorizzate dal Tribunale penale di Crotone che nel settembre scorso ha disposto 4 condanne e 10 assoluzioni nel processo scaturito da un’inchiesta che avrebbe svelato l’ombra dei clan del Crotonese sull’asta di immobili pignorati che dovevano necessariamente tornare ai proprietari o essere aggiudicati a prestanome per sfuggire a eventuali sequestri.
Almeno secondo l’accusa. Ma in aula la stessa Dda ha chiesto diverse assoluzioni, all’esito dell’istruttoria dibattimentale. L’inchiesta, che già aveva portato all’operazione Turos, con cui fu stroncato un vasto giro di usura nella zona di confine tra le province di Crotone e Catanzaro, si era ampliata col coinvolgimento di avvocati e pubblici ufficiali ma anche di presunti esponenti dei clan. Ma reggono solo in parte le ipotesi di trasferimento fraudolento di beni, turbativa d’asta e riciclaggio con l’aggravante mafiosa ruotanti attorno a procedure esecutive immobiliari. Vediamo perché, ripercorrendo le motivazioni della sentenza, appena depositate.
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Con riferimento alla procedura esecutiva relativa all’hotel “La Calabrese”, a Le Castella di Isola Capo Rizzuto, è la stessa Dda a escludere che siano emerse dall’istruttoria la prova di impiego di denaro di provenienza illecita e la tentata estorsione contestata agli imputati Cesare Curatola, aggiudicatario dell’immobile, Francesco Rondinelli, imprenditore cutrese che era ritenuto contiguo alla cosca Grande Aracri, e Palma Spina, l’avvocata catanzarese già scagionata dalle accuse nel processo Genesi.
L’ipotesi accusatoria era quella di una simulata intestazione del bene dietro le direttive di Rondinelli. Ma, da una più approfondita analisi delle intercettazioni, è emerso che Curatola intendeva «celare il proprio interesse all’acquisto non allo Stato ma agli stessi esecutati». Il riferimento è alla famiglia Gigliarano che gli contestava di aver agito in passato nell’interesse di Giuseppe Turrà (coinvolto in vicende di usura, da qui il nome dell’operazione Turos) per il rimborso di un prestito loro elargito da quest’ultimo.
Secondo i giudici è provato che, in occasione della visita presso l’immobile programmata con un offerente, il professionista delegato alla vendita, l’avvocato Gerardo Padula, non avrebbe informato la società che si era aggiudicato il bene, Promatur, ma l’amministratore di fatto Antonio Provenzano che a sua volta avrebbe avvisato il precedente proprietario, Giuseppe Verterame, ritenuto vicino ai clan isolitani. Padula avrebbe invitato Verterame ad astenersi dal partecipare all’incontro, ma poi ne avrebbe autorizzato la presenza «conscio degli effetti deterrenti su una possibile manifestazione di interesse». La conferma verrebbe dalle intercettazioni. «È stato effettivamente fuori. Non ha detto una parola. E quello l’offerta non l’ha fatta».
NELL’INDAGINE TUROS SUGLI IMMOBILI ALL’ASTA L’INTERCETTAZIONE CONTRO IL MAGISTRATO GRATTERI
Anche in questo caso il turbamento della procedura, secondo i giudici, è ravvisabile nell’iter procedurale che avrebbe dovuto garantire il diritto di visita ai potenziali offerenti. «Qua non si avvicina nessuno», avrebbe detto l’avvocato Padula al terzo interessato invitandolo ad andarsene subito senza neanche scendere dall’auto.
Francesco Falcone, imparentato col clan Mannolo di San Leonardo di Cutro, insieme al solito avvocato Padula è stato condannato per turbativa d’asta con l’aggravante mafiosa poiché, durante un sopralluogo col delegato alla vendita che non segnalò nulla alle autorità, l’offerente per l’immobile pignorato venne addirittura circondato da quattro persone, che, come emerso dalle intercettazioni, «con fare minaccioso» gli avrebbero intimato di non avvicinarsi all’abitazione. Padula arriva addirittura a prendersela con l’ex capo della Dda catanzarese per un’aggressione giudiziaria senza precedenti alle cosche. «Gratteri sta rompendo i c…… a tutto il mondo. Mi sto trovando nei casini. Prima avevo gli immobili di tutti i mafiosi di San Leonardo di Cutro. E vai a pigliartela un’abitazione a San Leonardo. Scherzi? Chiaro che l’ho venduta al genero. Prova a cacciare questi di casa». Proprio questo brano intercettato dimostra, secondo il collegio giudicante presieduto da Edoardo D’Ambrosio, la fondatezza dell’aggravante mafiosa.
Nessuna interferenza ai danni di potenziali acquirenti è emersa, invece, dalla procedura relativa all’immobile di proprietà della famiglia Correale a Crotone in via Stati Uniti. La stessa Dda aveva chiesto assoluzioni per questo capo d’accusa essendosi limitato Rocco De Vona, esponente apicale della cosca Megna già scagionato nel processo col rito abbreviato, a fornire indicazioni utili per reperire le provviste necessarie all’aggiudicatario.
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